lunedì 6 gennaio 2014

Televisione





Storia della fotografia
In un mondo in cui la fotografia è alla portata di tutti, che cosa rende davvero unico uno scatto?

laeffe presenta la prima serie televisiva che ripercorre le principali tappe della storia della fotografia, una delle forme d’arte più influenti della contemporaneità. Sei puntate per cercare di capire perché le fotografie di alcuni grandi artisti siano diventate l’espressione di un’epoca e in che cosa esse si differenzino da quelle che noi scattiamo tutti i giorni.
Quando la televisione non è solo pacchi,pacchetti,quiz,ballerine scosciate e uomini mezzi nudi,ma è informazione,cultura,divulgazione.Un programma bellissimo,adatto non solo a chi ama ed è interessato alla fotografia,ma anche a chi è semplicemente curioso di capire l'evoluzione tecnologica della ripresa della realtà e l'arte e il lavoro che c'è e c'è sempre stato dietro.

Serie Tv







Il dottor Daniel Pierce è un eccentrico e talentuoso neuroscienziato che viene contattato dal FBI per delle consulenze su alcuni dei loro casi più complessi. Ad aiutarlo nelle indagini saranno l'agente speciale Kate Moretti, una sua ex-allieva che lo ha contattato per collaborare col Bureau, il suo assistente Max Lewicki e la sua migliore amica Natalie Vincent.Serie molto originale e strana,sia il suo protagonista parla e vede persone inesistenti e risolve casi grazie all'apporto proprio di persone che vede solo lui e alle sue intuizioni investigative,che l'ambientazione,casi apparentemente senza soluzione o con una risolvibilità estrema,che invece celano sempre una doppia verità.Forse è proprio questo il segreto del successo di questa serie tv,l'imprevedibilità.

Canzoni


Pensieri






D'ora in poi, e per alcune centinaia di anni, l'universo aiuterà… i guerrieri della luce, e ostacolerà… chi ha dei preconcetti.
L'energia della Terra ha bisogno di essere rinnovata.
Le idee nuove necessitano di spazio.
Il corpo e l'anima abbisognano di nuove sfide.
Il futuro si È tramutato in presente, e tutti i sogni, tranne quelli che implicano dei preconcetti, avranno la possibilità… di manifestarsi.
Ciò che È importante, persisterà…; ciò che È inutile, scomparirà…. Il guerriero, però, sa che non È suo compito giudicare i sogni del prossimo, e non perde tempo a criticare le decisioni altrui.
Per credere nel proprio cammino, non ha bisogno di dimostrare che quello dell'altro È sbagliato.
Un guerriero della luce studia con molta attenzione la posizione che intende conquistare.
Per quanto il suo obiettivo sia difficile, esiste sempre una maniera di superare gli ostacoli. Egli verifica i cammini alternativi, affila la sua spada, e cerca di colmare il proprio cuore con la perseveranza necessaria per affrontare la sfida.
Tuttavia, a mano a mano che avanza, il guerriero si rende conto che esistono difficoltà… di cui non aveva tenuto conto.
Se rimane ad aspettare il momento ideale, non uscirà… mai da quel luogo; È necessario un pizzico di follia per compiere il passo successivo.
E Così il guerriero utilizza un briciolo di pazzia. Perché‚, in guerra e in amore, non È possibile prevedere tutto.
Un guerriero della luce conosce i propri difetti. Ma conosce anche i propri pregi.
Alcuni compagni si lamentano in continuazione: "Gli altri hanno più opportunità… di noi."
Forse hanno ragione. Ma un guerriero non si lascia paralizzare da questo. Cerca di valorizzare al massimo le proprie qualità….
Sa che il potere della gazzella consiste nell'abilità… delle sue zampe. E quello del gabbiano È nella precisione con cui afferra il pesce. Ha appreso che una tigre non teme la iena perché‚ È consapevole delta propria forza.
Allora cerca di sapere su cosa può contare. E controlla sempre il suo equipaggiamento, composto di tre cose: fede, speranza e amore.
Se queste tre cose sono presenti, egli non ha alcuna esitazione nell'andare avanti. Il guerriero della luce sa che nessuno È stupido, e che la vita È maestra per tutti, anche se ciò richiede tempo
Egli dà… sempre il meglio di sè‚, e dalla vita si attende il meglio. Inoltre, con generosità…, cerca di dimostrare a tutti le potenzialità… di ciascuno.
Alcuni compagni commentano: "Esistono persone ingrate."
Il guerriero non si lascia scoraggiare. E continua a stimolare il prossimo, perché‚ È una maniera di spronare se stesso.



