lunedì 27 settembre 2010
Pensieri
Quanto è importante per un uomo avere una donna accanto?Fino ai sedici anni mi dicevo, ed ero veramente convinto, di voler vivere sempre da single,magari avere degli amori,delle storie,ma vivere nella piena e totale indipendenza da chiunque.Poi il patatrac.La prima ragazza,il primo amore,i primi sommovimenti interiori,ed ecco che il "vissuto"insieme era cosi bello,cosi dolce,cosi intenso,che ho sentito immediatamente dentro di me che quello era ciò che desideravo vivere,condividere momenti di dolcezza,di amore,di passione,con lo scambio totale di pensieri,emozioni,sensazioni,riflessioni,mondi interiori,per crescere insieme.E per me è stato cosi.Grazie a Patrizia io sono cresciuto molto,sono cambiato,ed è cambiata completamente la mia prospettiva,quello che prima ritenevo un "must" per me adesso era solo un mucchietto di polvere.Anche se poi mi capitò per un periodo di vivere veramente da solo, avevo una ragazza e in definitiva non era una vera e propria vita da single perchè stava spesso da me.Proprio amando e vivendo anche se a sprazzi con ragazze mi sono reso conto dell'importanza di una donna nella mia vita.Una donna non toglie libertà e indipendenza come si dice,anzi,l'armonia che si crea nel vivere insieme è fatto nella libertà e nell'indipendenza reciproca,che non significa infedeltà o fare ciò che si vuole,ma significa una scelta consapevole di condivisione.E' bello svegliarsi la mattina prendendo la sua mano e vedendo i suoi occhi,è bello andare al lavoro sapendo che lei è li,e ti aspetta,e quando rientri la vedi con il suo sorriso che cancella tutta la stanchezza della giornata,poi lo stare insieme,preparare insieme la cena,scegliere insieme di vedere un film,o una trasmissione tv,o leggere un libro o semplicemente baciarsi all'infinito e poi addormentarsi abbracciati.
Cinema
E' un film d'avventura moderno davvero ben fatto.E' la storia di Dastan,trovatello preso dal Re di Persia nel mercato che difendeva un piccolo ladruncolo,il Re stupito dal coraggio e dall'agilità di Dastan lo prende con sè a corte e lo tira su come se fosse uno dei suoi figli.Un giorno i due fratelli maggiori insieme con lo zio decidono di invadere e conquistare una città dell'Impero certi che li venissero fabbricate armi per i nemici.Dastan dimostra tutto il suo coraggio entrando per primo,con grande sprezzo del pericolo nella città,che,una volta conquistata,rivela al suo interno una specie di monastero dove era custodito un prezioso pugnale con enormi poteri,custodito dalla bellissima Tamina,sacerdotessa addetta al suo controllo.Da qui parte tutta una serie di avventure che porteranno alla fine Dastan a dover lottare contro i suoi fratelli e lo zio e a rischiare la vita più volte.Nasce anche l'amore con Tamina provato dalle innumerevoli prove di fedeltà e protezione che lui le dedica.Una fotografia spettacolare,effetti di computer grafica eccezionali,la sequenza finale è veramente meravigliosa per gli occhi,una azione e un dinamismo costante che ti fanno stare incollato davanti allo schermo,attori ottimi come l'insuperabile Ben Kingsley,la brava Gemma Arterton e il bravissimo Jake Gyllenhall.Da vedere e rivedere perchè sono sicuro non vi stancherà mai.
domenica 26 settembre 2010
Poesie
Sei
Sei il mio desiderio più disperato
E il suo unico appagamento…
Sei il fuoco che mi fa ardere di piacere
E l’acqua che accende poi il tormento…
Sei il ghiacchio che mi brucia
E il calore del mio risorgimento…
Sei l’inizio e la fine
Sei la vita e la morte
La luce della nostra alba
Le tenebre della mia notte…
Sei tutto quello che mi manca
E tutto quello di cui ho bisogno…
Sei la realtà trasfigurata
Che si confonde con il sogno…
Sei l’unico incastro possibile
Il pezzo mancante di un puzzle incompleto…
Sei distante come stella
Sei vicino, proprio qui dietro
Sei pugno e sei carezza
Sei bora e sei brezza…
Sei il mio più atroce dubbio
Eppure la mia unica certezza…
Cinema
Danny è un ragazzo cinese preso fin da piccolo e addestrato alle arti marziali per fare da guardispalla ad un boss malavitoso di una Glasgow puzzolente e malfamata.Al collo un collare come un cane e quando viene tolto si scatena in Danny una furia omicida che distrugge tutto,cose e persone.Vive legato in un sotterraneo e mangia cibo per cani,da qui il soprannome con il quale lo chiamano tutti "The Dog".Un giorno Danny,durante una azione criminale riesce a sottrarsi alla presenza ossessiva del suo boss e finisce in un club,dove vede dei pianoforti e qui scatta qualcosa in lui.Appare un accordatore che gli spiega dolcemente come si usano i tasti neri e i tasti bianchi.E poi se lo porta a casa dove,insieme ad una ragazza che vive li da lui,comincia a reintrodurlo nella "vita civile",insegnandogli a suonare il pianoforte,a leggere libri,ad apprezzare la musica,ad apprezzare i cibi,a saperli scegliere al supermercato.Per Danny è come una rinascita.Sfortunatamente viene braccato e trovato dal suo vecchio boss che lo rivuole indietro,e proprio nelle sequenze finali avviene la "liberazione"definitiva di Danny.La sceneggiatura è di Luc Besson,maestro dei film d'azione e delle atmosfere suburbane(non per niente il suo film d'esordio si intitolava "Subway"),gli interpreti,superlativi,Bob Hoskins immenso nel ruolo del boss spietato e cinico,Jet Li nel ruolo di Danny,fantastico nelle scene di arti marziali e nel dare spessore alla rinascita del personaggio,Morgan Freeman eccezionale e solido come sempre nel ruolo del "mentore"che porterà alla salvezza di Danny.Un film duro e spietato,bello e dannato,con sprazzi di dolcezza unica.
venerdì 24 settembre 2010
Cinema
Un agente della polizia si ritrova ad un tratto testimone dell'omicidio della figlia.Da li inizia una indagine serrata per scoprire chi l'ha uccisa.Scopre nella vita della figlia tanti aspetti che ignorava e capisce che si è trovata implicata in un caso di spionaggio industriale.E' un thriller serratissimo dove l'unica nota stonata,per me,è l'interpretazione di Mel Gibson,assolutamente apatico,immobile,fisso,incapace di esprimere le emozioni che doveva avere il personaggio.Il film si riscatta con la bellissima sequenza finale.
mercoledì 22 settembre 2010
Accadimenti
NAPOLI - Due arrestati e altri due indagati. L’omicidio della mamma-coraggio,Teresa Buonocore, uccisa brutalmente con quattro colpi di pistola, trova una soluzione (così sembra) in poche ore. Si conferma la pista del pedofilo, ovvero di un delitto maturato e orchestrato nell’ambito familiare dell’uomo accusato dalla Buonocore di essere lo stupratore della figlioletta di otto anni e di una sua amichetta. Per quella vicenda, l’uomo – Enrico Perillo, 53 anni di Portici (Na) – era stato condannato a 15 anni di reclusione (attualmente è detenuto a Modena) nel giudizio di primo grado che si è concluso a giugno scorso. Gli arrestati sono i presunti autori materiali dell'omicidio: un tatuatore di 26 anni, Alberto Amendola, e Giuseppe Avolio di 21. Sono accusati di omicidio, porto illegale di armi e spari in luogo pubblico.
I due avrebbero agito in accordo con altre persone – questa l’accusa . Sarebbe il fratello di Enrico Perillo, Lorenzo, e un medico radiologo, Patrizia Nicolino, moglie di Perillo.
Uno scenario nel quale dovranno trovare, ovviamente, posto tutti i tasselli, ma che consente di dire una prima cosa: l’omicidio della donna di 51 anni, madre di quattro figli (avuti da due mariti), non è maturato nel solco di una vicenda che ha a che fare con la malavita organizzata. Quando ho letto la notizia dell'uccisione della Buonocore mi veniva da piangere.Era evidente che non si trattava di un regolamento di conti camorristico.La signora era una persona perbene e non aveva mai avuto nessun legame diretto o indiretto con la criminalità organizzata.Vedere una persona perbene uccisa brutalmente solo perchè ha avuto il coraggio di denunciare lo stupratore di sua figlia e di una amichetta ti dà quasi un senso di resa,non esiste più giustizia,più onestà,più pace,più senso della legalità,tutto viene cancellato brutalmente da quattro colpi di pistola,tolta la persona tolto il problema,cosi ragionano i criminali.Invece no.C'è una persona stesa per terra e i colpevoli di quel barbaro omicidio vengono subito presi e scoperti i mandanti.Almeno che non girino indisturbati.E poi ci sono le bambine.Non solo ferite nel corpo e nell'anima per sempre,ma adesso una di loro pure orfana,e questa è una doppia ingiustizia.Spero solo che abbia attorno persone perbene e coraggiose come la mamma,che la faranno crescere forte e orgogliosa di quella madre,perchè Teresa da persona sconosciuta è ora una delle tante persone che ha detto NO,che si è opposta alla violenza,alla brutalità.Una Donna.
