sabato 28 gennaio 2012

Cinema


Sono due anni che Mr. Brooks non uccide nessuno e fila diritto. Con l'aiuto di Dio e di un gruppo terapeutico, a cui tace la vera natura della sua dipendenza, è riuscito a reprimere l'altro sé: Marshall, proiezione criminale del suo io, che lo spinge a commettere efferati delitti. Il "killer delle impronte", fuori servizio, è un padre amabile, un marito fedele e un imprenditore di successo. Ossessionato dal controllo e dalla pulizia, la scena dei suoi crimini non rivela mai un indizio. Ma una notte, mentre consuma un duplice omicidio, qualcuno lo osserva e lo fotografa. Il voyeur non sembra però ansioso di consegnarlo alla giustizia…
Il cinema americano si affida spesso ai "cattivi" per costruire la propria forza morale. Si potrebbe tratteggiare una galleria di volti contro cui il cinema dei "buoni" ha combattuto. Uno su tutti: il Kevin Spacey di Seven e dei Soliti sospetti, che incarna perfettamente il fascino del male metafisico, liberato cioè dalla costrizione del corpo (John Doe è invisibile perché ha cancellato le proprie impronte digitali, Kayser Soze si annulla inventando una creatura efferata). Mr. Brooks è invece e soprattutto un corpo. La fisionomia del malvagio di Kevin Costner segue la strada della seduzione e la tentazione del male torna ad avere una (bella) forma sullo schermo.
Da questo punto di vista ancora più interessante e ambigua appare la scelta di Kevin Costner per il ruolo del serial killer, che in un certo senso sconvolge le regole dell'invariabilità interpretativa.
Bruce A. Evans, sceneggiatore dello Stand by me di Rob Reiner, consegna al cattivo il corpo di un buono incallito, costringendo lo spettatore a subire un male ancora più forte. L'eroico Costner di Balla coi lupi mutua e degrada la propria immagine, corrompe l'espressione innocente (che conservava anche nel "mondo perfetto" di Eastwood), interpretando la perversione che attrae irresistibilmente i personaggi (il fotografo ficcanaso e l'agente di polizia) e gli spettatori.
I motivi di interesse della pellicola di Evans terminano qui. Le promesse di inquietudine si esauriscono presto, molto presto, in situazioni inverosimili e la suspense, determinata soltanto dall'attesa dello smascheramento, è priva di qualsiasi immaginazione. Si avverte una sorta di sfasatura nel tessuto, il film sembra sfuggire di mano al regista in un continuo scollamento tra le intenzioni e i risultati.
Mr. Brooks risulta alla fine strutturato di momenti topici, costruito con situazioni forti, che finiscono per negare i personaggi, resi inspiegabilmente tutti ambigui. Il doppio di Kevin Costner è William Hurt, alter ego gigionesco e colpevole.

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