lunedì 10 ottobre 2011

Internazionale


Pena di morte: “La comunità internazionale
si sveglia solo nella giornata mondiale”




E' la denuncia di Amnesty international. Nel 2010 in 67 paesi sono state inflitte 2024 nuove sentenze capitali, ma c'è l'incognita cinese, che considera questo dato "segreto di stato". Riccardo Noury: "In Italia c'è una tradizione abolizionista, ma la gente si innamora di un caso ma non del problema nel suo complesso"Oggi si celebra la nona Giornata mondiale contro la pena di morte, incentrata sulla disumanità della pena capitale in quanto trattamento e punizione crudele, inumano e degradante. Secondo Amnesty International, dal 1977 impegnata in una campagna mondiale contro la pena di morte, nel 2010 almeno 23 paesi hanno eseguito la pena capitale per un totale di 527 esecuzioni riportate. In testa l’Iran con almeno 252 esecuzioni, la Corea del Nord con almeno 60, lo Yemen con almeno 53, gli Stati Uniti d’America con 46, l’Arabia Saudita con almeno 27. Questi dati non includono la Cina. Amnesty sostiene che l’anno scorso siano state eseguite migliaia di pene capitali ma non è possibile stabilirne il numero perché la Cina considera i dati un segreto di stato. Inoltre nel 2010 in 67 paesi sono state inflitte 2024 nuove sentenze capitali, e questo sarebbe il numero minimo dedotto dalle ricerche si Amnesty.

Una dichiarazione congiunta rilasciata da Catherine Ashton, alto rappresentante dell’Unione Europea per gli Esteri e la Politica sulla sicurezza, e Thorbjørn Jagland, segretario generale del Consiglio D’Europa, riafferma la netta presa di posizione contro la pena di morte e l’impegno per l’abolizione in tutto il mondo. “Crediamo che la pena capitale sia inumana e sia una violazione della dignità dell’uomo. Ogni pena capitale che deriva da un errore della giustizia, da cui nessun sistema giudiziario è immune, rappresenta una perdita umana irreversibile. […] Il sostegno crescente alle risoluzioni dell’Onu nel 2007, 2008 e 2010 confermano una crescita della tendenza contro la pena di morte nel mondo”. Le dichiarazioni a livello europeo stridono con il fatto che in Bielorussia, uno stato dell’Europa orientale, nel 2010 sono stati eseguite due pene capitali.

Sulla pena di morte abbiamo intervistato Riccardo Noury, rappresentante di Amnesty International Italia.

Perché ancora la pena di morte nel mondo? C’è una ragione etica?

Ci sono governi che amministrano la giustizia in questo modo, usando la scorciatoia, non credo sia per motivi etici. Usano la pena di morte come facile presa in campagna elettorale per far vedere che stanno lavorando per la sicurezza.

Che fa il mondo concretamente?

La comunità internazionale purtroppo si ricorda della pena di morte solo in questo giorno. Si deve fare di più oltre ad avere un giorno internazionale e oltre alle moratorie dell’Onu, bisogna fare di più e intervenire su casi concreti 364 giorni l’anno, non soltanto uno. In Europa c’è lo scandalo assurdo della Bielorussia che è europea e hanno ucciso anche nel 2011. Il dato positivo è che nel mondo aumentano i paesi contro la pena di morte. In Giappone sono a un anno e due mesi senza esecuzioni. Molti paesi dell’Africa stanno lavorando per abolire la pena di morte, l’Africa sta procedendo molto bene. La campagna che lanciamo oggi è per l’abolizione della pena di morte in Bielorussia.

E in Cina? Non si conosce neanche il numero di esecuzioni.

In Cina lavorano molto dal punto di vista giuridico sia le organizzazioni locali sia i magistrati e gli avvocati cinesi, che cercano di smontare il sistema. La prima urgenza è quella di rendere pubblici i dati, che si possano controllare (la Cina ha dichiarato di aver diminuito le esecuzioni ma non ha fornito dati – ndr).

Cosa pensa la gente in Italia e cosa fanno le istituzioni?

All’Italia si deve riconoscere il ruolo storico, condiviso dalle forze politiche, di aver rilanciato il dibattito sulla pena di morte dal 2007 in avanti. Ha una sua grande tradizione abolizionista. La gente.. beh i sondaggi non sono attendibili in quanto le persone si innamorano di un caso, come quello Sakineh (la donna giudicata colpevole di adulterio in Iran e condannata a morte per lapidazione e a cui nel 2010, diventata un caso internazionale, è stata commutata la pena in 5 anni di prigione – ndr) ma si scordano le 470 impiccagioni per reati comuni e reati politici nel 2011. Se si fa un sondaggio dopo che è scoppiato un caso il 60% degli italiani è contro la pena di morte, se si fa un sondaggio dopo un delitto efferato il 60% è per la pena di morte. I sondaggi non contano molto. In Italia però c’è un comune sentire, laico, politico e religioso, contro la pena di morte. Nessun politico si sognerebbe di fare una campagna elettorale basata sull’introduzione della pena di morte.

Un discorso non etico ma molto popolare negli Stati Uniti: perché dobbiamo mantenere a vita un assassino seriale? È un peso economico sulla comunità e nuoce soltanto.

Se parliamo di costi, che comunque sono un discorso importante, costa molto di più una procedura che prevede la pena di morte fra appelli, ricorsi, domande di grazia ecc. C’è stata una polemica in California proprio sui costi per tenere in piedi il braccio della morte.

E delle famiglie che vogliono vendetta?

Questo è un tema importante: il supposto conforto alla famiglia delle vittime. In realtà di anno in anno cresce il numero di associazioni di famiglie di vittime contro la pena di morte inflitta a loro nome.

Nessun commento:

Posta un commento