mercoledì 23 gennaio 2013

Scienza






Anomale, transitorie e finora un'esclusiva dei laboratori. I quartetti di dna – molecole costituite da quattro eliche di materiale genetico – sembravano fino a oggi prerogative solo degli esperimenti in vitro, non esistenti in natura. Ora invece un team di ricercatori guidati da Shankar Balasubramanian della University of Cambridge ha scoperto che questi quartetti esistono anche in vivo, nelle cellule cancerose umane e che si formano soprattutto quando queste sono in procinto di dividersi. La scoperta, pubblicata su Nature Chemistry, arriva a pochi giorni dal sessantesimo anniversario di quella storica di Watson e Crick e potrebbe aprire le porte allo sviluppo di nuovi farmaci contro le cellule tumorali. 

I quadruplex, come li chiamano i ricercatori, si formano in regioni ricche di guanina (una delle quattro basi che costituisce il nostro codice genetico), che si organizzano nello spazio fino a formare una sorta di quadrato. Queste strutture  - che i ricercatori hanno potuto osservare immobilizzandole tramite degli anticorpi specifici e sostanze bloccanti, visto che sono solo transitorie - sarebbero presenti soprattutto al centro dei cromosomi e alle loro estremità, nei telomeri, porzioni spesso modificate nelle cellule cancerose. Questa caratteristica, insieme al fatto che i quadruplex si accumulano in prossimità della mitosi – il processo di divisione cellulare, molto attivo nei tumori – le renderebbe per ora caratteristica delle cellule cancerose e quindi un potenziale target nella lotta alla proliferazione incontrollata di queste cellule. In modo selettivo, risparmiando le sane. 

Malgrado questo, come spiega Balasubramanian, non è da escludere l'esistenza di questi quadruplex anche in cellule normali, sebbene in forme diverse da quelle trovate nelle cancerogene. Come riporta New Scientist, infatti, lo scienziato crede che siano alcune modifiche tipiche della cancerogene a innescarne la formazione, come le mutazioni genetiche. “Spero”, conclude il ricercatore: “che la nostra scoperta serva a mettere in discussione  il dogma secondo cui sappiamo tutto della struttura del dna perché Watson e Crick l'hanno scoperta nel 1953”.

Cinema






Visto con i miei figli.Ralph Spaccatutto è il cattivo del videogioco arcade Felix Aggiustatutto. Disegnato per servire un unico scopo, da trent’anni distrugge il muro del condominio per dar modo al martello magico del bravo ragazzo Felix di riparare il danno e godersi la medaglia, la torta e l’affetto dei condomini. Per contro, a lui, finito il turno di gioco, non resta che tornare in una discarica di mattoni, solo e dimenticato. Stanco di tutto questo, nonostante il periodico sfogo alla terapia di gruppo per cattivi pixellati, Ralph decide di intraprendere un pericoloso viaggio fuori dalla sua macchina a gettoni, dentro la sala giochi, alla ricerca di una medaglia che offra anche lui il riconoscimento che agogna. 
C’è di che restare piacevolmente stupefatti di fronte a questo incontro “intimo” tra cinema e videogame, per più di un motivo. Innanzitutto, siamo di fronte ad un film che, pur facendo del gioco la sua materia, non è costruito per livelli, come siamo invece stati abituati a vedere, fino alla noia, in tanti prodotti per lo schermo dai soggetti più vari. Quel che fa, invece, il film di Rich Moore è, al contrario, parlare di giochi con il linguaggio del miglior cinema narrativo: costruendo per Ralph un vero e proprio viaggio dell’eroe, che ha per tesoro l’esercizio del libero arbitrio, e inventando non uno ma ben quattro universi, ognuno con le proprie regole e la propria estetica. Il mondo in 8bit di "Fix-it Felix Jr”, quello cupo e formicolante di insettoidi dello sparatutto “Hero’s Duty”, quello variopinto e caramellato del gioco di kart “Sugar Rush” (al livello delle invenzioni più acide di Tim Burton o di certi manga) e il mondo della Game Central Station si alternano con equilibrio e fantasia, popolati di un’infinità di creature nuove e vintage (Sonic, Toad, M.Bison, il fantasmino di Pac-Man) e minacciati dal più terribile dei countdown, ovvero la possibilità di finire “out of order”, rottamati e sostituiti da una versione più avanzata. 
La ricompensa di Ralph Spaccatutto vale più di mille medaglie ed è la felicità di una “bambina”, la meravigliosa e pidocchiosa Vanellope Von Schweetz. Insieme, il protagonista che giura che non desidererà mai più essere buono e l’incompresa che preferisce correre in macchina che vestire da principessa, non sono certo due rivoluzioni da poco per l’inossidabile politica dei sogni di casa Disney. 
Lasseter e compagni si confermano, dunque, ancora una volta, sul circuito giusto, il più attrezzato di tutti quanto a intelligenza, divertimento e capacità di arrivare dritti al cuore. I bambini saranno loro grati, i nerd ancora di più.

