venerdì 30 settembre 2011

Comicità


Ho smesso di fumare. Vivrò una settimana di più e in quella settimana pioverà a dirotto.




Woody Allen

Pensieri


Agli uomini dei quali mi importa qualcosa io auguro sofferenze, abbandono, malattie, maltrattamenti, disprezzo − io desidero che non restino loro sconosciuti il profondo disprezzo di sé, il martirio della diffidenza di sé, la miseria del vinto: non ho compassione di loro, perché auguro loro la sola cosa che oggi possa dimostrare se un uomo abbia o non abbia valore - gli auguro di resistere...




Nietzsche

Cinema


Protagonista di questo film, teso e veloce, è la giovane dottoressa Susan Wheeler (Geneviève Bujold) del Memorial Hospital di Boston. Dopo che una sua amica, a seguito di un semplice aborto terapeutico, è caduta in coma profondo, Susan scopre che altri dieci casi di coma profondo si sono verificati negli ultimi dodici mesi in soggetti sani, dopo aver subito operazioni di poco conto. La cortina di omertà dell’ospedale si chiude su di lei, e i suoi continui tentativi di infrangerla la porteranno dapprima alla scoperta di un traffico d’organi di stampo fantaorrorifico e poi la metteranno in pericolo di vita. Ottimo nella fase iniziale di preparazione del mistero, il film cede un po’ nel finale, che si fa via via più scontato. Resta comunque mirabile nella sua allucinante descrizione del mondo ospedaliero e nella sua precognizione ammonitrice di quello che potrebbe succedere nel mondo dei trapianti facili.Ottimi Michael Douglas nel suo primo ruolo da protagonista in un film,e genevieve Bujold,poi scomparsa dalle scene cinematografiche.Il film segna anche il debutto in una particina del grande Ed Harris.Straordinarie le sequenze dentro il Jefferson Hospital,riescono a farti sentire il freddo del coma anche attraverso lo schermo.

Poesie


Il Treno



La vita corre veloce
freccia rossa senza fermate
E tu, ferma su quel binario - morto -
sei lì che aspetti
E la vita ti sfreccia davanti,
ma non te ne accorgi
Tempo sfuggente
tempo inesorabile
tempo implacabile
tempo che sfuma,
tempo che brucia
tempo che passa
tempo mio nemico
che tutto muta al suo passaggio
Una notizia di vita
la cogli e l'accogli con le lacrime
del lutto.
Per chi versi le tue lacrime?
Tutto muta
tutto cambia
Levati, anima mia
Riprenditi i tuoi sogni
Non trattenere, libera
Sciogli le catene
Le tue labbra sono arse
desiderose aspirano a una goccia
iridescente di amore
I tuoi occhi si sono spenti
Bramosi cercano un raggio di sole
Le tue mani sono inaridite
Il tuo scrigno è sigillato
Vivi
Vi vi da men te
come queste sillabe
danzanti che in modo mirabile
si sanno accoppiare.



Alda Merini

Canzoni

mercoledì 28 settembre 2011

Poesie


Saprai che non t'amo e che t'amo

Saprai che non t'amo e che t'amo
perché la vita è in due maniere,
la parola è un'ala del silenzio,
il fuoco ha una metà di freddo.

Io t'amo per cominciare ad amarti,
per ricominciare l'infinito,
per non cessare d'amarti mai:
per questo non t'amo ancora.

T'amo e non t'amo come se avessi
nelle mie mani le chiavi della gioia
e un incerto destino sventurato.

Il mio amore ha due vite per amarti.
Per questo t'amo quando non t'amo
e per questo t'amo quando t'amo.


Pablo Neruda

Canzoni

Pensieri


Ci sono momenti in cui tutto va per il verso giusto. Non occorre spaventarsi. Sono momenti che passano.



