giovedì 28 luglio 2011

Pensieri


Il cristallo è anch’esso “quel cristallo” specifico e non un cristallo (una “cosa”) qualunque. È anch’esso perciò, ed ha, una individualità. I suoi sali precipita­no in un dato modo, i suo corpo si forma e si costruisce per celle, secondo quella specifica, prefigurata e fissa forma poliedrica e in quell’utero che è la soluzione satura ove i sali precipitano. Ed è questa la sua vita.

E così è per ogni altra “xosa”, per tutte le cose. Oltre e accanto alla faccia esterna apparizionale, accanto e oltre al corpo, vi è nell’uo­mo e in tutto l’universo e in tutte le “cose” una interiorità, un’anima per cui non sono cose ma esseri.

Gli Esseri si realizzano non nell’avere ma nell’essere; si esaminano, si studiano e analizzano, sì, non con i sensi comuni e con la razionalità e i principi e gli strumenti della scienza, come avviene e come è giusto che sia. Ma si conoscono col cuore, comprendendone l’anima. Solo così vi può essere un vero approccio agli “esseri” e alla “essenza”.

Essere vuol dire “essere se stessi”, realizzare la propria individualità e svolgere la propria funzione di cooperazione con tutte le restanti creature. E così, nella coralità di tutti questi esseri, di tutte queste anime, anche lo spirito del “mosaico” Terra e del “mosaico” universo vivono, cioè “sono”; e così si consegue la pienezza totale della creazione di Dio,

Per l’uomo comprendere questo, capire questo concetto di realizzazione corale, significa conquista ed espansione del proprio essere in una più ampia riflessione (e dimensione) dell’Essere. Significa autocomprensione, pre­sa di coscienza di sé e dell’Essere totale, illuminazione sempre più profonda, sentire sempre più profondamente la propria partecipazione al Tutto, a quello che l’induismo esprime con il termine Sat Cit Ananda, Esistenza, Coscienza, Beatitudine - che non sono tre cose, tre modi diversi ma sono un tutt’uno e sono l’Essere. Sat Cit Ananda si riferisce in primo luogo al Brahman, ma l’Atman è la stessa cosa del Brahman e l’uomo, che lo contiene nella sua interiorità, è chiamato a scoprirlo, a realizzarlo, ad esserlo lui stesso, ad essere vita spirituale.

Le essenze e gli Spiriti conoscono, anzi comprendono, “sentono” attraverso quella comprensione olistica che è l’illuminazione, l’intuizione, l’insight. Il raziocinare e il sillogismo, anche se servono e sono indispensabili nella vita, non si addicono allo Spirito. E si conoscono (le essenze e gli Spiriti) conoscendone l’anima.



Ma, tornando a noi e al nostro argomento, il Mito, le essenze e l’anima parlano delle proprie eterne esperienze e delle proprie emozioni e raccontano la propria vicenda non con la bocca, non con un discorso, non con una costruzio­ne logica di parole ma attraverso il sogno e i miti.

Il Mito è dunque il linguaggio dell’anima collettiva di un popolo, di una gente; il mito esprime il sentire di questa anima e come essa vive la propria vicenda e la propria avventura nel mondo. Il mito va inteso e compreso per comprendere le commozioni dell’anima e la vita dell’uomo interio­re. Il mito è un linguaggio corale perché esprime la vita archetipica dell’uomo, al di là del tempo e della spazio che invece inquadra la vita e le vicende concrete individuali. Il mito racconta in un eterno presente l’avventura della vita dell’uomo, la sua vicenda e le sue esperienze nel mondo, che sempre e sempre si ripetono.

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