Paulo Coelho

Film









Difficile tradurre in immagini un libro,specie un libro bellissimo e complesso come quello da cui è tratto questo film.Posso dire che pregio e difetto principale del film di Bille August,autore da me molto apprezzato anche se a volte troppo didascalico,è che è stato troppo fedele al libro,per me doveva discostarsi un po' per dare ariosità alla sceneggiatura.Cosi il confronto,per chi ha letto ed amato questo libro come me,risulta impietoso.Il libro è completo,nella sua storia,nelle sue metafore,nella sua filosofia,nell'evolversi pagina dopo pagina dei destini dei vari personaggi.Nel film invece è tutto mescolato e lo spettatore che non avesse letto il libro si troverebbe spaesato e a non capire tante cose,perchè quel mite professore svizzero ad un tratto decide di prendere un treno per il Portogallo inseguendo un libro trovato in tasca ad una aspirante suicida?Perchè quella ricerca affannosa delle motivazioni di vita del medico Amadeu do Prado?Perchè inseguire in un ospizio un vecchio testimone dei fatti?Perchè appassionarsi alla Resistenza portoghese contro il regime spietato e fascista di Salazar?Nel libro è tutto consequenziale,tutto scorre lungo i binari come quel treno che prende il professor Gregorius,mentre nel film le scelte appaiono insensate,le scene astruse dal contesto,e solo la storia del tradimento della giovane donna spezzando cosi un'amicizia che sembrava per sempre tra Amadeu e il suo compagno di classe e di scorribande,regala attimi di vera emozione.Salva il tutto la fotografia della splendida Lisbona,l'interpretazione come sempre magistrale di Jeremy Irons,le caratterizzazioni alte di Bruno Ganz,e quell'atmosfera malinconica che il regista riesce ad imprimere,non so se volontariamente o meno,che è il tratto che ho maggiormente apprezzato nel film.Il professore è quasi rassegnato alla monotonia della sua vita e cosi tutta quella avventura,quel vivere forsennato e sul filo del rasoio gli regala una seconda giovinezza,un entusiasmo che sembrava ormai spento per sempre in lui.Cosi anche la corte dolce e discreta che riceve da parte dell'oftalmologa,e che delineerà la sequenza finale del film,sono come una primavera per quest'uomo destinato ad un autunno troppo precoce,per la sua intelligenza,per la sua cultura,per la sua dolcezza interiore.

Canzoni


Poesie








Pennellate.
Di cuore, di alito di sole.
Chiaro scuri che nascono
tra le piante, sui muri
e accarezzano i desideri.
L'inizio nasconde i fare
decisi, precisi e veri
ed include comunque l'osare,
prendersi per mano
e puntare solo lontano,
corteggiando la paura,
rendendola complice
di ogni avventura.
Credersi all'altezza,
e respirare certezza.
Sedersi nelle perplessità
senza mai smettere
di andare più in là.
Del visibile, del possibile.
Tremare nel provare.
Di sorrisi saper aspettare.
Perchè "l'essere davvero"
s'immerge solo nel nero più nero
ed impara a specchiarsi
dentro ogni arcobaleno.
Mai niente di meno.

Così il cuore mai più distratto,
con l'anima stringe un unico patto:
imparare a sillabare
l'impegno di riuscire a volare.