Pensieri
Nel passato,quando mi sentivo tremendamente solo,in genere prendevo la macchina e giravo fino a tarda notte,anche perchè di solito mi accadeva la sera di arrivare all'esasperazione e di voler andare via dalla mia casa di allora.Ho dormito sul pavimento di una casa in ristrutturazione,anzi in due a dire la verità,ho dormito più spesso sul divano del retro della mia edicola,in ogni caso mi sentivo molto meno solo in quelle situazioni che a casa mia accanto alla persona di allora.Adesso invece,grazie a Dio il problema di casa non ce l'ho più e posso stare tranquillo e in pace li,preferisco per pensare farmi una bella passeggiata sul lungomare della mia città.D'estate mi piace in tarda serata perchè c'è troppa gente,adesso invece anche nel tardo pomeriggio dopo essere ritornato dal lavoro.Camminare avendo il mare al proprio fianco mi dona una calma incredibile,mi rilassa,si sciolgono nella mia mente tutti i pensieri,tutto appare di colpo chiaro e limpido,e io mi sento veramente bene,diverso,più forte,dopo.In quei momenti non mi sento per niente solo,camminano con me tutte le immagini interiori che traboccano dalla mia anima.
Poesie
La tregua e la tempesta
In questa sera in cui il cielo appare
di un’originale sfumatura grigia,
eccezionalmente fragile, pesante,
quasi slealmente gelosa di mostrarci
per l’ennesima volta il più grande
grido del tramonto,
mi chiedo a gran voce chi sono.
Voi, che scorgete semplice incoscienza
sul mio volto, abbiate un minimo
di riguardo anche per uno come me
che non conosce pace alcuna,
in nessun momento, e si ritrova
a guardare sempre avanti, avanti,
finché la meta appare sempre
più lontana e vaga.
Ne ho bisogno per vivere.
Tutto ciò che fino ad ora
ho veduto e conosciuto,
mi è infatti mortale.
Quale strana malattia mi affligge?
Sempre se di malattia si tratta.
Rivoglio indietro il mio sorriso
prima che soffochi nella pena.
Ogni giorno più solo del precedente,
ogni ora più lontano.
E voi, che pensate a cosa
regalarmi per il mio
prossimo compleanno.
Vi confido che mi accontenterei
tranquillamente di una remota isola da abitare,
in cui il bosco possa essere
la mia unica casa, la natura
la mia unica amica,
il sole l’unica scuola
e il canto del mare mio unico maestro.
lunedì 20 settembre 2010
Pensieri
C'è una cosa che spesso sottovalutiamo, pur conoscendola perfettamente. Il fatto che noi pensiamo attraverso le parole. Che le parole sono i mattoni del nostro pensiero. Non è banale come sembra. Tutti conosciamo l'importanza del linguaggio nella comunicazione e l'importanza di esprimersi con proprietà, con efficacia. Meno evidente che quello stesso linguaggio è anche base ed articolazione del nostro pensiero.
Arricchire il proprio vocabolario è fondamentale.
Perchè le parole sono la materia prima del pensiero. Possedere tante parole è come possedere tanti materiali diversi per costruire, per sfruttare al meglio le proprie abilità. Ci consente di realizzare mura solide, ma anche progetti arditi od architetture insolite. In qualunque mestiere, per quanto possiamo essere abili, abbiamo bisogno degli strumenti giusti. Le parole sono gli strumenti ed i materiali del pensiero. Per questo dovremmo possedere quelle giuste e sempre qualcuna di scorta.
Per quanto potente sia la nostra fantasia, non riusciamo ad immaginare qualcosa che non esiste. Meglio, possiamo immaginare qualcosa che non esiste nella realtà, solo se mettiamo insieme in modo nuovo pezzi di realtà. Come l'unicorno o qualunque altra forma immaginaria o fantastica.
Con quante parole sai descrivere un tuo stato d'animo? Prova a prendere un foglio bianco ed a scriverci le parole che lo rappresentano. Prova a cercarne di nuove, di mai usate. Trovare nuove parole per rappresentarsi è la prima e più potente leva del cambiamento che si desidera, della propria evoluzione.
Poesie
Meraviglioso incantesimo
Ho fatto un sogno
cominciato un anno fa,
in una sera
con il mare calmo
e immenso,
che baciava già la luna.
Ed il vento,
leggerissimo e ovattato
raccontava
di due mondi sbalorditi.
Nell’incedere del sogno,
solo il vuoto
per gli sguardi ormai rapiti,
dai bagliori delle stelle.
Lo rivivo di continuo
questo sogno delicato
arricchito di fragranze
di limone e di salmastro.
Ho fatto un sogno
cominciato un anno fa
e quella luna
non è ancora tramontata.
domenica 19 settembre 2010
Pensieri
"Abbiamo bisogno di parole per restare umani. Essere umani è una conquista, come suonare uno strumento musicale: ci vuole pratica. Bisogna conoscere a fondo le chiavi.
Bisogna mandare a memoria le vecchie partiture,
ed è un'arte che possiamo dimenticare.
Un lieve rumore può farci dimenticare le note.
La parte migliore di noi è storica, la parte migliore di noi è fragile. Essere umani è una seconda natura che ci è stata insegnata dalla storia e che terrore e privazione possono con la loro violenza farci dimenticare.
I nostri bisogni sono fatti di parole: si impongono
a noi come parole e possono morire
per mancanza di espressione.
Senza un linguaggio comune che ci aiuti a trovare le parole, i nostri bisogni svaniranno nel silenzio.
Soltanto le parole, il loro significato comune, mi danno il diritto di parlare a nome degli sconosciuti fuori dalla porta.
Senza un linguaggio adeguato a questo tempo, rischiamo di cadere nella rassegnazione per quanto riguarda
il destino che ci è stato assegnato.
Senza la luce del linguaggio, rischiamo di diventare sconosciuti alla parte migliore di noi. "
I bisogni degli altri(Michael Ignatieff)
Racconti
IL LATTE DELLA MORTE
Marguerite Yourcenar
La lunga fila grigia e marrone dei turisti si allungava nella strada maggiore di Ragusa. I berretti spighettati, le opulente vesti ricamate ondeggiavano al vento sulla soglia delle botteghe e accendevano l'occhio dei viaggiatori in caccia di regali a buon mercato o di travestimenti per i balli in costume sulla nave. Faceva caldo come fa caldo soltanto all'inferno. Le montagne rase dell'Erzegovina tenevano Ragusa sotto fuochi di specchi ustori. Philip Mild entrò in una rosticceria tedesca dove in una semioscurità soffocante ronzava qualche grossa mosca. La terrazza del ristorante si affacciava paradossalmente sull'Adriatico, rispuntato fuori in piena città, proprio dove meno lo si sarebbe immaginato, senza che quell'improvvisa irruzione azzurra servisse ad altro che ad aggiungere un colore all'arlecchinante piazza del Mercato. Un fetore saliva da un mucchio di resti di pesce di cui certi gabbiani bianchi in modo quasi insopportabile stavano facendo piazza pulita. Nemmeno un alito veniva dal largo. Il compagno di cabina di Philip, l'ingegnere Jules Boutrin, stava bevendo, seduto a un tavolino di zinco, all'ombra di un ombrellone color fuoco che di lontano sembrava una grossa arancia ondeggiante sul mare.
– Raccontatemi un'altra storia, mio vecchio amico, disse Philip lasciandosi cadere pesantemente su una sedia. Davanti a questo mare ho bisogno di un whisky e di una storia... la storia più bella e meno vera che sia possibile, capace di farmi dimenticare le menzogne patriottiche e contraddittorie di quei giornali che poco fa ho comprato sulla banchina. Gli Italiani insultano gli Slavi, gli Slavi i Greci, i Tedeschi i Russi, i Francesi la Germania e quasi altrettanto l'Inghilterra. Tutti hanno ragione, penso. Parliamo d'altro... che cosa avete fatto ieri a Scutari dove eravate tanto impaziente di andare a vedere con i vostri stessi occhi non so quali turbine?
– Niente, disse l'ingegnere. A parte un'occhiata a certi vaghi lavori di una diga, ho dedicato il meglio del mio tempo a cercare una torre. Ho sentito tante vecchie serve raccontare la storia della Torre di Scutari che avevo proprio bisogno di ritrovarne i mattoni sbrecciati e di esaminare se per caso non conservino, come si dice, una striscia bianca... ma il tempo, le guerre e i contadini dei dintorni preoccupati di consolidare i muri delle loro fattorie l'hanno demolita pietra dopo pietra, e soltanto nei racconti il suo ricordo resiste... A proposito, Philip, siete tanto fortunato da possedere quella che si dice una buona madre?
– Che domanda, fece negligentemente il giovane Inglese. Mia madre è bella, slanciata, ben truccata, dura come il vetro di una vetrina. Che volete che vi dica di più? Quando usciamo insieme mi prendono per suo fratello maggiore.