Pensieri






L'abitudine è una seconda natura che distrugge la prima.




Blaise Pascal, Pensieri, 1670 (postumo)

Mostre

Domenica pomeriggio siamo stati alla bellissima Mostra di Giambattista Tiepolo,a Villa Manin,vicino Udine,splendido esempio di come una cornice antica si armonizzi perfettamente a delle pitture d'epoca.Guidati da un'esperta d'eccezione,abbiamo potuto ammirare i meravigliosi contrasti cromatici dei dipinti,a seconda che si trattasse di committenze della Chiesa o di privati,dei bozzetti che rivelavano la maestria del Tiepolo in piccolissimi spazi e su materiali poveri come la carta azzurrina che si usava nel settecento per buttare giù le idee per i dipinti.Le Tele alte anche sette metri,i disegni su strati di legno cuneiformi e fra questi il sublime "Il sacrificio di Isacco".I dipinti a tema mitologico che stavano molto a cuore al pittore veneziano,cosi come l'attenzione ai più minuti particolari,specie nei paesaggi e nei rarissimi ritratti,cosi perfetti da sembrare fotografie.Lo studio maniacale dell'anatomia,il contrasto tra luce e buio che ci riporta ad un altro maestro,il Caravaggio,l'essere stato in un certo senso la "summa"della migliore tradizione pittorica italiana del Settecento,racchiudendo nei suoi capolavori l'arte del Veronese,del Tintoretto,del Canaletto.

Cinema








Cinque persone vengono uccise apparentemente a caso da un cecchino, sulla banchina di un fiume, mentre conducono la vita di tutti i giorni. Le prove sono schiaccianti e incastrano un ex militare, un tiratore addestrato. Pestato brutalmente durante l'interrogatorio, prima di cadere in coma, l'accusato fa un solo nome: Jack Reacher. L'avvocato difensore non sa come soddisfare la richiesta, Reacher sembra non esistere, ma ecco che è lui stesso a presentarsi, con una teoria a dir poco spiazzante: il militare è colpevole, ma non di quell'eccidio. 
Ex investigatore dell'esercito americano, mosso soltanto dagli imperativi morali di giustizia e verità, e dunque al di sopra della legge, il Jack Reacher di Tom Cruise assomma tali e tante qualità mitiche da risultare quasi ridicolo. Con un piede ancora negli anni Ottanta, sul suo Top Gun, ma una lucidità mentale che non ha nulla da invidiare a Sherlock Holmes, non si può davvero prendere troppo sul serio. Dopo di che, smessa l'insana pretesa, il divertimento è innocuo e garantito. 
Se non è la scrittura brillante, piena di battute, ad illuminare la vera natura del film, perché in realtà essa si affianca a tutta una serie di altri elementi, dal romance al thriller, collezionati per non farsi mancare proprio nulla, lo è però sicuramente la presenza di Werner Herzog. Il suo Zec è il personaggio chiave dell'insieme: qualcuno che si diverte a giocare al duro e lo fa con immensa classe, nessuno sforzo e il sorriso sotto la maschera. E lo stesso vale pe Robert Duvall. Tom Cruise e la malcapitata Rosamund Pike, invece, si trovano in una posizione più scomoda, perché è evidente che a lui manca qualsiasi distanza critica e lei, di conseguenza, è sua prigioniera. 
Basato su "La prova decisiva", nono romanzo della serie creata da Lee Child con protagonista Jack Reacher, il film conta una gestazione record di ben sette anni, ma il risultato, per quanto godibile, non premia affatto Christopher McQuarrie. Lo sceneggiatore dei Soliti sospetti, qui impegnato con entrambe le mani, nella scrittura e nella regia, fa la fine del presunto killer e si ritrova ad essere un burattino comandato da mani altrui. Non c'è dubbio alcuno, infatti, che il regista dell'impresa sia Cruise stesso, che si fa cucire su misura scene in cui è in grado di sedurre una ragazzina con la forza morale del suo sguardo o altre in cui, nel bel mezzo della massima urgenza, si prende il tempo di preferire ad un efficace scontro armato una bella scazzottata goliardica a mani nude. 
Dimenticate le sottigliezze del metodo deduttivo e le ombre di Bourne.