Jules Renard, Diario, 1887/1910 (postumo, 1925-27)

Cinema


Una squadra di assi dello spionaggio industriale è costretta dal governo a recuperare un prezioso decodificatore. La trama è molto aggrovigliata, tanto che dà luogo a due film in uno. Nella prima parte prevalgono i toni leggeri della commedia, poi si ricomincia da capo con il thriller e la suspense. P.A. Robinson, regista competente, mimetizza ambizioni d'autore sotto la vernice di un efficiente mestiere hollywoodiano puntato al divertimento. Ci riesce benissimo. Il titolo italiano è deviante: sneakersè un termine che indica le scarpe da tennis e chi le indossa; to sneak sta per introdursi furtivamente, e con le scarpe da tennis si è veloci e silenziosi.Cast stellare con Redford e Poitier su tutti.Uno di quei film che si rivede sempre volentieri.

Fumetti


Sergio Bonelli, con quei fumetti che ereditò dal padre Gianluigi Bonelli, ha letteralmente cresicuto molti di noi . Perché Sergio era uno di famiglia, il fratello di Tex Willer. E non vorremmo essere nei panni di Kit Carson e del Ranger, oggi sarà una brutta giornata per loro: fu Sergio a sostituire, per primo, il padre come sceneggiatore del più longevo eroe a fumetti d'Italia.

E che dire di Zagor ? Sotto lo pseudonimo di Guido Nolitta lo fece nascere nel 1961 e ne scrisse le storie più belle. Anche lui, pur guascone, non riuscirà a trattenere le lacrime. D'altronde Bonelli jr lo (de)scriveva sempre come un duro dal cuore tenero e dalla lingua lunga. Inconsolabile sarà il suo figlio prediletto, Mister No, classe 1975. Si sarà nascosto in una foresta a smentire il suo temperamento ilare e sbruffone. Il suo compagno d'avventura se n'è andato e senza tante parole, come piaceva a loro.

Un uomo intelligente e appassionato, semplice ma mai banale, divorato dalla volontà di diffondere quell'arte del fumetto sempre sottovalutata.

Gliene hanno dette di tutti i colori, eppure era il migliore in Italia, l'unico che sia riuscito a costruire una realtà solida che sapeva unire qualità e quantità. Nel nostro paese il successo è una colpa e i detrattori hanno sempre voluto ignorare la sua rivoluzionaria integrità: mai un gadget è passato per i fumetti Bonelli, il cellophane per loro non è mai esistito. E nonostante fosse golosa la torta da spartire, cedette al marketing di rado e con riluttanza- eppure immaginate i milioni di euro che potrebbe portare uno sfruttamento intensivo, che so, del marchio Dylan Dog?-, così come gli aumenti di prezzo sono sempre stati contenuti e spiegati al lettore, dall'editore in prima persona, con rispetto e dovizia di particolari. E' stato un innovatore sul piano estetico come su quello etico. Sempre attento al pubblico, perché riteneva giustamente il fumetto un'arte popolare, nel senso più nobile del termine, è uno che ha tirato fuori autori e disegnatori straordinari e fuori dagli schermi. Da Paola Barbato a Roberto Recchioni, senza scomodare Sclavi e arrivando fino a Luca Enoch, nel suo catalogo ha sempre accolto tutti coloro che mostrassero talento e amore per il meraviglioso mondo delle nuvole parlanti. Fece per mamma Tea, erede dell'impero del marito, il magazziniere, il fattorino, colui che rispondeva alle lettere di lettori. Nel 1957 prese sulle sue spalle l'azienda di famiglia, la Cepim, che poi diverrà la Sergio Bonelli Editore: resistette agli americani come agli indipendenti italiani, al successo degli anni '80- che avrebbe dato alla testa a chiunque: Dylan, come Tex, ha fatto la storia- come alla crisi inesorabile degli anni successivi. Si era inventato anche le miniserie, con il suo team: non le amava, "a me piace rischiare, vedere un personaggio accompagnarti durante tutta la vita". Lui, imprenditore, romanticamente, rimpiangeva il rischio rispetto all'andare sul sicuro. Da lì, comunque, ha tirato fuori altri capolavori, da Demian a Volto Nascosto, fino ad arrivare ai meravigliosi romanzi a fumetti degli ultimi anni.

Ha lasciato sempre ai suoi autori il tempo di chiudere le loro avventure- vedi Magico Vento (solo Ken Parker si sottrasse, per il suo e il nostro dolore, alla regola)- o l'opportunità di fare i propri errori- come Gregory Hunter per uno dei geniali autori dell'uomo del futuro-, ha sempre tenuto aperto la sua porta alle novità.