– Appunto. Siete come tutti noi. Quando penso che certi idioti assicurano che la nostra epoca manca di poesia, come se non avesse i suoi surrealisti, i suoi profeti, le sue stelle del cinema e i suoi dittatori! Credete a me, Philip, quello che ci manca è qualche realtà. La seta è artificiale, quel cibo detestabilmente sintetico assomiglia a quelle imitazioni alimentari di cui si riempiono le mummie, e le donne sterilizzate contro il dolore e la vecchiaia sono scomparse ovunque. Soltanto nelle leggende dei paesi semibarbari, si incontrano ormai quelle creature ricche di latte e di lacrime da cui saremmo fieri di essere nati... Dove ho sentito parlare di un poeta che non poteva amare nessuna donna perché in un'altra vita aveva incontrato Antigone? Un tipo del genere che dico io... qualche dozzina di madri e di innamorate, da Andromaca a Griselda, mi hanno fatto diventare esigente nei confronti di quelle bambole infrangibili che si pretendono realtà.
"Isotta per amante, e per sorella la Bell'Alda... sì, ma quella che avrei voluto per madre è una ragazzina della leggenda albanese, la moglie di un giovane fringuello di queste parti...
"C'erano tre fratelli che lavoravano alla costruzione di una torre di vedetta contro i predoni turchi. Si erano messi loro stessi all'opera, sia che la mano d'opera fosse rara, e cara, sia che da bravi contadini non si fidassero che delle loro stesse braccia, e le loro mogli venivano a turno a portare da mangiare. Ma ogni volta che riuscivano a concludere tanto bene il loro lavoro da issare un ciuffo d'erba sul tetto, il vento della notte e le streghe della montagna rovesciavano la loro torre proprio come Dio fece crollare Babele. Ci sono buone ragioni sì perché una torre non si regga in piedi, e si può incolpare l'inettitudine degli operai, la cattiva volontà del terreno e l'insufficienza del cemento che tiene insieme le pietre. Ma i contadini serbi, albanesi o bulgari non attribuiscono a questo disastro che un'unica causa: sanno che un edificio crolla se non si è preso cura di chiudere nelle fondamenta un uomo o una donna il cui scheletro sostenga fino al giorno del Giudizio Universale quella pesante carne di pietre. Ad Arta, in Grecia, si mostra un ponte in cui fu murata una ragazza: qualche filamento dei suoi capelli esce da una fessura e pende sull'acqua come una pianta bionda. I tre fratelli cominciarono a guardarsi con diffidenza e facevano attenzione a non proiettare la loro ombra sul muro incompiuto perché è possibile, in mancanza di meglio, chiudere in un edificio in costruzione quel nero prolungamento dell'uomo che potrebbe corrispondere alla sua anima. E l'uomo la cui ombra viene imprigionata così, muore come un disgraziato colpito da una pena d'amore.
"La sera ognuno dei tre fratelli si sedeva dunque il più lontano possibile dal fuoco, per timore che qualcuno gli s'avvicinasse silenziosamente alle spalle, gettasse un sacco di tela sulla sua ombra e se la portasse via semistrozzata, come un piccione nero. Il loro ardore per il lavoro languiva, e a bagnare di sudore la loro fronte bruna non era più la stanchezza ma l'angoscia. Finalmente, un giorno, il primogenito riunì intorno a sé i fratelli più giovani e disse:
"– Fratelli miei di sangue, di latte e di battesimo, fratellini miei, se la nostra torre resta incompiuta i Turchi si insinueranno di nuovo sulle rive di questo lago, dissimulati dietro le canne. Violenteranno le ragazze della nostra fattoria; ci bruceranno nei campi la promessa del pane futuro; crocifiggeranno i nostri contadini agli spauracchi dei frutteti, che così saranno ghiotta preda dei porci. Fratellini miei, noi abbiamo bisogno gli uni degli altri. Non si può chiedere al trifoglio di sacrificare una delle sue tre foglie, ma ognuno di noi ha una moglie giovane e forte, con le spalle e una bella nuca abituate a portare fardelli. Non prendiamo decisioni, fratelli: lasciamo scegliere al Caso, questo simulacro di Dio. Domani, all'alba, noi prenderemo per murarla viva nelle fondamenta della torre quella delle nostre donne che verrà a portarci da mangiare. Vi chiedo soltanto il silenzio di una notte, o miei fratelli più giovani, e guardiamoci dall'abbracciare con troppe lacrime e sospiri quella che, dopo tutto, ha due possibilità su tre di respirare ancora al tramonto.
"Era facile per lui parlare così perché in segreto detestava la sua giovane moglie e voleva sbarazzarcene per prendere al suo posto una bella ragazza greca dai capelli rossi. Il secondo fratello non fece obiezioni perché pensò subito che al ritorno avrebbe avvertito sua moglie, e il solo che protestò fu il più giovane, perché aveva l'abitudine di tener fede alla sua parola. Commosso dalla magnanimità dei fratelli maggiori, che in nome dell'opera comune rinunziavano a ciò che avevano di più caro al mondo, finì per lasciarsi convincere e promise di tacere tutta la notte.
"Rientrarono all'accampamento a quell'ora del crepuscolo in cui il fantasma della luce morta girovaga ancora per i campi. Il secondo fratello raggiunse tutto irritato la sua tenda e ordinò rudemente a sua moglie di aiutarlo a togliersi gli stivali. Quando fu accoccolata ai suoi piedi, lui le sbatté le calzature in pieno viso e dichiarò:
"– Sono otto giorni che porto la stessa camicia, verrà la domenica e io non potrò mettermi biancheria pulita. Maledetta fannullona, domani alla prima alba dovrai andare al lago con il cesto della biancheria e ci resterai fino a notte fra la spazzola e la mestola. Morirai se te ne allontani di uno spessore di suola.
"E la giovane, tremando, promise di consacrare al bucato la giornata seguente.
"Il primogenito rientrò alla sua tenda ben deciso a non dir nulla alla sua massaia i cui baci lo esasperavano e di cui non apprezzava più la greve bellezza. Ma aveva un pericoloso difetto: parlava in sogno. L'opulenta matrona albanese quella notte non riuscì a dormire, domandandosi in che cosa avesse potuto spiacere al suo signore. All'improvviso sentì il marito bofonchiare mentre tirava a sé la coperta:
"– Cuore mio, caro cuoricino che mi batte in petto, presto sarai vedovo... come ce la godremo, quando i buoni mattoni della torre ci avranno separati da quella moraccia...
"Ma il più giovane rientrò alla sua tenda pallido e rassegnato come un uomo che per la strada avesse incontrato la Morte in persona, che con la falce in spalla se ne andasse a mietere. Baciò il bambino nella culla di vimini, prese teneramente la giovane moglie tra le braccia e lei, tutta la notte, se lo sentì piangere contro il cuore. Ma la giovane, discreta, non gli chiese la causa di quel grande dolore perché non voleva costringerlo a confidenze, e perché non aveva bisogno di conoscere le sue pene per tentare di consolarlo.
"Il mattino dopo i tre fratelli presero le zappe e i martelli e se ne andarono in direzione della torre. La moglie del secondo fratello preparò il cestino del bucato e andò a inginocchiarsi davanti alla moglie del primogenito:
"– Sorella, disse, cara sorella, dovrei andare io oggi a portare da mangiare agli uomini, ma sotto pena di morte mio marito mi ha ordinato di lavargli le camicie di tela bianca e come vedi ne ho la cesta piena.
"– Sorella, cara sorella, disse la moglie dei primogenito, andrei molto volentieri a portare da mangiare ai nostri uomini, ma questa notte il diavolo mi si è insinuato dentro un dente.... ahi, ahi, ahi, riesco solo a gridare per il male...
"E senza tante cerimonie batté le mani per chiamare la moglie del più giovane:
"– Moglie del nostro fratello più giovane, disse, cara piccola moglie dell'ultimo, prendi il
nostro posto e vai a portare da mangiare ai nostri uomini perché la strada è lunga,
abbiamo i piedi stanchi e siamo meno giovani e meno leggere di te. Va', cara piccola, e
noi ti riempiremo il paniere di cose buone perché i nostri uomini ti accolgano con un
sorriso, Messaggera che cancellerai la loro fame.
"E il paniere fu riempito di pesci del lago canditi nel miele e nell'uva di Corinto, di riso
avvolto in foglie di vite, di formaggio di capra e di torta alle mandorle salate. La giovane
affidò teneramente il bambino alle braccia delle due cognate e prese la strada, sola, con
il suo fardello sul capo e il suo destino appeso al collo come una medaglia benedetta, invisibile a tutti, sulla quale Dio stesso avesse scritto che genere di morte le destinava, e che posto nel suo cielo.