Gaëlle © 2014

sabato 4 gennaio 2014

Film








Clay Hammond è un celebre scrittore corteggiato da una seducente dottoranda che vorrebbe carpire la verità dentro e dietro il suo romanzo. Avvicinato durante una lettura pubblica, Clay si limita a confessare i primi capitoli del libro introducendo la vita del suo personaggio: Rory Jansen, che si sogna scrittore e sogna il libro della vita, libro che arriverà dentro una vecchia ventiquattrore e non attraverso un'ispirazione. Pubblicato e raggiunto il successo a colpi di premi letterari, Rory viene seguito e poi ammonito da un vecchio signore che rivendica la paternità del libro e la storia della sua vita. Scoperto, Rory proverà a rimediare e poi a convivere con la menzogna e i propri limiti. A non riuscirci sarà la giovane moglie a cui lo scrittore, alla maniera del suo creatore, ha mentito. Perché Rory è probabilmente una proiezione di Clay e Clay il prosatore di se stesso.
The Words, film d'esordio degli sceneggiatori Brian Klugman e Lee Sternthal, è un dramma intrigante intorno al tema della narrazione, una riflessione sull'arte di raccontare storie, o più propriamente sul bisogno di farlo. Al punto di rubare un manoscritto per farsi scorrere tra le dita il piacere delle parole o di ripudiare la propria consorte per averle perdute. Storia dentro un'altra storia che diventa Storia, The Words è affollato di personaggi col vizio della scrittura: chi lo fa per mestiere, chi ha un romanzo nel cassetto, chi ha perduto il libro della vita insieme alla propria vita. Tutti registrano un'urgenza di comunicare, di esplorare e di esplorarsi, di dare uno sfogo alla tristezza e una forma alla vita, di ritrovare quello che si è sprecato, di scoprire quello che non si è mai avuto. La cornice del film è un reading letterario, letteralmente narrante, dove non è nemmeno sempre chiaro cosa è vero e cosa no, chi è chi, chi ha scritto cosa, chi ha inventato chi. Klugman e Sternthal confondono impercettibilmente i piani del reale e della finzione, dove i sogni e i desideri hanno la stessa nitidezza del momento presente. Alla maniera di una scatola cinese, Clay Hammond racconta Rory Jansen che plagia un vecchio uomo che romanza un amore conosciuto e poi smarrito come le pagine del suo libro. L'immaginazione per i tre protagonisti (Dennis Quaid, Bradley Cooper e Jeremy Irons), che potrebbero essere in fondo la stessa persona, è un laboratorio in cui fermentano le emozioni della vita reale e in cui fervono i preparativi per la vita reale, quella che si ha paura ad affrontare e su cui non ci è mai concesso un secondo giro. Ma se esiste un solo modo di vivere una vita, ne esistono almeno tre per raccontarla, suggerisce The Words, seguendo parallelamente quella reale e quella finzionale, quella creata e quella rubata, quella navigata e quella naufragata. L'idea dei registi, nel modo del cinema, mette il mondo in movimento dentro una cornice e attraverso le parole. Parole seminate nelle immagini in attesa che attecchiscano stando a vedere (e ad ascoltare) quello che succederà.Strepitosa interpretazione del sempre grande Jeremy Irons.

Canzoni


Comicità







Ma tu mi ami?
Ma che domanda! Solo perché mi ritraggo quando cerchi di toccarmi!




Woody Allen

Film







Jerry Falk è un giovane aspirante scrittore di New York. Incontra Amanda, una ragazza libera e spregiudicata, e se ne innamora pazzamente. Amore e passione, però, non bastano a tenere in piedi la relazione e Jerry chiede aiuto al suo mentore. Questo film rappresenta una svolta nel cinema di Woody Allen per più motivi. Quello più esteriore è la sua presenza (per la prima volta dopo anni e anni di programmazione dei suoi film e anche dopo l'assegnazione del Leone d'oro alla carriera che fece ritirare da Carlo Di Palma) alla Mostra del Cinema di Venezia. Quelli invece più sostanziali stanno, come è giusto che sia, sul piano dello stile e del contenuto del film. Sul piano stilistico colpisce il frequentissimo uso che Woody fa dello sguardo in macchina. Jerry non perde occasione per rivolgersi allo spettatore, coinvolgendolo quindi direttamente nelle sue vicende.
Woody poi utilizza per la seconda volta un alter ego cinematografico in compresenza sullo schermo. Lo aveva già fatto con il personaggio di Michael Caine in Hannah e le sue sorelle ma il rapporto tra i due non era comunque così diretto. Qui invece la relazione dei due è da maestro ad allievo nella difficile scuola della vita. Il primo insegna al secondo come comportarsi e nessuno dei due è in ottime relazioni con se stesso e il mondo. Ne nasce un interessante duetto con variazioni sui temi cari al regista.
Ma dove la sorpresa si fa veramente grande è quando Woody reagisce ai soprusi con la violenza. Il suo personaggio non subisce più in totale passività. Che sia cambiato qualcosa dopo l'11 settembre? Certo è che il suo cinema costituisce sempre un invito a riflettere sull'uomo e sulla sua condizione perché Woody è perfettamente consapevole, come afferma il suo personaggio, che "Se uno va alla Carnegie Hall e vomita sul palco troverà qualcun altro disposto ad affermare che si è trattato di un'opera d'arte". Allen non ama questo tipo di esibizioni e di estimatori.

