lunedì 12 luglio 2010

Storia


Vico nasce a Napoli il 23 giugno 1668 da Antonio e Candida Fasullo, sesto di otto figli. Il padre Antonio, proveniente da Maddaloni, è un libraio, proprietario di una botteguccia sulla strada di San Biagio, sottostante l'abitazione.
Nel 1686 il vescovo di Ischia Geronimo Rocca, fratello di Domenico, conobbe in una libreria di Napoli un giovane avvocato di nome G. B. Vico ed avendo avuto modo di apprezzare la sua vasta cultura gli propose l'incarico di istitutore per i suoi nipoti: Francesco, Saverio, Carloantonio e Giulia. Così sul finire del 1600 il castello di Vatolla ospitò per nove anni il filosofo. Vico fu assiduo frequentatore del Convento della Pietà, per scambiare idee con i frati e per consultare la biblioteca del pio luogo. Secondo la tradizione popolare nel piazzale antistante l'edificio del Convento, all'ombra degli ulivi, il filosofo amava riposare, leggere e meditare. Tra le piante, ancora vive e vegete nonostante l'età plurisecolare, una di esse viene indicata dai paesani come l'ulivo del Vico. Il Vico restò a Vatolla, anche se non continuativamente, dalla fine del 1686 a tutto il 1695, facendo qui il maggior corso degli studi filosofici e la stesura della Scienza Nuova. Il grande pensatore ebbe con il villaggio che lo ospitava un rapporto amore-odio: a volte lo definiva "aspra Selva solinga arida e mesta" (Vico, Affetti di un disperato,1692) , altre volte come "bellissimo sito di perfectissima aria, dalla quale fu restituito alla salute ed ebbe tutto l'agio di studiare e gettare le basi della Scienza Nuova" (Vico, Autobiografia).

Oltre ad immergersi nei suoi studi, il filosofo partecipa in qualche modo anche alla vita che si svolge nella corte baronale ed alle attività ad essa connesse.Il Vico nel 1693, il I ottobre, tiene a battesimo in Vatolla un bambino, certo Francesco Geronimo Boffo figlio di Francesco (maestro di canto) e nel 1690 è testimone in due atti notarili, insieme a due altri dipendenti dei Rocca, Antonio Magrino (maestro di ballo) e Francesco Maria Rossi. Nel 1695,l'8 aprile, è nominato in altri due atti come testimone, col titolo di dottore in Utroque, cioè laureato in tutti e due i diritti.

Nel 1693 pubblica la canzone "Affetti di un disperato", d'ispirazione lucreziana, perché preda di un amore non corrisposto per la giovane discepola Giulia Rocca, figlia del Marchese, per la quale scriverà nel 1695 anche un epitalamio per le sue nozze con Giulio Cesare Mezzacane, Principe di Omignano.La passione non corrisposta per la giovane fanciulla è stata, per alcuni studiosi, il motivo del trasferimento del filosofo a Napoli ed anche perché il suo compito ormai era finito.
Rientrato nella sua città nel 1699, risultato vincitore del concorso presso l'Università di Napoli come docente di retorica, ottiene la cattedra con lo stipendio di 100 scudi l'anno. Nello stesso anno, il 2 dicembre, sposa Teresa Caterina Destito, che gli darà ben otto figli; e dalla piccola casa di via S. Biagio dei Librai 25, si trasferisce nel vicolo dei Giganti, sempre a Napoli.

Già in Napoli nel 1701 ha ancora modo di interessarsi del suo allievo Saverio Rocca ma questa volta in modo drammatico e doloroso: il giovane era stato coinvolto nella congiura di Macchia. viene soffocata nel sangue la congiura detta della Macchia, promossa da nobili napoletani per trasformare il Regno di Napoli da provincia soggetta alla Spagna a Stato autonomo, governato da un figlio dell'Imperatore austriaco, ed il Vico la segue direttamente. Infatti egli analizza, da studioso, anche le vicende politiche e storiche a lui contemporanee, come questa stessa congiura

Avversato e criticato dai suoi contemporanei, Giambattista Vico, ha sostenuto fermamente e sempre senza cedimento o dubbio che l'uomo, come gli insegnano gli esperimenti, può conoscere a fondo solo quelle cose di qui sa ricostruirne la genesi e la formazione: "verum et factum convertuntur". Di questo mondo della storia come creazione umana, realizzata dagli uomini nei secoli, si possono e si devono cercare i principi costitutivi, le leggi che lo regolano.
Ma per rintracciare ordini e leggi, bisogna fondare una scienza nuova, la scienza della storia, "una storia ideale eterna, sopra la quale corrono in tempo tutte le variazioni nei loro porgimenti, progressi, stati, decadenze e fini". Questo l'impegno del filosofo fino alla sua morte.
La "Scienza Nuova", la sua opera fondamentale, in cui è racchiusa la sua dottrina filosofica nella sua interezza e complessità, lo ha impegnato per quasi tutta la sua vita.

Il 23 gennaio 1744, nel cortile di un palazzo dei Gradini dei S.S.Apostoli, si rumoreggiava intorno alla bara di un professore dell'università della città. Il motivo del contendere, nato già la mattina da una discussione nella casa dell'estinto, era che, sia i professori dell'università che i componenti dell'Arciconfraternita di S.Sofia di cui il morto era sodale, si arrogavano il diritto di prevalere gli uni sugli altri, cioè reggere i fiocchi della coltre funeraria per poter camminare così in prima fila. Per questa insulsa lite i funerali che dovevano avvenire alle due del pomeriggio, alle quattro non erano ancora avviati poichè i confratelli, pensando forse di stancare i professori, arrivarono addirittura un pò dopo le quattro, ma visto che costoro erano sempre lì ripresero, in modo incivile, la loro protesta credendo di costringere i colleghi del morto a cedere il passo e ad andare avanti. E siccome poi ai confrati non andava bene nemmeno che al funerale partecipasse don Nicola Merola, amico e confessore del defunto, sproloquiando e proferendo minacce, spensero le candele e abbandonata la bara nel cortile se ne andarono. E così per i poveri familiari si aggiungeva dolore al dolore poichè si videro costretti a trasportare il corpo del defunto in casa e rimandare i funerali al giorno successivo. Ed il 24 gennaio, con la presenza dei professori, dei canonici della cattedrale e con gli onori di Conte Palatino, il funerale fu celebrato. Si chiudeva in questo modo la vita terrena di G.B.Vico, uno dei grandi ingegni dell'umanità.

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