Quando lo incontravi citava Sprayliz, Lazarus Ledd, Cybersix, John Doe come lavori di assoluto valore, come vicini di casa che forse non avrebbe mai potuto pubblicare ma che leggeva con interesse. Quasi 80 anni e consumava albi con la voracità e la curiosità di un ragazzino, voleva personaggi eroici e amava anche quelli mai "granitici": Ken e Nathan, per esempio, hanno un mondo dentro di una profondità e di una complessità straordinaria.

Non gli sarebbe piaciuto questo pezzo, forse. Era un burbero che per farti i complimenti per un pezzo, ti diceva "hai scritto quello che volevo dire, sei stato onesto, bravo".

E poi borbottava se, emozionato, gli chiedevi una foto come il peggiore degli ammiratori fanatici. Questa celebrazione non l'avrebbe tanto apprezzata, eppure ci piacerebbe vedere il suo feretro portato a spalla da Tex e Zagor, da Mister No e Martin Mystère, da Ken Parker e Dylan Dog, da Nathan Never e Julia, da Dampyr, Kurjak e Tesla a Legs Weaver, da Brandon a Ned Ellis, alias Magico Vento. E magari Cassidy e Lilith in disparte, per non farsi vedere, visto il loro caratteraccio e la loro abitudine a commettere reati. Sono tanti, eppure abbiamo citato solo una parte dei personaggi che ha fatto nascere e crescere con noi e che non abbandonava mai: nei mitici Almanacchi, la sua introduzione affezionata e sempre umile- ammetteva sempre che quell'argomento approfondito da uno dei suoi lo conosceva poco e l'aveva scoperto con gusto- non mancava mai. La scomparsa di un editore così renderà l'industria del fumetto e la cultura italiana molto più povere, anche se sicuramente saranno all'altezza degli onori e oneri che lascia i suoi eredi, a partire da Marcheselli.

sabato 24 settembre 2011

Cinema


Nel futuro prossimo, la multinazionale The Union fornisce l’impianto di infallibili organi meccanici per migliorare le prestazioni di vita a fronte di periodici versamenti di denaro. Ai clienti insolventi fanno visita i “repo men”, agenti autorizzati all’espianto immediato senza il minimo riguardo per la sopravvivenza dei corpi ospiti. In seguito ad un incidente sul lavoro, anche il miglior recuperatore in circolazione subisce l'installazione di un cuore artificiale, con la conseguenza di diventare in breve un bersaglio per il suo ex socio.
La storia non nuova raccontata nel romanzo "The Repossession Mambo" di Eric Garcia, da cui è tratta la sceneggiatura del film, si iscrive nel lungo novero di quelle che avanzano ipotesi sui sistemi di socialità di domani senza tralasciare la riflessione sull’oggi. Oltre ad essere un discreto esempio di fantascienza, anche l’esordio dietro alla macchina da presa di Miguel Sapochnik appare ugualmente puntato sul mondo attuale, sull’ossessione del denaro e sull’arrivismo che lo muove, visto come la causa dell’orrore di un futuro davvero prossimo. Per questo le strade in cui si muovono i personaggi hanno poco di differente da quelle di una qualsiasi metropoli contemporanea, così come sono uguali le automobili, le feste in giardino, le partite in TV, i vagoni delle metropolitane o i rapporti lavorativi e famigliari. Ingiustamente punito al botteghino,Repo Men è la storia di un cambiamento inaspettato, della fuga verso la salvezza di un uomo che, solo trovandosi dall’altra parte della barricata, capisce la follia di quanto è stato.
Al discorso centrale su una diffusa mancanza di umanità e alla costruzione di un meccanismo a suspense rivisto, ma tutto sommato efficace si somma l’insistita esplorazione dei corpi: l'efferata eppure sensuale sequenza del pre-finale tra Jude Law e Alice Braga, i continui dettagli delle asportazioni, i trapianti, le operazioni di fortuna. Tra la voce off del protagonista che ci guida in un paesaggio già follemente vicino e le interpretazioni di una buona squadra di attori, la pellicola non lesina azione, violenza e un certo numero di scene riuscite, specialmente nel primo terzo.Un film molto violento,con scene d'azione veramente di altissimo livello e un soggetto molto originale.Jude Law veramente ottimo cosi come Whitaker e la Braga,ottima anche la regia.