Filosofia







Secondo Hegel, il delirio soggettivistico dell’anima bella che si rinchiude nella propria presunta purezza e verità, annichilendo ogni oggettività, può essere proprio anche di comunità, di gruppi, sette o partiti, all’interno delle quali gli accoliti stanno in un rapporto di mutua rassicurazione, ognuno specchiandosi nella purezza identica a se stessa dell’altro, senza alcuna relazione con la vera alterità, l’alterità Altra. Queste anime belle sono preoccupate soprattutto di cogliere la propria purezza interiore e di poterla enunciare. Dalla disposizione orale, aperta all’agire, alla contemplazione di sé: «Il suo [dell’anima bella N.d.A.] agire è l’intuizione [Anschauen] di questa sua propria divinità».
Hegel dunque non condivide l’attrazione che l’intellettualità romantica prova per questa figura chiusa in se stessa, bozzolo di una totalità onnicomprensiva. Per lui, l’Assoluto non è un tutto che riassorbe l’alterità, ma al contrario un’istanza che del lato coscienziale, finito, diviso ha sempre bisogno. Ed è per questo che all’Assoluto è proprio questo bisogno di agire, di produzione di particolarità e di incessante riassunzione di questa nell’intero, nella comprensione: «L’autosufficienza del Sapere assoluto mostra, al contempo, la capacità di autodestituirsi, di rivelarsi non un’appropriazione dell’altro, ma un suo riconoscimento. Abbiamo un movimento nel quale l’altro è reso uguale, ma anche lasciato altro».
Il punto tanto più è delicato perché dalla moralità, da Kant, non si può prescindere: è il frutto maturo del principio superiore dell’età moderna, come Hegel aveva definito il soggettivismo negli Scritti teologici giovanili.
Tuttavia questo principio imprescindibile – la sovranità del punto di vista personale, soggettivo, capace di infondere senso alle cose – non può restare confinato nel Sé, non è giusto resti strozzato nell’intimità dell’Io, e per di più di un Io appagato, chiuso, refrattario alle esperienze suscitate dal desiderio che chiama all’Altro, e che quindi va negato, rimosso, per non macchiare la purezza dell’intenzione.
La strada è tracciata, e passa per quella che oggi definiremo una critica al narcinismo, un narcisismo fondato sulla sconnessione con l’Altro, e sostanziata anche dall’avversione per quella religiosità che finisce col permearlo e con il precludergli ogni contatto col mondo, come già aveva detto a Francoforte nello scritto sulla Volksreligion: «Quanto più rigorosamente in un sistema di morale la pura moralità è in abstracto separata dalla sensibilità, tanto più quest’ultima è svalutata rispetto a quella; tanto più noi, nella considerazione dell’uomo in generale e della sua vita, dobbiamo dare particolare considerazione alla sua sensibilità, alla sua dipendenza dalla natura esterna ed interna, da ciò che lo circonda e da ciò in cui vive, dalle inclinazioni sensibili e dall’istinto cieco».
Azione e responsabilità
Idea astratta e passioni: questi due sono gli estremi che si compiono nel volere umano, incarnando la libertà, cioè l’idea etica stessa. Come notava Valerio Verra, «l’idea paga nella storia il tributo all’esistenza e alla transitorietà non a proprie spese, ma attraverso le passioni dell’individuo».
La Storia è storia dell’imporsi dell’idea di libertà, ma attraverso le passioni degli uomini. Passioni che si scontrano. Da questo confronto/scontro può rinascere la nuova eticità, secondo Hegel, l’eticità dell’individuo moderno, cittadino di uno Stato non subìto, ma voluto. Ma il riconoscimento – l’hegeliana Anerkennung – appare piuttosto come una messa in crisi dell’individualismo, della pura e semplice autoaffermazione e autoconferma del Sé singolo.
È questo il soggetto dello Spirito assoluto. Molto condizionato, ma solo da se stesso. Autonomo, anche se ha appreso che la propria libertà dipende dagli altri, è funzione della libertà di tutti – sia sul piano della libertà intellettuale, sia su quello della libertà civile e politica. Ed esser liberi vuol dire innanzitutto agire.