"Quando i tre uomini la scorsero di lontano, figurina ancora indistinta, le corsero incontro, i due primi tutti preoccupati che il loro stratagemma andasse a buon fine, mentre il più giovane pregava Dio. Il primogenito inghiottì una bestemmia scoprendo che non si trattava della sua moraccia, e il secondo ringraziò il Signore ad alta voce per aver risparmiato la sua lavandaia. Ma l'ultimo s'inginocchiò, circondò con le braccia i fianchi della giovane moglie e gemendo le chiese perdono. Poi si trascinò ai piedi dei fratelli e li supplicò di avere pietà. Poi si rialzò e fece brillare al sole l'acciaio del suo coltello. Un colpo di martello sulla nuca lo gettò ansimante sul ciglio della strada. La giovane spaventata aveva lasciato cadere il paniere e le cibarie disperse andarono a rallegrare i cani dei gregge. Quando capì di che cosa si trattava, alzò le mani al cielo:
"– Fratelli a cui ho sempre obbedito, fratelli in nome del mio anello di nozze e della benedizione del prete, non fatemi morire, ma avvertite piuttosto mio padre che è capo del clan della montagna, e lui vi procurerà mille serve che voi potrete sacrificare. Non uccidetemi: amo tanto la vita. Non mettete fra il mio amato e me lo spessore della pietra.
"Ma di colpo tacque perché s'era accorta che il suo giovane marito steso sul ciglio della strada non muoveva le palpebre, e che i suoi capelli neri erano sporchi di sangue e di materia cerebrale. Allora senza grida e senza lacrime si lasciò condurre dai due fratelli fino alla nicchia scavata nel muro convesso della torre: poiché lei stessa stava per morire poteva risparmiarsi di piangere. Ma mentre veniva posato il primo mattone davanti ai suoi piedi calzati di sandali rossi, si ricordò del suo bambino che aveva l'abitudine di mordicchiarle le scarpe come un giovane cane pazzerello. Lacrime calde le rotolarono lungo le guance e andarono a mescolarsi al cemento che la spatola livellava sulla pietra:
"– Ahimè! Piccoli piedi miei, disse. Voi non mi porterete più fino alla cima della collina perché presenti più in fretta il mio corpo allo sguardo del mio amore. Non sentirete più la freschezza dell'acqua in corsa: soltanto gli Angeli vi laveranno, il mattino della Resurrezione.
"La commessura di mattoni e di pietre arrivò fino alle sue ginocchia coperte di una gonna dorata. Ben diritta al fondo della sua nicchia, aveva l'aria di una Maria in piedi dietro il suo altare.
"– Addio, mie care ginocchia, disse la giovane. Non cullerete più il mio bambino; seduta sotto l'albero bello dell'orto che è insieme cibo e ombra, non vi riempirò più di buoni frutti da mangiare.
"Il muro si alzò ancora un po', e la giovane proseguì:
"– Addio, care mie piccole mani che pendete lungo il mio corpo, mani che non cuocerete più la cena, mani che non torcerete più la lana, mani che non vi allaccerete più intorno al mio amore. Addio miei fianchi, e tu mio ventre, che non conoscerete più la maternità né l'amore. Bambinetti che io avrei potuto mettere al mondo, fratellini che non ho avuto il tempo di dar al mio unico figlio, mi farete voi compagnia in questa prigione che mi fa da tomba, e dove resterò in piedi, insonne, fino al giorno dei Giudizio Universale.
"Il muro di pietre le arrivava già al petto. Allora un brivido percorse la parte superiore del corpo della giovane, e i suoi occhi supplichevoli ebbero uno sguardo simile al gesto di due mani supplici.
"– Cognati, disse, per riguardo non a me ma al vostro fratello morto, pensate al mio bambino e non lasciatelo morire di fame. Non murate il mio petto, fratelli miei, fate che i miei due seni restino accessibili sotto la mia camicia ricamata, fate che ogni giorno mi si porti il mio bambino all'alba, a mezzogiorno e al crepuscolo. Finché mi resteranno poche gocce di vita, esse scenderanno fino alla punta dei miei due seni per nutrire il bambino che ho messo al mondo, e il giorno in cui non avrò più latte lui berrà la mia anima. Acconsentite, fratelli cattivi, e se farete così, il mio caro marito e io non avremo per voi in serbo rimproveri il giorno in cui ci incontreremo davanti a Dio.
"Intimiditi, i fratelli accettarono di esaudire quell'ultimo desiderio e lasciarono un intervallo di due mattoni all'altezza del seno. Allora la giovane mormorò:
"– Fratelli cari, mettetemi due mattoni davanti alla bocca perché i baci dei morti fanno paura ai vivi, ma lasciatemi una fessura davanti agli occhi perché io possa vedere se il latte giova al mio bambino.
"Fecero come lei aveva detto, e una fessura orizzontale fu lasciata all'altezza degli occhi. Al crepuscolo, all'ora in cui la madre usava allattarlo, portarono il bambino lungo la strada polverosa, bordata di arbusti bassi brucati dalle capre, e la suppliziata salutò l'arrivo del neonato con grida di gioia e benedizioni rivolte ai due fratelli. Onde di latte scesero dai suoi seni duri e tiepidi, e quando il bambino fatto della medesima sostanza del suo cuore le si fu addormentato contro il petto, ella prese a cantare con una voce che si attutiva nello spessore del muro di mattoni. Quando il piccolo si fu staccato dal suo seno, lei ordinò che lo riportassero all'accampamento per dormire, ma la tenera melopea si granò tutta la notte sotto le stelle, e quella ninnananna cantata a distanza bastava a impedirgli di piangere. Il giorno dopo lei non cantava più, e fu con voce debole che domandò come Vania avesse passato la notte. Due giorni dopo ella non parlò più ma respirava ancora, poiché i suoi seni abitati dal fiato salivano e scendevano impercettibilmente nella loro gabbia. Qualche giorno più tardi il suo alito andò a raggiungere la sua voce, ma i suoi seni immobili non avevano perduto nulla della loro dolce abbondanza di sorgente, e il bambino addormentato nell'incavo del suo petto poteva ancora sentire il suo cuore. Poi quel cuore in così bell'accordo con la vita allentò i suoi battiti. Quegli occhi languidi si spensero come il riflesso delle stelle in una cisterna senz'acqua, e attraverso la fessura non si videro più che due pupille vitree incapaci di guardare il cielo. Si liquefecero a loro volta, quelle pupille, e lasciarono il posto a due orbite cave in fondo alle quali si scorgeva la Morte, ma il giovane petto restava intatto e per due anni, all'aurora, a mezzogiorno e al crepuscolo continuò quello zampillo miracoloso, fino a quando il bambino, svezzato, si staccò spontaneamente dal seno.
"Soltanto allora quel petto esaurito andò in briciole, e sull'orlo dei mattoni non ci fu più che un mucchietto di ceneri bianche. Per qualche secolo le madri intenerite vennero a toccare con il dito lungo il mattone rossastro, i solchi tracciati dal latte meraviglioso, poi la torre stessa scomparve e il peso delle volte cessò di gravare su quel leggero scheletro di donna. Alla fine anche quelle fragili ossa si dispersero, e non resta più qui che un vecchio francese bruciato da questo calore infernale, che rispiattella al primo venuto questa storia degna di ispirare ai poeti tante lacrime quante quelle di Andromaca.
In quel momento, una zingara orribilmente incrostata e dorata di sporcizia si avvicinò alla tavola dove i due uomini appoggiavano i gomiti. Aveva fra le braccia un bambino i cui occhi inalati sparivano sotto bende di stracci. Si piegò in due con il servilismo più insolente che è proprio soltanto delle razze miserabili e regali e le sue gonne gialle spazzarono la terra. L'ingegnere la scostò con rudezza, senza preoccuparsi della sua voce che dal tono della preghiera passava a quello della maledizione. L'inglese la chiamò indietro per farle l'elemosina di un dinaro.
– Che cosa vi prende, vecchio sognatore? disse con impazienza. I suoi seni e le sue collane valgono senz'altro quelli della vostra eroina albanese. E il bambino che è con lei è cieco.
– Quella donna la conosco bene, rispose Jules Boutrin. Un medico di Ragusa mi ha raccontato la sua storia. Sono mesi che applica sugli occhi del bambino certi repellenti impiastri che gli infiammano la vista e impietosiscono i passanti. Lui ci vede ancora, ma presto sarà ciò che lei desidera che sia: un cieco. Quella donna si sarà garantita il proprio sostentamento, e per tutta la vita, perché la cura di un infermo è una professione remunerativa. C'è madre e madre.
(Tratto da "Novelle orientali", Casa Editrice Bur, traduzione di Maria Luisa Spaziani)
Poesie
A volte basta un sorriso,
uno sguardo rubato,
un gesto.
A volte bastano poche parole,
una musica lontana,
un’illusione.
A volte basta sapere che ci sei,
sentire il tuo profumo,
toccarti.
Adesso no,
adesso l’angoscia non si placa,
vorrei spaccare il mondo,
vorrei gridare.
Vorrei, vorrei…
Vorrei essere un guerriero.
Non l’invincibile Achille,
non il codardo Paride,
vorrei essere un guerriero.
Solo un guerriero,
per tornare da te dopo la battaglia.
Per poterti abbracciare,
tu saresti il premio per la mia vittoria.
Sarebbe bello aver vissuto quel tempo.
Sarebbe bello pensare che quel tempo è domani.