Canzoni








Dedicata al Mio Amore.........

giovedì 3 gennaio 2013

Canzoni

Pensieri








Noi siamo quel che facciamo. Le intenzioni, specialmente se buone, e i rimorsi, specialmente se giusti, ognuno, dentro di sé, può giocarseli come vuole, fino alla disintegrazione, alla follia. Ma un fatto è un fatto: non ha contraddizioni, non ha ambiguità, non contiene il diverso e il contrario.


Leonardo Sciascia, Candido ovvero un sogno fatto in Sicilia, 1977

Cinema









Ex uomo della CIA, Bryan Mills è obiettivo della vendetta di un gruppo di criminali albanesi, imparentati con i rapitori uccisi per sua mano nella liberazione della figlia Kim qualche tempo addietro. Quella che poteva essere una rilassante vacanza ad Istanbul, per l'esperto agente in pensione, per l'ex-moglie Lenore e per la risoluta figlia, si trasformerà in una nuova caduta nell'incubo tra scontri a mani nude, pallottole, bombe, sevizie e corse in automobile per i vicoli della città turca.
Attore capacissimo col difetto di accettare troppi ruoli, Liam Neeson torna a vestire i panni del padre premuroso e dotato di un “particolare set di competenze” per far soffrire chiunque provi a minacciargli gli affetti nel sequel del (troppo) fortunato Io vi troverò. La formula rimane pressapoco la stessa del titolo del 2004 – sebbene qui la violenza sia un po' più smussata – così come la faccia tosta nell'ostentare una grossolanità che può divertire i fan di certo cinema americano anni Ottanta quanto irritare tutti gli altri. Storia di vendetta al quadrato basata su un programmatico schematismo, quasi si trattasse di un cartone animato per spettatori adulti, non fornisce alcuna deviazione rispetto ad una successione chiarissima già dall'inizio. Qualche tocco ironico, soprattutto nel descrivere la gelosia di un padre verso la figlia fidanzata ad un ragazzo dai lineamenti puliti, e un interprete capace non salvano di certo la pellicola da una prevedibilità rotta solo dall'uso espressivo della macchina da presa nelle sequenze d'inseguimento in macchina o negli scontri corpo a corpo. Se la dinamica filmica funziona – sia sufficiente notare l'articolazione dei diversi piani di ripresa, i tagli improvvisi, le velocità differenti impiegate nelle scene action più spinte –, a latitare è l'interesse verso una vicenda capace di muoversi solo attraverso il meccanismo di azione/reazione. Anomalo a partire dalla sua apolidità, dopotutto si tratta di una produzione francese che fa di tutto per sembrare americana, Taken 2 – La vendetta è ancora una volta un film sulla famiglia, vista come nucleo sacro e da proteggere sopra ogni cosa (differentemente dal primo capitolo, qui, anche l'ex moglie Lenore è un personaggio positivo e ben disposto a rinsaldare l'unità della coppia). Sotto alla sommaria descrizione dei cattivi, capitanati da un distratto Rade Šerbedžija, non è difficile leggere una più che fastidiosa vena xenofoba. Impegnato nella produzione, in coppia con Michael Mandaville, e nella stesura della sceneggiatura, insieme a Robert Mark Kamen, l'eclettico Luc Besson conferma di non badare tanto per il sottile, soprattutto quando si tratta di lasciare la regia ad altri, in questo caso ad Olivier Megaton, uomo di fiducia della factory già firmatario di Transporter 3, Colombiana e Exit.

Poesie





Addio  (Seconda Parte)



O nido irraggiungibile e caro,
non c'è passo terrestre che mi porti a te.
Forse fuori dai giorni e dai luoghi?
La tua morte è una voce di sirena.

Forse attraverso una perdizione? o una grazia?
o in quale veleno? in quale droga?
forse nella ragione? forse nel sonno?
La tua morte è una voce di sirena.

Voglia di un sonno che pare una tua dolcezza
ma è stata già I'impostura dove ti ho perso!
La tua morte è una voce di sirena
che vorrebbe sviarmi da te nelle sue fosse.

Forse, io devo accettare tutte le norme del campo:
ogni degradazione, ogni pazienza.
Non posso scavalcare questa rete spinata
mentre al tuo grido innocente non c'è risposta.

La tua morte è una luce accecante nella notte
è una risata oscena nel cielo del mattino.
Io sono condannata al tempo e ai luoghi
finché lo scandalo si consumi su di me.

Io devo, qui, trescare e patteggiare con la belva
per rubarle il segreto del mio tesoro.
O pudore d'una infanzia uccisa,
perdonami questa indecenza di sopravvivere.



Elsa Morante