Anche il detto per cui non c’è eroe per il suo cameriere viene interpretato da Hegel in questa chiave: non perché Napoleone non sia Napoleone, ma perché il cameriere ha il punto di vista del cameriere; non ha insomma le chiavi di lettura consone a comprendere la grandezza del personaggio, mentre ha presente i suoi difetti privati, i suoi tic o le sue debolezze che però non hanno alcuna rilevanza ai fini della valutazione dell’opera dell’Imperatore francese e delle conseguenze del suo fare. In altri termini, il cameriere non capisce quale sia la sostanza dell’azione dell’eroe e si ferma invece agli aspetti particolari o addirittura privati dell’eroe, al gossip. Questo atteggiamento del cameriere, e del cronista improvvido, può essere proprio di chiunque non vada alla sostanza, al risultato dell’azione del politico; di chi, invece di pensare a quanto ha fatto Craxi, per esempio, pensi alla sua passione per i garibaldini. Il senso del perdono hegeliano, in queste pagine, consiste proprio nel fatto che, invece, il filosofo così come lo storico assolvono il limite, emendano l’azione ed il suo risultato dalla sopravvalutazione dell’inclinazione personale che pure avrebbe potuto concorrere a promuoverla.
Particolarizzandosi, così si rinuncia alla totalità dell’universale (ed al totalitarismo integralista che vi è implicato) a favore del particolare. L’agente si distacca quindi dall’universale, dall’ideale puro in base a cui  si agisce; poi, faccio, mi particolarizzo e così facendo tradisco quell’universale, ciò che si inibiva l’anima bella. La mia azione mi fa entrare in gioco però con le altre coscienze e posso riconoscerle ed essere riconosciuto. L’azione è relazione.
Hegel si muove sempre in direzione della determinazione del nesso fra il particolare e l’universale, fra l’individuo e l’unità sostanziale. La posizione hegeliana, infatti, vuole evitare la duplice unilateralità dell’individualismo (solo agente o solo chiuso in se stesso) o del predominio del tutto ultraindividuale (dell’Io comune rousseauiano), mediante l’affermazione di un’inseparabilità conflittuale fra due istanze ugualmente necessarie che si legittimano vicendevolmente: «Con l’età moderna non è nato il bisogno di riconoscimento, sono nate le condizioni nelle quali il tentativo di farsi riconoscere può fallire, ed è per questo che oggi, per la prima volta, siamo consapevoli del bisogno di riconoscimento».
In epoca premoderna infatti non era questione di identità o riconoscimento, perché questi concetti non erano ancora tematizzati: l’ilota spartano era immediatamente cittadino, e basta. Esisteva in forma privata solo per i suoi cari. La questione dell’identità personale nasce con la modernità, sotto forma di una ricerca il cui esito peraltro non è in alcun modo garantito. L’individuo non dispone della propria identità in senso assoluto, ma processualmente; neanche nelle società moderne è autosufficiente, ma è costitutivamente rimesso agli altri ed alla propria storia. Ciò che può fare è partecipare alla sua definizione, negoziarla col suo ambiente: e questo scambio può anche essere molto conflittuale, doloroso, come accade in tutte le lotte per il riconoscimento. Per noi moderni da un pezzo non ha più senso parlare di identità personale, ma – dopo Freud – siamo sempre più sensibili all’importanza del processo d’identificazione di ognuno, questo sì assolutamente personale. Inoltre, dal desiderio di oggettivarsi, dal Trieb di uscire da sé come sola via per reincontrarsi davvero, deriva in un’ottica hegeliana anche la decisività dell’azione, del fare, ed anche quindi del lavoro, cioè del nostro commercio attivo col mondo.

Poesie







Nascosto dalle ombre
di scoscese rupi
nel fondo più fondo
la coscienza geme
prepotente ritorna
un passato ingombrante
fuoco che brucia
torti e ragioni
urla la carne
nell’inferno che avanza
lacrime scavano 
la roccia più dura
rinasci nel grembo
dell’anima assolta.



