mercoledì 23 gennaio 2013

Cinema








Cinque persone vengono uccise apparentemente a caso da un cecchino, sulla banchina di un fiume, mentre conducono la vita di tutti i giorni. Le prove sono schiaccianti e incastrano un ex militare, un tiratore addestrato. Pestato brutalmente durante l'interrogatorio, prima di cadere in coma, l'accusato fa un solo nome: Jack Reacher. L'avvocato difensore non sa come soddisfare la richiesta, Reacher sembra non esistere, ma ecco che è lui stesso a presentarsi, con una teoria a dir poco spiazzante: il militare è colpevole, ma non di quell'eccidio. 
Ex investigatore dell'esercito americano, mosso soltanto dagli imperativi morali di giustizia e verità, e dunque al di sopra della legge, il Jack Reacher di Tom Cruise assomma tali e tante qualità mitiche da risultare quasi ridicolo. Con un piede ancora negli anni Ottanta, sul suo Top Gun, ma una lucidità mentale che non ha nulla da invidiare a Sherlock Holmes, non si può davvero prendere troppo sul serio. Dopo di che, smessa l'insana pretesa, il divertimento è innocuo e garantito. 
Se non è la scrittura brillante, piena di battute, ad illuminare la vera natura del film, perché in realtà essa si affianca a tutta una serie di altri elementi, dal romance al thriller, collezionati per non farsi mancare proprio nulla, lo è però sicuramente la presenza di Werner Herzog. Il suo Zec è il personaggio chiave dell'insieme: qualcuno che si diverte a giocare al duro e lo fa con immensa classe, nessuno sforzo e il sorriso sotto la maschera. E lo stesso vale pe Robert Duvall. Tom Cruise e la malcapitata Rosamund Pike, invece, si trovano in una posizione più scomoda, perché è evidente che a lui manca qualsiasi distanza critica e lei, di conseguenza, è sua prigioniera. 
Basato su "La prova decisiva", nono romanzo della serie creata da Lee Child con protagonista Jack Reacher, il film conta una gestazione record di ben sette anni, ma il risultato, per quanto godibile, non premia affatto Christopher McQuarrie. Lo sceneggiatore dei Soliti sospetti, qui impegnato con entrambe le mani, nella scrittura e nella regia, fa la fine del presunto killer e si ritrova ad essere un burattino comandato da mani altrui. Non c'è dubbio alcuno, infatti, che il regista dell'impresa sia Cruise stesso, che si fa cucire su misura scene in cui è in grado di sedurre una ragazzina con la forza morale del suo sguardo o altre in cui, nel bel mezzo della massima urgenza, si prende il tempo di preferire ad un efficace scontro armato una bella scazzottata goliardica a mani nude. 
Dimenticate le sottigliezze del metodo deduttivo e le ombre di Bourne.

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