Non chiederò nulla, gli Dei mi hanno già fatto grazia.
Non chiederò nulla,
ti implorerò solo di non negarmi quel sorriso,
di ascoltare quella musica lontana,
di fermare il tempo. Adesso.
Adesso (Ivan Bui)
sabato 18 settembre 2010
Pensieri
Un brano preso da internet riguardo le capacità di ascoltare che oggi mi sembrano sempre più rare.La gente vuole sempre avere ragione e prevaricare,rimane ancorata ottusamente alle sue posizioni,non è capace di dialogare e confrontarsi e quando non ottiene immediatamente consenso ecco che ferma la discussione senza fare un passo avanti dimostrando di non saper ascoltare.Ecco il pezzo.
Per costruire una «filosofia dell’ascolto» prendiamo le mosse dalla sua terminologia. Il primo senso di ascoltare è udire con attenzione; ascoltare — in questa prima accezione, è uno stare in ascolto o stare a sentire, per esempio qualcuno che parla o che esegue un brano musicale, o seguire, per esempio un discorso, una conferenza o una lezione, e dunque assistervi, ma anche partecipare, per esempio ad un rito religioso come la messa.
La seconda evoluzione del senso di ascoltare è quella che significa abitualmente dare retta ovvero dare ragione; ascoltare — in questa seconda accezione, è un dare ascolto, anche nel senso di obbedire o accogliere e seguire, per esempio i consigli di qualcuno o la voce della coscienza, e ancora esaudire una preghiera o una supplica.
La locuzione ad audiendum verbum, tradotta letteralmente, significa «(andare) ad ascoltare la parola» ed è un'espressione che viene utilizzata in occasione della convocazione da parte di un capo/responsabile per ricevere direttive o istruzioni. Quando alla chiamata si sa che seguirà una richiesta di giustificazione del proprio operato (le ragioni), si va ad audiendum verbum per un redde rationem. Se la spiegazione fornita non è ritenuta accettabile, il tutto si conclude con una sonora reprimenda o lavata di capo.
E' interessante notare, in quest'ultima direzione, che la auscultatio latina significa obbedienza ed ausculto è tanto ascoltare, quanto obbedire ad una autoritas, ma anche prestar fede e credere ed in ultima istanza origliare.
L'acusmatica (ossia il modello d'insegnamento nel quale il maestro resta nascosto al discepolo che l'ascolta) — propria di alcune scuole pitagoriche, così come molto più tardi sarà la confessione auricolare è diventata, in tal senso, il luogo di una intimità segreta che conquista per l'ascolto un senso ulteriore, quello appunto dello stare in ascolto da un luogo nascosto (come sarà nel linguaggio della cospirazione e dello spionaggio).
Oltre i sensi abituali, l'ultimo segmento di significato dell'ascoltare ci conduce dalla sensorialità alla comprensione; e allora essere all'ascolto sarà qualcosa di più che essere in ascolto, poiché traduce una tensione relazionale che trascende il sentire acustico per approdare al comprendere; comprendere l'altro nel senso di intenderlo all'interno di una relazione comunicativa (o anche semplicemente sonica). Ciò che connota l'ascolto inteso come comprensione di significati che non ci appartengono è una tensione che è insieme intenzione e impegno, ma anche curiosità e inquietudine.
L'ultimo senso dell'ascolto è pertanto un mettersi in ascolto ovvero un tendere l'orecchio per catturare un significato, — quasi come se l'espressione fosse presa a prestito dall'osservazione di certi animali che sono sempre sul chi vive.
Quando si ascolta per comprendere, in effetti, si è sempre in agguato (per così dire) e in un modo che è quello di una sorveglianza vigile e pronta a captare quella trama di rinvii e risonanze che proviene da un soggetto che non siamo noi.
Per la verità, come suggerisce Jean-Luc Nancy, l'ascolto che diviene comprensione riesce a fare di colui o colei che ascolta il luogo stesso della risonanza o — secondo la bella espressione del filosofo francese, un diapason-soggetto. Quello che la terminologia dell'ascolto sembra dunque indicarci è che essere un ascoltatore è diverso dall'essere un buon ascoltatore; un ascoltatore può anche rimanere un semplice uditore, ma un buon ascoltatore è colui o colei che si sia esercitato nell'attenzione e appreso l'arte dell'ascolto.
L’orizzonte semantico dell’ascolto coinvolge pertanto la persona nel suo essere prima di tutto corpo, e poi mente; la multivocità di significato dell’ascolto si dipana infatti dal senso dell’udito nelle direzioni del suono e del rumore, della voce e del grido, del silenzio e della parola, e solo in un secondo momento, — e nella forma dell’intendere o del comprendere, nella direzione del dialogo, della conversazione e dell’incontro.
Corpo e mente, dunque, ma anche mente e corpo, e ancora daccapo, poiché dopo l’incontro vi è di nuovo una voce o un silenzio o una parola o un grido che ci interpellano. Proviamo dunque a seguire insieme questa trama circolare e vedere dove ci conduce interrogandoci su dove e come l'ascolto è e diviene comprensione.
PER UNA FENOMENOLOGIA DELL'ASCOLTO
Accogliamo in prima istanza il suggerimento di un grande filosofo della media Antichità, Plutarco di Cheronea, che nella sua Epistola a Nicandro Sul modo corretto di ascoltare prende le mosse proprio dal senso dell’udito il più esposto fra i sensi alle suggestioni della parola. Quella parola che ha il potere di formare, così come di deformare e di deporre nell’anima tanto il seme della virtù, quanto quello del vizio determinando l’organo dell’udito a farsi canale per arginare, o deviare, gli effetti dell’una semina, o dell’altra.
Plutarco sceglie come destinatario del suo discorso dedicato a come si ascolta un giovane che ha appena compiuto i diciassette anni e che (come vuole la tradizione greco-romana) ha da poco dismesso la toga puerile per indossare quella virile — pubblico simbolo della raggiunta emancipazione dai propri educatori. Plutarco sceglie Nicandro — che ha appena dismesso l'abito dell'obbedienza affinché quest’ultimo sigilli nel proprio animo un ultimo insegnamento: ascoltare correttamente chi cerca di persuaderlo con l’arte della parola.
Il giovane è già consapevole che passare dalla fanciullezza alla adultità non significa abbandonare ogni autorità, ma vuol dire assumerne un’altra: l'autorità della ragione. Plutarco invita Nicandro a non smettere mai di «prendere dimestichezza con la filosofia, che costituisce il vero e perfetto abito virile poiché proviene dalla ragione».
La metafora della veste virile non è priva di implicazioni per ciò che concerne l'«abitudine». La parola latina habitus è radice tanto di «abito» (o spazio entro cui stare comodamente e che declineremmo nella cura di sé), tanto di «abitazione» (o spazio da condividere con altri e che declineremmo nella cura per l'altro). E’ interessante notare che l’idea del vivere nella stessa casa (in greco oikos), si trova nella Epistola quando Plutarco invita Nicandro a comportarsi «come un meteco» (in greco meta-oikos), qualcuno che viene da fuori della comunità, e a condursi nello spazio della condivisione — la città, «come se vivesse nella stessa casa di coloro che vivono secondo ragione».
E’ buona norma, dunque, esercitarsi prima nell’arte dell’ascolto e poi, — o quanto meno contestualmente, nell’arte della parola. E ciò praticando in primo luogo il silenzio. Chi ascolta silenziosamente impara sempre qualcosa dal proprio interlocutore. Chi esercita l’attenzione nell’ascolto infatti coglie nell’altro quelli che potenzialmente sono anche i propri difetti, mentre chi interrompe continuamente non solo non ci fa una bella figura, ma finisce per non ascoltare e non essere ascoltato.
L’invidia e l’esibizionismo così come l’arroganza e un atteggiamento denigratorio, ma anche un atteggiamento eccessivamente incline alla adulazione, sono i difetti dai quali occorre immunizzarsi esercitandosi nell’arte dell’ascolto.
E’ consigliabile pertanto abituarsi a «giudicare prima noi che colui che parla, domandandoci se anche a noi possa accadere di incappare inconsapevolmente in qualche errore simile»: povertà di espressione, atteggiamento antidemocratico e incivile, smania di accattivarsi il consenso e ostentazione del proprio sapere. «E’ facilissimo — prosegue Plutarco — biasimare gli altri, ma è cosa sterile e vuota se quella critica non la volgiamo anche a noi stessi e se non c’induce a correggere o ad evitare analoghe scorrettezze».
E’ l’altro dunque che ci insegna ad ascoltare, — e anche ad ascoltarci. Si tratta, infatti, di una benevola osservazione dell'altro come se fosse noi, e che ci induce a dimettere paure e pregiudizi. Ed è ascoltando l’altro, dunque, che ci esercitiamo nell’arte di ascoltare. Quanto all’arte della parola essa è come il gioco della palla. Come chi gioca a palla impara contemporaneamente a riceverla e a lanciarla, nello stesso modo colui o colei che si impegni in un dialogo sarà qualcuno che ha già imparato ad accogliere la parola prima ancora che a pronunciarla.