Canzoni

Canzoni



Dusk is dawn is day
Where did it go?
I’ve been laughing
Fast and slow
Moving in a still frame
Howling at the moon
Morning found me laughing
Up and down, down
Low low low
Night suits me fine
And morning suits me fine
I’ve been so happy
Way up high, high
In between
Down below
Low low low

I skipped the part about love
It seems so silly and low
Low low low
Low low low

I said the morning
It isn’t your time
Barefoot naked
I can see your lines
It doesn’t bother me
That you are right
Your grass is grassy wet
Your light white is bright
Light white light

I skipped the part about love
It seems so shallow and low
Low low low
Low low low

You and me
We know about time
We know how things go
They come and go
They live and grow
They pass and go
And glow and glow
Up and down
High and low
Low low low
Low low low

I skipped the part about love
It seems so silly and low
I skipped the part about love
It seems so shallow and low
Low low low
Low low low

I like your hands
All full of glory
All full of glory


Grazie per tutti i colori che la vostra musica ha saputo portare nella nostra vita....

Cinema


Fotoreporter quarantenne fallito lascia San Francisco per il Salvador, tirandosi dietro un amico puttaniere come lui. Entra in contatto con la guerriglia e incontra un temerario collega che muore tra le sue braccia. Ispirato a un personaggio reale, forte, serrato, coinvolgente, è il più aspro tra i film americani sul Terzo Mondo, quello che denuncia con maggior vigore le complicità di Washington con i regimi militari nell'America Centrale.Un film denuncia bellissimo,forte,documentato,un Oliver Stone in spolvero che mostra tutte le menzogne,le brutture,gli scempi della politica Nordamericana nei paesi sudamericani,trattati come colonie dell'Impero.Eccellenti James Woods e James Belushi.Basato su una storia vera.

venerdì 23 settembre 2011

Pensieri


“L'amore è un fumo che sorge dalla nebbia dei sospiri; se lo purifichi è un fuoco che sfavilla negli occhi degli amanti, se lo agiti è un mare ingrossato dalle loro lacrime. E che altro può essere? Una pazzia discreta, un'amarezza che soffoca e una dolcezza che alla fine ti salva.”


Romeo e Giulietta (Shakespeare)

Canzoni




Per la Mia Scespirina.....

Scienza

Einstein ha ancora ragione: troppo presto
per dire che il neutrino corre più della luce

Dopo l'esperimento del Cern c'è chi si affretta a mandare in soffitta la teoria della relatività. Ma gli stessi autori dello "scoop" scientifico avvertono che il risultato va verificato con nuovi test. Polemiche sull'anticipazione di Zichichi su "Il Giornale"

Guidati da Antonio Ereditato, scienziato italiano in forza all’Università di Berna, i ricercatori coinvolti nell’esperimento Opera (Oscillation Project with Emulsion-tRacking Apparatus) del Cern di Ginevra hanno assistito a un fenomeno teoricamente inspiegabile, almeno finora: l’esistenza di particelle più veloci della luce. In contraddizione con la regola fondamentale della fisica moderna, secondo cui nessun corpo che abbia una massa può abbattere la velocità della luce, i neutrini hanno impiegato 60 nanosecondi in meno dei fotoni per coprire i 730 chilometri di distanza che separano il Cern di Ginevra dai Laboratori Nazionali del Gran Sasso.

“Se confermata – dice senza esitazione Giuseppe Longo, docente di astrofisica alla Federico II di Napoli – non si tratterebbe solo della scoperta del secolo, ma della scoperta scientifica più importante dopo le osservazioni di Galileo. Saremmo costretti a rivedere gran parte sia della fisica dell’infinitamente grande, e sia della fisica dell’infinitamente piccolo”. Ma prima di mettere mano alla quantistica e alla cosmologia, è il caso di pazientare ancora un po’, a dispetto di chi già parla di “scardinamento” di Einstein e della Teoria della relatività. “Nel migliore dei casi si tratta di sprovveduti, anche se bisogna dire che i primi ad andarci cauti sono gli stessi autori della scoperta, tutti scienziati serissimi”.