A.Piazzolla

Film








Daniel Lugo è un trainer di fitness ossessionato dal conseguire il classico sogno americano. Riesce così a coinvolgere due amici, Doyle e Doorball nel portare a termine il rapimento di un facoltoso cliente della palestra. Lo scopo è quello di farsi trasferire i suoi averi. Le cose però non andranno per nulla per il verso sperato dal trio.
Michael Bay, lasciatisi i Transformers alle spalle può finalmente realizzare il sogno di una produzione con un budget decisamente meno imponente (anche se non propriamente low visti gli attori ingaggiati) che gli permetta di portare sullo schermo un dark comedy che affondi però le sue radici nella realtà. Perché sin dall'inizio (e anche nel corso del film) ci viene ricordato che gran parte di quello che vediamo succedere è purtroppo accaduto realmente. Il'purtroppo' è dedicato in modo particolare all'idiozia che prevale nelle azioni dei tre compari condotti da un Mark Whalberg che conferma le sue doti di attore proprio nel rendere tangibile e quasi verificabile la massima di Albert Einstein: "Due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana. Riguardo all'universo però ho ancora dei dubbi".
In una Miami steroidea come i muscoli dei protagonisti (in proposito bisogna riconoscere a Dwayne Johnson "The Rock" un'ottima dose di autoironia) assistiamo ad un susseguirsi di goffaggini e dabbenaggini che avrebbero potuto trovare posto in una commedia demenziale. Quello da cui però Bay sembra volerci mettere in guardia è invece la possibilità (per chiunque sia accecato dalla convinzione di dover trasformare la propria vita sulla base del denaro) di divenire un criminale non più allo stato potenziale. Fin dalle prime scene veniamo messi nella posizione di chi può facilmente immaginare come andrà a finire. Proprio per questo ci viene chiesto non di parteggiare per i protagonisti ma di domandarci fino a dove la loro pericolosa insipienza li spingerà e quando verranno assicurati alla giustizia. Come le spie pasticcione di Burn after Reading dei Coen, Lugo, Doyle e Doorball si aggirano per il film costruendo un piano sotto al quale pongono essi stessi delle mine destinate a farlo esplodere. Se per i Coen tutto finiva per essere poi visto dall'alto (satellitare) dei cieli qui è invece la cronaca a ricordarci quale è stato l'esito finale della vicenda. La commedia a quel punto era finita. Rimaneva solo il lato dark.