L’ascolto dell’altro dunque come propedeutica al dialogo e opportunità di trasformazione. Poiché un ascolto dell’altro che sia corretto e meditato (e attivo nella giusta misura, cioè composto da domande ben calibrate) si traduce in ascolto di sé e con ciò onorando l’imperativo delfico del «Conosci te stesso».
Sacrale d’altra parte è per Plutarco lo scenario dell’ascolto entro cui ci si dovrebbe condurre come se invitati ad una cerimonia religiosa, «con animo pacato e ben disposto come se si fosse invitati ad un banchetto sacro». E maggiormente trasformativo sarà l’ascolto di discorsi e ragionamenti filosofici. Che cos'è l'arte di ascoltare, del resto, se non la frequentazione attenta del pensiero?
E' importante tuttavia, ci tiene a concludere Plutarco, «che alla teoria si unisca la pratica, attraverso l’esercizio delle personali capacità inventive, per costruirci un abito mentale non da sofisti o da eruditi, ma intimo e filosofico, nella convinzione che un buon ascolto è il punto di partenza per vivere bene».
Il discorso filosofico è un mezzo privilegiato grazie al quale il filosofo può agire su se stesso e sugli altri solo e soltanto se esso è davvero espressione di una scelta di vita da parte di colui o colei che lo formula e produrrà un effetto trasformativo che è quello di creare un habitus (vivere secondo ragione).
La distinzione tra discorso filosofico e filosofia come arte di vivere è particolarmente netta in Plutarco, e il primo non può né giustificare né fondare la seconda, cui solo un discorso critico può introdurre; il ragionamento critico (o benevolente esplorazione di sé nell'ascolto dell'altro-specchio) e la meditazione sono da annoverarsi, insieme all'ascolto, tra quelle «pratiche di sé» che garantiscono una presenza attiva e serena nel mondo reale ed una adesione coerente del discorso interiore con la pratica di vita.
L'immaginario comune ci fa pensare alla filosofia come ad una attività da professori che dibattono dall’alto di una cattedra, ma ciò che non si coglie più è che la filosofia la esercitiamo quotidianamente. Socrate — afferma altrove Plutarco — non si sedeva in una cattedra professorale e non aveva un orario fisso per discutere o passeggiare con i suoi discepoli, ma scherzando con loro, bevendo o andando alla guerra o all’agora, e alla fine andando in prigione e bevendo il veleno, egli ha filosofato. E con ciò facendo è stato il primo a dimostrare che, in ogni tempo e in ogni luogo, in tutto ciò che ci accade e in tutto ciò che facciamo, la vita quotidiana ci dà la possibilità di filosofare.
Plutarco — a proposito del ruolo formativo e trasformativo del filosofare come stile di vita, va oltre l'antica formula del «non smettere mai di scolpire la tua propria statua» aggiungendo che il discorso critico-filosofico «non scolpisce statue immobili, ma tutto ciò che tocca esso vuole rendere attivo, efficace e vivo».
PERCORSI NEL CAMPO DELL'ASCOLTO
Per concludere questa introduzione ad una «filosofia dell'ascolto» (da intendersi — ormai è chiaro, come un sottocapitolo dell'«arte di vivere filosoficamente»), ci concederemo un passo storico-filosofico indietro rispetto a Plutarco per andare a sigillare l'intuizione che sta alla base di quella che definiremmo l'epoca del filosofare socratico e che è ben più di un'epoca storica, ma un modo di essere.
Alfred Tomatis (forse la personalità di maggiore interesse nell'ambito degli studi sull'ascolto nella sua multivocità di senso), si domanda perché — quanto meno fino a Plutarco, non vi sia nulla (o quasi) nella immensa produzione filosofica della Grecia classica che riguardi esplicitamente l'ascolto.
La cultura greca in verità non aveva alcun motivo di parlare dell'ascolto. E ciò perché la cultura greca era la cultura dell'ascolto. Tutti i pensatori, dai pre-socratici ad Aristotele, sono rimasti in ascolto di un Logos onnipresente, attenti a captare e decifrare tutto ciò che l'universo diceva loro.
Se la preoccupazione di sovrapporre al fenomeno acustico un processo fisiologico caratterizza tutta l'epoca del filosofare pre-socratico (con notevoli intuizioni, peraltro, che anticipano alcuni segmenti della moderna scienza dell'ascolto), il passaggio all'epoca del filosofare socratico si determina nel momento in cui all'universo chiuso all'ascolto dei sofisti, maestri dello sterile monologare, si contrappone il pensiero dialogico di Socrate che, se vogliamo credere al suo portavoce Platone, è stato l'uomo ascoltante per eccellenza.
Socrate è il primo a capire che non vi può essere condivisione senza conoscenza di sé e con questa consapevolezza dà nuove basi alla filosofia definendola niente altro che la scienza dell'ascolto. Socrate non solo si pone all'ascolto dell'altro, ma si impone l'ascolto di se stesso. Con l'orecchio sempre teso, si impegna arditamente nel campo dell'ascolto e vi resta sempre fedele. Anche quando è costretto a bere la cicuta, si trova in quello che Tomatis definisce il campo dell'ascolto assoluto di un universo che lo attende, lontano da un mondo in cui l'uomo ha perso ogni contatto con la realtà.
Con Aristotele, la verità socratica prende senso e si radica; questo meteco nel cuore dell'ateniesità, apporta alla cultura greca un insieme di conoscenze la cui vastità è ancora oggi oggetto di ammirazione. Aristotele possedeva sorprendenti conoscenze anatomofisiologiche, ivi comprese quelle dell'apparato uditivo, ma si rimane addirittura stupefatti di fronte all'esplicita menzione del labirinto, che si credeva una scoperta dell'anatomia moderna, e ancora più interessante è il passaggio che riguarda il rumore intrinseco dell'orecchio e che indica che esso è in buona salute.
L'epoca del filosofare aristotelico supera conservandola quella del filosofare socratico, poiché Aristotele ritorna all'universo dimorando contestualmente nell'individuo, e con Tomatis possiamo affermare che il più grande di tutti i filosofi riesce per primo a cogliere — al di là di quello della coscienza e della parola, anche il rumore della vita che l'orecchio percepisce nel silenzio.
Poesie
Notte gelida
Niente potrei desiderare di più in questa notte
che trovarmi al tuo fianco
prendere la tua mano e viaggiare
viaggiare lontano
dove non esiste niente
tranne tu ed io.
Mi sentirei più vivo di un fiore
che si apre alla dolce umidità della rugiada
e la mia anima
come aquila che vola verso il tramonto
si eleverebbe sopra tutto quello
che una volta credevo impossibile.
L'amore che ti porto
abbraccia l'infinito
più non ti cerco nè ti seguo
perchè in una strana maniera
sei in me.
Sento che copri la mia anima
che mi avvolgi come nebbia misteriosa
e senza averti vicina
mi prendi
mi stringi
e dai vita al mio corpo.
In questo momento magico
di fascino mistico
e passione senza catene
questa sensazione
cosi strana come piacevole
reclama la tua presenza
e soffre
soffre per il dolore della mancanza.
In questa notte
gelida come la solitudine
manca solo il tuo corpo
vibrando unito al mio
e la tua voce
proiettando illusioni.
Cinema
In questo film Ridley Scott conferma la sua abilità nel ricreare ambientazioni storiche come è stato anche ne "Il Gladiatore".La storia di Robin Hood la conoscono tutti ma qui si parte dal principio cioè da quando Robin faceva parte dell'esercito di Riccardo Cuor di Leone e poi rientrando dalle crociate venne "adottato"da un Lord che era molto amico di suo padre,ucciso quando lui era piccolo per avere contestato l'autorità del re.Il vero figlio di questo Lord era stato ucciso in un agguato e la sua sposa si trova a dover convivere con Robin nella stessa casa e a vivere le situazioni che l'epoca li costringeva ad affrontare.Robin scopri la congiura per uccidere il re Giovanni,succeduto a Riccardo,e consegnare l'Inghilterra alla Francia.Purtroppo nella battaglia per respingere le armate francesi mori la donna che ormai Robin amava perdutamente,Lady Marion e inoltre il re,rimangiandosi la parola data,mise al bando Robin che da allora iniziò il cammino di fuorilegge che lo consegnò alla leggenda.Fantastica l'interpretazione di Russell Crowe nella parte di Robin Hood,grandissima e dolcissima Cate Blanchett nella parte di Lady Marion,e poi altri grandissimi attori a fare da contorno alla vicenda come William Hurt nei panni del Lord fedele al re,e Max Von Sydow il Lord che adottò come figlio Robin Hood.Un film lungo ma bellissimo e che vorrete rivedere e rivedere senza annoiarvi mai.