Cosa è successo. Analizzando gli oltre 15 mila neutrini sinora prodotti dall’acceleratore del Cern Super Proton Synchrotron lungo il “tragitto” Cngs (Cern NeutrinoS to Gran Sasso), Ereditato e colleghi hanno osservato queste particelle (che, benché piccolissime, sono comunque dotate di una massa) superare la velocità dei fotoni, ovvero di particelle senza massa in grado di raggiungere circa un miliardo di chilometri l’ora. In barba alla teoria della relatività, i neutrini viaggerebbero a una velocità superluminale. “Si violerebbe, tanto per dire, il principio di causalità, secondo cui il verso dell’l’informazione può trasmettersi nel tempo solo andando in avanti”.

Accanto all’entusiasmo generale, emerge però qualche perplessità. “È bene non dimenticare che lo scopo di Opera è quello di osservare un particolare fenomeno relativo a queste particelle, vale a dire l’oscillazione dei neutrini da uno stato detto muonico a un altro stato, cosiddetto tauonico. Cronometrare la loro velocità non è la misurazione cui quei sistemi sono stato precipuamente progettati”. Ma la cosa non depone necessariamente a sfavore. “Quasi tutte le scoperte più importanti sono state fatte per sbaglio. Del resto se uno vuole andare a verificare qualcosa, vuol dire che quel qualcosa non era poi tanto un segreto”.

Anche da un punto di visto teorico non si tratta di una novità assoluta. I fisici da tempo ragionano sulla possibilità di rivedere la Relatività einsteinaina attraverso la cosidetta generalizzazione della relatività ristretta. “Anche se avere dei dati sperimentali è ovviamente tutta un’altra cosa”. La cautela più grande di fronte a questi dati nasce tuttavia da alcuni esperimenti omologhi già effettuati in passato. Nel 2007 un fenomeno simile a quello accaduto all’equipe del Cern e dell’Infn si è verificato in Minnesota. In quell’occasione il Main Injector Neutrino Oscillation Search (Minos) ha segnalato un fascio di neutrini provenienti dal Centro di fisica delle particelle di Fermilab, in Illinois, arrivare leggermente in anticipo sui tempi previsti.

“In quel caso i ricercatori hanno minimizzato il risultato – spiega Longo – perché c’era troppa incertezza circa la posizione esatta del rivelatore per essere sicuri della significatività dei dati, considerandoli quindi come un probabile effetto di un errore sistematico”. Un altro dato da ricordare prima di dare Einstein per spacciato è rappresentato dall’esplosione di una Supernova relativamente vicina alla Terra avvenuta nel 1987. Una supernova è una sorta di fabbrica di neutrini e quando esplode ne emette tantissimi. “Se i neutrini viaggiassero effettivamente 10 nanosecondi in più della luce, come attesterebbe l’esperimento del Cern – evidenzia l’astrofisico – in quell’occasione i neutrini sarebbero dovuti atterrare sulla Terra 4 anni prima dell’avvistamento del lampo. Ma non è stato così”.

Questo significa che quello che è accaduto nelle profondità tra Ginevra e il Gran Sasso è solo il frutto di una svista? “Nient’affatto – precisa lo scienziato – perché in questi casi deve considerarsi anche la potenza di esplosione e potrebbe darsi che i neutrini emessi dalla Supernova epsolosa nell’87 fossero in un certo senso più deboli di quelli emessi dal Sincrotone”.

Insomma, prima di riscrivere le pagine della fisica bisogna attendere la ripetizione di questi esperimenti da terzi. “Se davvero si tratta di un errore connesso al sistema solo altre macchine possono darci la certezza dei risultati sperimentali. Ma del resto questo è quel che dicono anche Ereditati e gli altri ricercatori nell’articolo pubblicato ieri su ArXiv. Lo ripeto, si tratta di scienziati seri che a differenza di altri non sono alla continua ricerca visibilità”.

