martedì 10 gennaio 2012
Cinema
Il soldato americano Jack Stark, durante la guerra del Golfo, siamo nel 1991, viene ferito gravemente alla testa, gli rimane come conseguenza un'amnesia post-traumatica. Alcuni mesi dopo si reca nel Vermont, nel paese dove è nato. Mentre fa l'autostop un'auto in panne attira la sua attenzione. La conducente è in stato confusionale e la figlioletta si affida a lui, che ripara l'auto e aiuta la donna a riprendersi. Prosegue il suo viaggio con un'altra auto guidata da un giovane. L'auto viene fermata dalla polizia e Jack perde conoscenza. Quel che segue sarà una condanna per omicidio e la detenzione nel manicomio criminale di Alpine Grove, dove il dottor Baker lo sottopone ad una serie di trattamenti a base di psicofarmaci e alla permanenza in una bara estraibile, legato con la camicia di forza. Ed è in quel buco infernale che Jack inizia il suo viaggio ricostruttivo, con incursioni nel passato e nel futuro, con conseguenze non previste né prevedibili.
Siamo in un contesto al quale affidarsi del tutto o fuggirne. Parapsicologia, metafisica e thriller sono miscelati con notevole perizia ed uscire dal gioco non è facile. Il regista John Maybury, di origine britannica, autore di pellicole alternative, spesso in gara per ottenere premi e riconoscimenti, sa cosa fare della vicenda e dei suoi personaggi. Di certo eccitante nel suo svolgimento altalenante, The Jacket è un buon esempio di ciò che si deve fare di fronte a temi terribilmente complicati, come la psiche e tutte le sue scaturigini. Senza affidarsi del tutto alle modalità del thriller, Maybury sa togliere con discrezione, affidando allo spettatore un compito non sempre facile, ma di certo tonificante, nel marasma di pellicole che trattano tali temi con temeraria superficialità. Pertanto un risultato eccellente, che restituisce al cinema americano la credibilità che talvolta sembra volontariamente voler smarrire. Adrien Brody, che ha strappato il ruolo a Colin Farrell, è un attore dalla bellezza interiore così palese da trasformarlo in un essere seducente, come la giovane e bellissima Keira Knightley, vista in King Arthur, un'attrice assai più che promettente. Pertanto un film affascinante, che pur con qualche trascurabile lacuna narrativa, merita rispetto ed attenzione.
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