Pensieri
Oggi è una giornata di pioggia incessante,di bora,di freddo,un clima invernale più che autunnale.Una giornata di amara solitudine,di letture,di sistemazione della biblioteca di casa,i libri sono sempre stati grandi amici e fratelli per me,mi fanno compagnia quando sono solo,mi rassicurano quando ho pensieri tristi,sembrano dirmi "noi ci siamo e non ti abbandoneremo mai",sono loro che scelgono noi e non il contrario come ingenuamente pensiamo.Adoro il loro odore,mi piace prendermene cura spolverandoli,sistemandoli con cura,ogni libro ha una sua storia,scritta dall'autore o proveniente da chi me lo ha donato,c'è tanta vita,tanto dolore,tanto sangue,tanti viaggi,tante emozioni palpitanti,tanto amore,tanto odio,tanto bene e tanto male in quei libri,pensieri profondissimi che attraversano il tempo e vita quotidiana.Mi piace molto starmene alla finestra del mio soggiorno da dove posso vedere i tetti della casa davanti e vedere la pioggia che lava tutto,scivola verso il basso e rende il cielo fitto fitto di goccioline cosi come i vetri delle mie finestre.Anche la pioggia è amica e ti avvolge nel suo abbraccio mentre passeggi per la città accompagnato dai tuoi pensieri.Rientrare e rilassarsi con un buon tè bollente,vedere un bellissimo film e sentire dentro tanta malinconia ma niente tristezze,anche nella solitudine sono sereno.
Poesie
Non vi è respiro che non conosca la via del ritorno
Si perde solo ciò che si ha avuto
E sapendo che Esiste – ciò che hai posseduto –
Niente può andare mai perduto.
la Speranza – la Forza – un Gesto lento – un Sorriso stampato nell’anima
un Pianto – la Voglia di ricerca – la Grinta – l’Ardore.
Così ritorna l’idea…
Un odore un errore un sapore
Un orrore un balocco un bagliore
Un’ombra un colore…
..Tutto è a passeggio tra il tempo e lo spazio..
L'Essenza non è carne
non è pelle
non è ossa
E’ in Potenza il Pensiero in un teatro di Immagini e Mistero.
Il Paradiso Perduto è da ritrovare
A cavalcioni tra il Sogno ed il Reale…
Il Sogno è nell’Anima
Il Reale gli dà forma e colore
(Francesca Conti)
venerdì 17 settembre 2010
Dedicato a....
Ventisei anni fa,quasi alla stessa ora attuale,mi trovavo in un ospedale romano nel reparto di Ematologia.Li disteso c'era un mio amico d'infanzia,Mauro.Completamente calvo per via della chemioterapia,cosi bianco da sembrare un fantasma,uno scheletro che ti guardava senza forza,prosciugato di energie e di vita.Chiuse gli occhi pochi minuti dopo che io e Chiara,nostra amica di Università,arrivammo li.Intorno solo altri scheletri,molti occhi infossati,molti i bambini che si lamentavano per i dolori fortissimi,l'odore tipico degli ospedali che ti faceva girare la testa,non riuscivo a realizzare,a capire cosa stava succedendo,cosa era appena successo al mio amico.Immediatamente dottori ed infermiere tutti intorno,a noi che ci allontanano,ma lui non era già più tra noi.Aveva 20 anni.Dodici anni prima io e lui che stavamo tirando un pallone contro una serranda chiusa di un negozio.Ognuno cercava di tirare più forte e di fare più rumore,fino a che le persone che abitavano sopra cominciarono ad urlarci di tutto e scappammo via.Da li mai un momento separati.Sempre insieme.Abitavamo a 200 metri,bastava un fischio o un urlo e l'altro scendeva giù,a qualunque ora del giorno e della sera e qualunque cosa stesse facendo.Facevamo parte dello stesso gruppo,tutti ragazzini cresciuti per strada e uniti indissolubilmente.Giocavamo a pallone giornate intere,finendo spesso a fare a botte con la squadra avversaria,e poi tutti sotto la fontanella delle suore a lavarci il sangue per non fare vedere ai genitori che avevamo fatto a botte.Con Mauro dividevamo tutto,i dischi,i film,il pallone,le scarpe,i libri di storia,i giochi di ruolo,che lui creava da solo mostrando un talento pazzesco.Gli presentai pure io la ragazza della quale si innamorò perdutamente,ricambiato,e che purtroppo poi lasciò Roma per trasferirsi con i suoi in Puglia di nuovo.Ci perdemmo di vista durante le superiori e ci ritrovammo casualmente all'Università,stessa facoltà,stessa aula.Il tempo di preparare insieme i primi esami e la caduta nella malattia,la leucemia,arrivò fino alla estrema unzione,ma poi si riprese e noi ci scherzavamo sempre su,che sarebbe stato immortale e non sarebbe mai morto.Adorava la musica in special modo gli Stones.Nel suo ultimo compleanno gli regalai un loro disco e lui lo metteva sempre studiandoci,giocando a scacchi,leggendo,mangiando.Ora me lo ritrovavo li,immobile,nei miei occhi milioni di immagini,discorsi interminabili sulla vita e il destino,le ragazze,il futuro,la politica,i film,i quadri,le poesie,che già allora scrivevo e che poi lui appendeva sulla lavagna dell'aula dell'università dove facevamo lezione,con mia grande vergogna.Da li ho imparato che la morte ti sfiora sempre,è sempre in agguato,e a non dare mai per scontata la vita perchè basta un nulla e perdi tutto e quale privilegio sia poterla godere.Mauro questo privilegio l'ha potuto assaporare per pochi anni.Troppo pochi.Al funerale il nostro gruppo mise ognuno un po' del suo talento,che lui avrebbe apprezzato,Salvatore suonò un pezzo con la chitarra struggente,Roberto tappezzò di bellissime foto in bianco e nero di tutti noi insieme la chiesa,io lessi una mia poesia per lui,Chiara fece delle composizioni di fiori bellissime.Io ogni 17 settembre di ogni anno ascolto una canzone degli stones e lo ricordo....
giovedì 16 settembre 2010
Pensieri
La vita segreta delle parole.
Ho preso in prestito per questo pensiero il titolo di un bellissimo film.Lo spunto mi è nato da una discussione,le parole sono belle in sè,hanno una bellezza oggettiva al di là del senso o dell'emozione o della verità che estrinsecano oppure servono esclusivamente come strumento per suscitare certi sentimenti?Ci sono diverse scuole di pensiero.per esempio i futuristi di Marinetti propendevano per la prima ipotesi,le parole non hanno senso,possono servire per esprimere suoni,rumori,colori,poi è l'interpretazione che ne dà chi legge a dare loro un senso.Per me le parole rappresentano il pane quotidiano,nel lavoro,nella vita privata,nei miei interessi,nelle mie letture,sono importantissime e esprimono bellezza per ciò che riescono a trasmetterti,soprattutto per l'emozione,per il brivido,per la riflessione che ti suscitano,altrimenti sono solo un mero esercizio stilistico,una esercitazione,una bellissima scatola colorata con dentro il nulla.Invece le parole devono farti vedere colori,sentire profumi,portarti in terre lontane,farti ridere,piangere,arrabbiare,pensare,possono essere soffici come cuscini o dure come pietre,vere e trasparenti come acqua di sorgente o false e ipocrite come una banconota contraffatta.Io la penso all'orientale,per loro senso e forma sono la stessa cosa,non può esistere un componimento,per esempio un haiku,che sia stilisticamente perfetto ma che non abbia al suo interno un richiamo alla natura,ad uno stato emotivo interiore o ad un pensiero,che non abbia una "anima".Sarebbe immediatamente considerato una stortura.
Moda
E' il capo più tradizionale che si possa avere o desiderare,taglio classicissimo,colori tenui,imbottitura super resistente,molto elegante ma soprattutto molto comodo e leggero.Un capo ideale per l'autunno e per l'inizio dell'inverno da indossare sopra una giacca o un maglione morbido e caldo,magari uno di quelli,bellissimi,norvegesi.Attenzione alle fregature.Quelli originali hanno un costo elevato e trovarne a prezzi abbordabili,anche usati,è praticamente impossibile perchè chi lo compra se lo tiene per l'intera vita.
Poesie
SCRITTO SULLA SABBIA
Che il bello e l'incantevole
Siano solo un soffio e un brivido,
che il magnifico entusiasmante
amabile non duri:
nube, fiore, bolla di sapone,
fuoco d'artificio e riso di bambino,
sguardo di donna nel vetro di uno specchio,
e tante altre fantastiche cose,
che esse appena scoperte svaniscano,
solo il tempo di un momento
solo un aroma, un respiro di vento,
ahimè lo sappiamo con tristezza.
E ciò che dura e resta fisso
non ci è così intimamente caro:
pietra preziosa con gelido fuoco,
barra d'oro di pesante splendore;
le stelle stesse, innumerabili,
se ne stanno lontane e straniere, non somigliano a noi
- effimeri-, non raggiungono il fondo dell'anima.
No, il bello più profondo e degno dell'amore
pare incline a corrompersi,
è sempre vicino a morire,
e la cosa più bella, le note musicali,
che nel nascere già fuggono e trascorrono,
sono solo soffi, correnti, fughe
circondate d'aliti sommessi di tristezza
perché nemmeno quanto dura un battito del cuore
si lasciano costringere, tenere;
nota dopo nota, appena battuta
già svanisce e se ne va.
Così il nostro cuore è consacrato
con fraterna fedeltà
a tutto ciò che fugge
e scorre,
alla vita,
non a ciò che è saldo e capace di durare.