La polemica che attraversa gli addetti ai lavori nasce dal fatto che l’anticipazione fatta sul Il Giornale dal fisico Antonino Zichichi ha in gran parte vanificato il lavoro scrupoloso di divulgazione dei dati della scoperta, favorendo un enorme polverone mediatico che ha rischiato di portare discredito all’intera comunità scientifica. La scoperta infatti non è di quelle che possano essere sussurrate su un giornale, e avrebbe meritato, sostengono molti ricercatori, la massima attenzione.

Internazionale


Usa, giustiziato Troy Davis
falliscono tutti gli appelli per salvarlo

Ha vissuto quattro ore di più. Doveva morire, per iniezione letale, alle sette di sera. Il suo appello alla Corte Suprema degli Stati Uniti, perché bloccasse l’esecuzione, l’ha fatto arrivare alle 11 di sera. I nove giudici della Corte hanno ricevuto la sua richiesta, e l’hanno respinta. E’ stato solo allora che Troy Davis è entrato nella camera della morte della prigione di Jackson, Georgia. L’hanno legato al lettino, gli hanno praticato l’iniezione. Otto minuti dopo è stato dichiarato morto.

Sono state ore convulse, fuori della prigione di Jackson e in tutti gli Stati Uniti. Centinaia di persone hanno continuato la loro veglia, sul piazzale antistante il carcere. Erano soprattutto afro-americani, come Davis. Levavano cartelli di protesta, urlavano slogan come “Risparmiate la vita di Troy”, “Basta al linciaggio legale”. Accanto a loro, divisi da un cordone di poliziotti, c’erano i sostenitori della pena capitale. Tra loro, prima di entrare in carcere ad assistere all’esecuzione, è passata la vedova del poliziotto che Troy Davis, 22 anni fa, avrebbe secondo l’accusa ucciso. Ha detto: “Siamo noi le vittime, non Davis. Abbiamo delle leggi, in questo Paese. Non uccidiamo Davis semplicemente perché vogliamo”.

I legali del condannato hanno fatto di tutto, prima dell’esecuzione, per salvargli la vita. Una richiesta di sospensione dell’esecuzione è stata inviata alla Corte Suprema della Georgia. Rifiutata. Una proposta di sottoporre Davis alla macchina della verità è arrivata al Georgia Board of Pardons and Paroles. Anche questa, rifiutata. I gruppi sostenitori di Davis hanno chiesto, informalmente, l’intervento del Ministero della Giustizia, e persino di Barack Obama, perché risparmiassero Davis sulla base dei “pregiudizi razziali” che hanno condotto alla sua condanna. Ma Obama, e il segretario alla Giustizia, Eric Holder, non hanno risposto. Quando anche la Corte Suprema di Washington, la massima istanza giuridica degli Stati Uniti, ha detto no, il destino di Troy Davis era segnato.

La confusione e la frenesia delle ultime ore concludono una vicenda divenuta negli anni un vero caso internazionale. Molte organizzazioni abolizioniste, a cominciare da Amnesty International, hanno fatto della storia di Troy Davis una delle loro bandiere, per dimostrare pecche e incongruenze del sistema giudiziario statunitense. Soprattutto, di quello che porta un uomo a essere condannato a morte. In effetti, il caso di Davis mostra più di un’incongruenza. Questo afro-americano, oggi 42enne, fu arrestato e condannato a morte per l’omicidio di Mark MacPhail, un agente privato della sicurezza, ucciso a Savannah nel 1989. MacPhail intervenne una notte, davanti a un Burger King, a difesa di un homeless che veniva selvaggiamente picchiato da un gruppo di ragazzi. L’agente venne colpito con due pallottole di una calibro 38, al cuore e in piena faccia. Morì immediatamente. Una serie di testimoni identificarono in Troy Davis l’autore dell’assassinio. E le pallottole ricollegarono la calibro 38 a un’arma precedentemente usata da Davis.

