martedì 5 gennaio 2010

Accadimenti


IL TEMPORALE

  C'è stato un bel temporale stasera. Per precauzione ho spento il computer, onde evitare che venisse danneggiato da eventuali sbalzi di tensione causati da scariche di fulmini. Sono stato a lungo fuori in giardino al riparo sotto il balcone, incantato a guardare la pioggia cadere. 
  Non ho più paura dei temporali adesso, come invece ne avevo da bambino, ed anche per un po' di anni oltre l'infanzia. Tuttavia un potente fulmine, abbattutosi non molto lontano, un po' di spavento me l'ha fatto venire, e non solo a me, ma anche a diversi allarmi che si sono messi tutti a gridare; ed una certa apprensione me l'ha procurata vedere gli aerei decollati dalla Malpensa prendere quota in cielo, indifferenti tra le nuvole ed i bagliori dei lampi.
  Una volta non era così. Con un simile temporale sarei rimasto ammutolito senza fiatare, in un bagno di sudore sotto le coperte, in preda al terrore. Oppure, se non potevo andare a letto, sarei rimasto attaccato a mia madre, per avere conforto e protezione. Mia madre sapeva molto bene quanta paura avessi dei temporali e, se per caso udiva qualche tuono ed io non fossi già rincasato, mi veniva a cercare in giro, immaginando lo spavento che mi prendeva. 
  Peraltro ciò era un'evenienza rara, perché io ero sempre guardingo, monitoravo il cielo in continuazione e, come notavo che le nuvole non fossero tutte innocenti, bianche e vaporose come spose, e che apparisse qualcuna dalla cera un po' cattiva, che potesse assomigliare anche solo vagamente ad una strega, non stavo ad aspettare il brontolio di tuoni lontani per approssimarmi a casa.
  A causa della paura dei temporali, la stagione che preferivo era l'inverno: il cielo diventava finalmente tranquillo, mite, buono, e quand'anche fosse scuro, denso di nuvole nere, non si arrabbiava mai. Poi che bello quando lasciava cadere la pioggia che frusciava sui tetti bassi delle case, filava a catenella dalle tegole, zampillava nelle conche che le nostre mamme vi appostavano sotto per fare la scorta, risparmiandoci così di andarla ad attingere alla fontana; ed era un riposo generale: della natura, delle persone, di tutti gli animali. 
  Nelle nostre case intanto il camino scoppiettava allegramente di ceppi accesi, lambendo con la fiamma qualche pignatta piena di fagioli, fave, ceci, lenticchie, cavoli con la "coria" (cotenna) che borbottava a sua volta, effondendo il suo profumo intorno, che stuzzicava già tanta fame, mentre le nostre mamme, davanti al tagliere, preparavano nel frattempo la pasta a mano, "capunt", "capuntidd", "lagan", "ricchitell". In un angolo della casa, separati da un muretto, le galline cantilenavano, i conigli sbattevano le zampe per terra, il maiale ronfava, ignaro del destino che lo attendeva poco dopo Natale.
  Poi non voglio parlare qua della magia della neve durante l'inverno, che merita un racconto tutto per sé e, se mi soffermassi su di essa, andrei fuori tema.
  Ma l'inverno durava poco, forse anche meno di tre mesi per quanto riguardava i temporali, ed il primo mi coglieva sempre di sorpresa: invece di piovere e basta, boom, all'improvviso udivo echeggiare qualche tuono: mia madre diceva che l'inverno era "frasciato", cioè abortito, e finiva per me la tranquillità.

  I temporali arrivavano in prevalenza da nord: mio zio Rocco si affacciava al lato della casa, scrutava l'orizzonte in direzione di Palazzo San Gervasio, io intanto scrutavo lui per capire che diagnosi facesse, e lui ne annunciava l'arrivo, preceduto da un greggio di nuvole che però non belavano, bensì emettevano versi minacciosi, che si trasformavano, a mano a mano che il temporale si approssimava, da brontolii, in scoppi rabbiosi di collera. E cominciava per me l'agonia, a sentire il cielo che sembrava scaricare per terra massi enormi che rimbombavano, rimbalzavano e rotolavano, oppure menare tremendi colpi di scure che si abbattevano sui tetti delle case e li sconquassassero.
  Ed ogni volta che il temporale finiva, era come essere stati risparmiati dalla morte, e, con lo spirito sollevato, era un'autentica gioia festeggiare lo scampato pericolo facendo scorrere sul rigagnolo dell'acqua piovana, prima che si esaurisse, qualche barchetta di carta, che portava via tutta la paura che avevo accumulato prima dentro.
  La paura per il temporale si trasformava in terrore quando capitava che mia madre era in campagna, perché mi mancava la sua protezione e poi anche perché immaginavo mia madre esposta a fulmini e tuoni senza alcun riparo. Allora ci andavamo a rifugiare dalla zia accanto, che però aveva più paura lei di noi, e ad ogni lampo o tuono si faceva il segno di croce, triplo se erano particolarmente cattivi. Peraltro non potevo neppure rimanere fermo attonito a gestire la mia paura, ma dovevo correre qua e là in casa a parare secchi, conche e bacinelle perché colava pioggia dal tetto.
  Poi accadde, forse nel 1958/1959, che non molto distante da casa un fulmine uccise davvero una persona. Era uno di Genzano, scoperto in seguito essere stato egli padre del mio compagno di scuola Loguercio, che stava mietendo. Allo scoppio del temporale, mentre correva per andarsi a rifugiare da qualche parte, un fulmine lo colpì.
  Quel fatto aumentò ancora di più la mia paura, arguendo che i fulmini non facevano solo rumore con i tuoni che ne seguivano, ma che ti potevano uccidere davvero. Quanto tempo trascorse poi prima che mi venisse il coraggio di passare davanti alla lapide che fu posata dove morì quel disgraziato!
  Ma dovetti sforzarmi parecchio anche per superare la paura di andare a frequentare la scuola media a Palazzo San Gervasio, il cui luogo associavo come ad una sorta di fucina dove si preparavano i temporali.
  Col professore di lettere Antonio Proto capii però che il temporale poteva diventare anche una poesia, "La quiete dopo la tempesta" di Giacomo Leopardi: non feci alcuna fatica a comprenderne il significato ed egli, oltre che bravo professore, quasi un padre amorevole, mi aiutò a crescere, ad avere fiducia, a superare anche la paura dei temporali.
  Penso però che mia madre per precauzione, quando starò per ritornare da lei, comunque mi correrà incontro.

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