Presto ci stanca ciò che permane,
rocce di un mondo di stelle e gioielli,
noi anime-bolle-di-vento-e-sapone
sospinte in eterno mutare.
Spose di un tempo, senza durata,
per cui la rugiada su un petalo di rosa,
per cui un battito d'ali d'uccello
il morire di un gioco di nuvole,
scintillio di neve, arcobaleno,
farfalla, già volati via,
per cui lo squillare di una risata,
che nel passare ci sfiora appena,
può voler dire festa o portare dolore.
Amiamo ciò che ci somiglia,
e comprendiamo
ciò che il vento ha scritto
sulla sabbia.
Hermann Hesse da La felicità, versi e pensieri.
mercoledì 15 settembre 2010
martedì 14 settembre 2010
Poesie
Dolce lamento
Temo di perdere la meraviglia
dei tuoi occhi di statua e la cadenza
che di notte mi posa sulla guancia
la rosa solitaria del respiro.
Temo di essere lungo questa riva
un tronco spoglio, e quel che più m'accora
è non avere fiore, polpa, argilla
per il verme di questa sofferenza.
Se sei tu il mio tesoro seppellito,
la mia croce e il mio fradicio dolore,
se io sono il cane e tu il padrone mio
non farmi perdere ciò che ho raggiunto
e guarisci le acque del tuo fiume
con foglie dell'Autunno mio impazzito.
Federico Garcìa Lorca
Cinema
Quattro killers vengono assoldati per uccidere alcuni narcotrafficanti.Svolgono i loro incarichi sempre più pericolosi rimanendo alla fine in due e durante l'ultima missione liberano una bambina tenuta in ostaggio.Da questo punto in poi da "cacciatori"diventano prede,qualcuno li insegue e cerca spietatamente di eliminarli.Un thriller veramente ben fatto tenuto su da due attori del calibro di David Carradine e Michael Madsen nelle parti prima dei "liberatori"delle strade dai trafficanti di droga e poi invece trasformatisi in mandanti spietati che alla fine finiranno ucci dagli stessi killers che avevano assoldato.Finisce con la speranza della bambina che si salva e con il kiler di colore che prosegue il suo cammino insieme a lei.Molto ben fatto.
lunedì 13 settembre 2010
Pensieri
Quante volte ci è successo nella vita di arrivare ad un punto di svolta nel quale occorre prendere una decisione che poi farà si che tutto il nostro cammino di allora prenda una direzione imprevista ed improvvisa che rivoluzionerà tutto,ma proprio tutto,fuori e dentro di noi?Immagino diverse volte.Magari hai appena raggiunto un equilibrio nella tua vita,hai un lavoro stabile e proficuo,vivi con la tua famiglia avendo tutti vicino nipoti amati compresi,hai amicizie coltivate da 13 anni,vivi in un posto a due passi dal mare e la sera ti addormenti sentendo l'infrangersi delle onde del mare sugli scogli,hai qualche ragazza del posto che ti fa capire il suo interesse,eppure spedisci una lettera il giorno del tuo compleanno con una carta con foglie autunnali e la tua vita di allora svanisce in un secondo.Facendo un viaggio a ritroso mi rendo perfettamente conto del momento esatto in cui tutto è cambiato,quando una persona entra dentro di te e finisci per accoglierla come amica,poi la conosci meglio,poi ti innamori e poi sei ad un bivio,viverla fino in fondo o rimanere ancorati nel proprio porto,essere un faro immobile o farsi trasportare dalle onde.Io presi questa seconda strada,vivermela fino in fondo,senza alcuna certezza,andando in una città che per me esisteva solo nei racconti di mio padre che ci andava per lavoro ma che non conoscevo per niente,con una cultura diversa,modi di parlare diversi,senza un lavoro,l'unica certezza lei.Pensandoci oggi sembra un suicidio,aggrappato solo alla labilità di un sentimento che poteva svanire precocemente lasciando terra bruciata dentro me e nella mia vita.Ma io sinceramente sentivo che era una strada da seguire,che dovevo assecondare quello che il cuore mi diceva e che poi avrei affrontato tutto,passo dopo passo,con la forza che solo gli incoscienti e gli innamorati persi hanno.In effetti è stato cosi,ho affrontato tutto,al di là di ogni mia più vivida immaginazione,mi sono creato una attività in proprio essendo stato sempre dipendente,quindi mettendomi in gioco in tutto,comprato e rivenduto e perso case,comprato,ricevuto e perso macchine,mi sono sposato e poi separato,avuto figli che sono la mia luce,e figli mai nati che sono lo stesso profondamente dentro di me,ho provato la gioia immensa di veder nascere i miei figli e l'abisso del più atroce dei dolori seppellendone uno,ho provato la felicità del vivere quotidiano con la donna che amavo e il dolore profondo nel vedere distrutto in un colpo solo tutto quanto costruito in quasi venti anni,ho riso,cantato,ballato,pianto,ma ho vissuto ed è stata la mia strada.Stefano è stato forgiato fin nel profondo da questa esperienza imparando tantissime cose,è diventato affilato e duro come una spada d'acciaio di samurai,flessibile e apparentemente fragile come un salice,ma dentro è rimasto quello Stefano che segue l'onda dell'amore,che sa che quella è la sua strada,costi quel che costi,e che quando ama quello che lascia di sè stesso e della sua vita non lo vede come una rinuncia ma come fanno i serpenti,come un cambiamento di pelle,un rinnovarsi.Il viaggio continua sempre e ancora.
Poesie
Inverno
In ginocchio tra vento, orma e levriero
corsi dietro di te, chiara presenza,
trascinato dal lampo di una stella
di senso in senso sino alla tua assenza.
Attraversasti, amore, gli egoismi
che con selce di lacrima ti svelo
sovrapponendo abissi dopo abissi,
nella mia solitudine di gelo.
Il grande ragno della pioggia fila
con acqua e vento leste ragnatele.
Cosa mai diverranno domattina?
Forse un vetro infrangibile, di certo
somigliante ai miei occhi ormai sereni
dopo aver pianto tutto ciò che ho perso.
Traduzione di Cristina Sparagana
Miguel Ángel Asturias
Un trovatore precolombiano
a cura di Cristina Sparagana
Crocetti Editore 2009
Cinema
Altro action movie visto ieri,questo un po' meno efficace del precedente per via della regia e degli interpreti,nettamente al di sotto di Armored.Comunque un film godibile per passare un'oretta e mezza.Un poliziotto viene preso di mira da un terrorista specializzato in esplosivi che semina morte e distruzione dovunque passi in cambio di richieste di denaro.Incontra sulla sua strada il poliziotto e lo costringe,per salvare la sua squadra,ad uccidere sua moglie.da li inizia una caccia all'uomo con colpi di scena a ripetizione dove sembra sempre prevalere il cattivo,fino alla sequenza finale molto ben fatta....
domenica 12 settembre 2010
Poesie
Sensazione
Le sere azzurre d'estate, andrò per i sentieri,
Punzecchiato dal grano, a calpestare erba fina:
Trasognato, ne sentirò la freschezza ai piedi.
Lascerò che il vento mi bagni il capo nudo.
Non parlerò, non penserò a niente:
Ma l'amore infinito mi salirà nell'anima,
E andrò lontano, molto lontano, come uno zingaro,
Nella Natura, - felice come con una donna.
Marzo 1870
Arthur Rimbaud (1854-1891)
Cinema
Rachel McAdams,Tim Robbins,Michael Pena,tre attori che reggono brillantemente un ottimo film,carico di umanità,di dialoghi brillanti,di situazioni commoventi.E' la storia di tre soldati reduci dall'Iraq,tutti e tre rimasti a vario titolo feriti e che vengono rimpatriati per un mese in licenza.Ognuno pare avere una vita stabile ed ordinata e sembra felice di ritornare a casa.ma ecco le sorprese.Tim Robbins ritornato a casa parla con la moglie che vuole il divorzio,il figlio gli chiede soldi per iscriversi a Stanford,lui è disperato e si ritrova solo e cosi prosegue il viaggio con gli altri due amici.Lei Rachel riporta la chitarra ai genitori del ragazzo che aveva quando era nell'esercito,ragazzo morto in Iraq,sperando la accolgano come una figlia,ma giunta li viene a sapere che il suo ragazzo aveva messo incinta una ragazza del posto e aveva avuto un figlio di pochi mesi.Allora decide di continuare anche lei il percorso con gli altri due.Michael pensa di ricongiungersi con la sua ragazza ma è stato feiro nelle parti intime ed adesso ha disfunzioni erettili cosi teme di venir lasciato dalla sua ragazza per questo motivo.Durante il viaggio in macchina attraverso gli States i tre si rivelano a vicenda svelando una umanità profonda e sincera e rivelando un cameratismo che va al di là dell'appartenenza all'esercito,ma dipende essenzialmente dalla comune esperienza di vita nella guerra.Alla fine tutti e tre ritorneranno nell'esercito finita la licenza e si ritroveranno all'imbarco,ma stavolta consapevoli del loro legame e pronti a sfidare il destino.
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