L’arma dell’omicidio non fu però mai trovata. La perizia degli agenti balistici venne più tardi messa in discussione. Sette dei nove testimoni chiave, che in un primo tempo avevano giurato sulla colpevolezza di Davis, ritrattarono le loro accuse. Lentamente, emersero testimonianze e accuse sulle pressioni esercitate dalla polizia per incastrare Davis. Il quadro probatorio finì per apparire così debole che un milione di persone firmarono la petizione per salvare Troy Davis dall’inizione letale (tra queste, l’ex-presidente USA, Jimmy Carter, papa Benedetto XVI, un’ex direttore dell’FBI). “Quando si condanna a morte un individuo, bisogna essere moralmente certi di quello che si fa. E in questo caso, non esiste l’assoluta certezza morale della colpevolezza di Davis”, ha detto Larry Thompson, vice-ministro della giustizia di George W. Bush.

La mobilitazione, nazionale e internazionale, non è però servita. Davis è stato messo a morte dallo stato della Georgia, e molti di quelli che in questi anni si sono battuti per la sua liberazione lanciano ora accuse esplicite di razzismo. “Siamo tornati a prima del Civil Rights Act del 1964. Siamo tornati a una nuova era di segregazione. I neri di questo Stato conoscono molto bene la sensazione”, ha detto il reverendo Raphael Warnock, che oggi dirige la chiesa dove servìMartin Luther King. Poco si sa delle ultime ore del condannato. Secondo alcune testimonianze, avrebbe rifiutato l’ultimo pasto offerto dalla prigione. Una funzionaria di Amnesty International, che l’ha visitato martedì scorso, lo descrive “di buon’umore, deciso a combattere fino all’ultimo respiro”. “La battaglia per la giustizia non finisce con me. La battaglia è per tutti quelli che verranno dopo di me”, ha scritto Troy Davis in una lettera, poco prima di entrare nella camera della morte.

Accadimenti

Il pentimento dell’on. avv. “Mavalà” Ghedini

Mai, mai, mai. Mai avremmo pensato di dover celebrare il de profundis del memorabile“Mavalà” ghediniano, nello spazio angusto di questo squarcio di inizio secolo. Mai su queste pagine. Mai con il Cavaliere ancora epicamente impegnato a far danni. Sarebbe come se Mariastella Gelmini si spingesse a dire che le sta a cuore la scuola pubblica, come se Renato Brunetta carezzasse un precario, come se Sabina Began – l’arma letale del Cavaliere – con la sua splendida vocetta flautata, chiamasse Italo Bocchino e gli dicesse: “Sei un ragazzo sensibile, ho letto il tuo sms, e mi ha colpito profondamente. Voglio stare con te perché mi desideri!”. Bestemmia.

“Faccio vita ritirato, io”
. L’uomo che riuscì a tramutarsi in un innocente Rasputin del berlusconismo, il Cavaliere templare di Arcore nell’arena teatrale e sbarrata di Annozero, il bardo legislatore capace di riscrivere ogni cavillo del codice civile con la leggerezza di un bulldozer e la precisione chirurgica di un killer sentimentale, pur di salvare anche un solo processo del suo cliente, improvvisamente getta lo spadone e l’armatura, si straccia la toga di primo difensore e davanti ai magistrati dice: “Faccio una vita molto ritirata, sto moltissimo con il Presidente, ma nelle ore di lavoro”. Dopo cena? “Dopo cena no”. Sarebbe come se Noemi Letizia gettasse i suoi zigomi in titanio, le sue labbra lipopneumatiche e le sue protesi siliconate quarta C (coppa larga), come se Pietro Lunardi facesse una vibrante dichiarazione antimafia, come se mentre scoppia una catastrofe mondiale, Franco Frattini non si facesse sorprendere in settimana bianca. Mai mai mai. Anzi, impossibile.

Ecco perché occorre dire che il “Mavalà” fu davvero l’epigrafe di un’epoca, l’icona di una stagione di teleguerriglia, uno stendardo azzurro. Ed era stata proprio la china alata del nostro The Hand (subito raccolta e celebrata dalla penna di Marco Travaglio) a fare di quell’intercalare un sistema di pensiero. Quando Ghedini gridava “Mavalà” ad Annozero, nel paese si fermavano gli orologi, i bimbi insonni cessavano il pianto. In quel volto opalescente e crisantemico si riassumeva qualcosa di più di un grumo di berlusconismo avvocatizio: c’era il senso di sdegno della grande borghesia produttiva e anti-intellettuale del Nord, in quel moto di sdegno appena filtrato dalle lenti a goccia di vetro, c’era il riverbero di un blocco sociale che il centrodestra seppe catalizzare prima che i sogni finissero.