Psicologia








C’è una pozza d’acqua famosa nella letteratura psicanalitica : quella in cui si specchiò e perì Narciso. Il mito di Ovidio è conosciuto : Narciso, di straordinaria bellezza, all’età di sedici anni, si chinò su una pozza d’acqua per bere, e vide per la prima volta il suo viso riflesso in quella superficie liquida ; folgorato da tanta bellezza si innamorò della propria immagine e non riuscì più ad allontanarsi da quello specchio d’acqua nel quale finì per annegare cercando di raggiungere l’oggetto delle sue brame. Da questo mito Freud ha tratto la sua teoria sul narcisismo scritta nel 1914 in cui descrive le personalità centrate su se stesse, che fanno della propria immagine l’oggetto d’amore privilegiato e dello specchio il loro strumento elettivo. L’immagine e il culto della propria (o altrui) personalità è un elemento centrale dell’attuale cronaca italiana e l’uso e il consumo della bellezza fisica e del corpo è al centro dei dibattiti. Molte donne in tutta l’Italia proprio in questo periodo sono scese in piazza per protestare contro la riduzione del “femminile” a un’immagine narcisistica e contro l’uso del corpo come oggetto di scambio e di mercato.
Per Freud il narcisismo primario, per intenderci quello dei bambini, quello secondo il quale i bambini piccoli pensano di essere al centro del mondo, ebbene quel narcisismo, dovrebbe concludersi attorno ai cinque, sei anni di vita. Noi vediamo invece quanto il culto del corpo, della bellezza, dell’apparenza, sia sviluppato, e occupi uno dei primi posti nella scala dei valori della società contemporanea.
La psicanalisi evidenzia che anche l’inibizione può avere un fondo di narcisismo. L’identificazione con un ideale di sé troppo alto, formatosi perché i genitori o gli altri hanno avuto aspettative pressanti e esagerate nei confronti del figlio o perché la persona stessa si è identificata a un’immagine di sé irraggiungibile, può generare atteggiamenti di ripiegamento, di rinuncia, “perché tanto non riuscirò mai a essere così perfetto/a” e può dar luogo a forme di inibizione e di dipendenza dolorose. Dipendere da qualcuno permette di spostare l’onnipotenza narcisistica sull’altro e di considerarsi una sua parte o un suo prolungamento. E’ all’Altro che viene delegato il potere di ripristinare il proprio narcisismo. Freud affermava già nel 1914 che : “viene amato l’oggetto che possiede le prerogative che mancano all’io per raggiungere il suo ideale”. Nella nostra cultura spesso il narcisismo è considerato una virtù, una risorsa provvidenziale per la riuscita e il successo. Narcisismo diventa allora sinonimo di determinazione o di pensiero positivo, e si moltiplicano i training di autovalorizzazione dove non manca mai, tra le varie pratiche, quella che consiste nel dirsi più volte al giorno, davanti allo specchio : “io valgo”, “io riesco”, “ io conto”.
©matteopellegrinuzzi.it“Davanti allo specchio”, mi dice in seduta Rosanna, ironica, : “ io conto solo le mie rughe”. I training di autoconvincimento del proprio valore con lei non sono riusciti. La sua bellezza, su cui aveva fondato il suo potere, sta sfiorendo, e lei pensa che non ha più nulla per piacere e per interessare gli altri. Narcisismo e femminilità sono spesso abbinati, e la figura femminile allo specchio è una costante iconografica diffusa. Il fatto di poter piacere sembra soddisfare le esigenze dell’io ideale femminile, fondato sull’immagine idealizzata.
Ma la cronaca politica e sociale ci mostra come i disturbi del narcisismo siano presenti anche nel genere maschile e soprattutto negli uomini che sono al potere. In una recente intervista a un quotidiano italiano lo psichiatra Luigi Cancrini dice che il potere fa male alle persone che soffrono di un disturbo narcisistico della personalità. Non dubito che farà male a loro, ma fa sicuramente ancora più male ai cittadini governati da tali persone al potere. Perchè allora queste persone sono oggetto di ammirazione e vengono votate dalla maggioranza ? Nel suo articolo sul narcisismo Freud nel 1914 scriveva : “Appare molto chiaro che il narcisismo di una persona esercita un certo fascino su quanti hanno rinunciato a parte del loro stesso narcisismo e che sono alla ricerca dell’oggetto d’amore ; il fascino del bambino si basa in larga parte sul suo narcisismo, sulla sua autosufficienza e sulla sua inaccessibilità, proprio come il fascino di certi animali che sembrano non curarsi affatto di noi, come i gatti o i grandi predatori”.
Il fascino esercitato dal “narcisista” al potere, è dato da quell’illusione di onnipotenza che la sua immagine veicola. Massimo Recalcati, psicanalista lacaniano ha coniato il termine di “perversione narcinista”, che significa : narcisismo+cinismo nella stessa persona perversa. La caratteristica principale di questa posizione sintomatica è la negazione del limite, prodotta dall’angoscia di morte. Godere senza limiti servirebbe a esorcizzare la morte, a negare l’invecchiamento, i cui segni vengono cancellati il più possibile dal proprio corpo. Il corpo vecchio è negato, mentre circondarsi di corpi giovani, di cui godere, produce l’illusione dell’ immortalità.
Il Narciso mitologico che muore perché innamorato del proprio riflesso nella pozza d’acqua aveva 16 anni, la sua sorte è tragica ; ma quando un politico di più di 70 anni si mostra altrettanto infatuato di se stesso e in contemplazione della propria immagine, non appare soltanto tragico, ma anche grottesco e ridicolo. Le donne italiane mobilitate attorno allo slogan “se non ora quando ?” hanno l’occasione di mostrare che “riflettere” non è solo prerogativa dello specchio, ma anche delle teste femminili. Lo specchio non è solo fatto per perdercisi dentro a rimirarsi chiedendogli “chi è la più bella del reame ?” ; può anzi diventare emblema di riscossa, come è accaduto in un altro mito, quello di Perseo e Medusa, dove l’eroe ha dato prova di astuzia e di coraggio mostrando che lo specchio può essere lo strumento per sconfiggere il mostro senza farsi paralizzare dai suoi poteri.