sabato 23 luglio 2011

Cinema


Durante la guerra in Iraq, la parola "ostaggio" ha acquisito un significato particolare. Bruce willis e il regista Florent Emilio Siri in Hostage seguono un filone diverso dai film d'azione che trattano l'argomento. La rabbia di Mel Gibson in Ransom e la vendetta di Denzel Washington in Man on fire sono lontani dai drammi che affliggono Jeff Talley, interpretato da Bruce Willis. C'è qualcosa di nuovo, di insolito. C'è la debolezza di un uomo in crisi che decide di vivere tranquillo, senza più problemi.
Talley è un negoziatore, uno di quelli che parla e tratta con i sequestratori per indurli a rilasciare l'ostaggio. Purtroppo Talley, questa volta fallisce, e diventa autore e vittima di un dramma efferato. Da questo momento, il poliziotto che gestiva missioni impossibili, si ritira a ragione in un piccolo paesino, Bristo Camino, in cui non dovrebbe succedere niente se non la normale amministrazione di poliziotto di provincia. Il rapimento di una ricca famiglia risveglia improvvisamente il dolore del protagonista, che crolla nell'incubo quando vede coinvolta direttamente la propria.
Apparentemente un "action movie" classico, Hostage, grazie a una regia focalizzata sulle emozioni umane e sui dettagli (gli occhi sono un elemento chiave del film), e non privo di elementi spettacolari, mette in scena le difficoltà di un uomo nel superare un fallimento personale. L'interpretazione di Bruce Willis, più espressivo del solito, è incentrata di conseguenza sulle debolezze del protagonista più che sul solito "machismo" .
La prevedibilità della trama, a tratti poco credibile, non consente a Siri di realizzare un film di riferimento di genere, tuttavia evita alcune banalità e regala allo spettatore due ore di intrattenimento e di riflessione sull'importanza della famiglia.

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