Adesso Ghedini va dai magistrati con tono dimesso, non si avvale nemmeno del segreto professionale, ci tiene a segnare la differenza fra se stesso e il presidente del Consiglio. Sono una donna / non sono una santa, sono il suo difensore, non sono mica un suo amico, un frequentatore di “cene eleganti”. Leggere per capire: “Non ho ottenuto nessuno dei risultati che mi prefiggevo”. E anche: “Il presidente ha una straordinaria capacità di comprensione delle debolezze umane, io non ce l’ho”. Notare la perfida ironia dell’aggettivo “umane” riferito a Tarantini. Insomma, alla stessa velocità implacabile in cui la luce sgretola il regno dell’ombra nel finale epico della trilogia tolkieniana, il crepuscolo del berlusconismo annichilisce le trasfigurazioni che costituirono lo scudo del Cavaliere.

Neanche Di Pietro. Ghedini non parla. Ghedini adesso si dissocia: “Il presidente mi pare che abbia detto: ‘A Tarantini gli ho fatto avere 500 mila euro’. E io gli ho detto: ‘Quando, come, perché?’ Quando ho saputo questa cosa non ho reagito entusiasticamente, soprattutto quando ho saputo che la dazione era avvenuta tramite Lavitola”. Adesso, per cortesia, pesate le parole, perché Ghedini con le parole ci vive, ci produce reddito. Ghedini è pagato all’ora, come gli avvocati americani, mille euro all’ora, mille euro per tremila parole, quando noi diciamo “mavalà, mavalà, mavalà” prendiamo fiato, quando lo dice Ghedini ha già guadagnato un euro. Ghedini era discepolo e profeta del Berlusconi che schioccava tre volte le dita davanti alla stampa estera e diceva: “In questi tre secondi ho già guadagnato tremila euro”.

Ed è per questo che Ghedini non può dire “dazione”, e associare questa parola contundente a Berlusconi. Perché “dazione” è il vocabolo dipietrese con cui l’ex pm più famoso d’Italia ha battezzato le tangenti di Mani Pulite. Quando dice “dazione” davanti ai magistrati è come se Ghedini stesse dando a Berlusconi del corrotto davanti ai giudici che lo indagano, è come se fosse diventato per il Pdl quello che Roberto Peci è stato per le Br. E dire che Ghedini era l’uomo che con le parole costruiva giochi di prestigio, quello che nascondeva il concetto di puttaniere dietro la meravigliosa invenzione burocratica dell’“utilizzatore finale”. Che poi non voleva dire un beneamato cavolo, ma sempre meglio di quello che voleva nascondere, era. Ghedini che dice “Sì, d’accordo, no, faccio l’avvocato penalista da non pochissimi anni, posso aver espresso giudizi non collimanti con i suoi, sia su Tarantini, sia su Lavitola, non ho ottenuto nessuno dei risultati che mi prefiggevo”.

L’infiltrato ad Arcore. È il proclama di una resa. È come se Mara Carfagna avesse davvero letto la letteratura francese che raccontava di aver divorato da ragazza in una sdegnata replica a Filippo Facci, è come se Susanna Petruni pensasse davvero che la farfalla è un insetto, è come se Augusto Minzolini facesse uno dei suoi video-editoriali sul processo Mills, e si ricordasse di dire che non è stato assolto. Di fronte a questa metamorfosi del “Mavalà”, non si può che applaudire il primo pentito del berlusconismo, esattamente come il generale Alberto Dalla Chiesa considerò Peci un eroe dell’anti-terrorismo. Quando si arriverà al 25 aprile, per cortesia, facciamogli avere un salvacondotto speciale e una medaglia. Ormai è un nostro infiltrato. Ghedini è il Donnie Brasco delFatto ad Arcore di questo iridescente fine regime.


Luca Telese