lunedì 30 gennaio 2012
Pensieri
Che cosa è tutto quanto gli uomini han pensato in millenni, di fronte a un solo istante di amore?
Friedrich Hölderlin, Iperione, 1797/99
Canzoni
Potremo ancora giocare la
partita del tempo
magari colorare qualche cartolina
e nelle notti future buttarci via
tenere il cuore lontano dalla nostalgia
e questa voglia di caldo che arriva piano
e questa sete di vita che prende la mano
avremo tavoli pieni di persone contente
e fuori dei motori pieni di benzina
e l' occasione di vivere fantasie
e di nascondere piccole malinconie
ma la paura e la noia ritorna piano
la solitudine porta così lontano.
Com' è difficile dire tutto quello che sento
tutte le piccole grandi verità
ed ogni movimento che mi cambierà
e camminare così nell'infinito che ho dentro
che si modifica e cerca libertà
e chiede di capire quello che sarà
se parli piano puoi sentirlo già
ascolta l' infinito.
Vedremo case tradite dal passare degli anni
ci sembreranno piccole e dimenticate
ritroveremo discorsi curiosità
e quel dolcissimo male ci accarezzerà
ma non avremo parole per dire dov' è
e l' abitudine porta così lontano
non è possibile dire tutto quello che accende
tutte le deboli e forti simmetrie
che lasciano nell'anima le poesie
e quella parte di noi che l' infinito nasconde
che ci modifica e vuole verità
e sa comunicare quello che sarà
se guardi dentro puoi vederlo già
ascolta l'infinito.
Scienza
Il"cibo spazzatura". Perché ci piace tanto? Che cosa spinge a ordinare un hamburger e a chiedere una porzione doppia di patatine fritte, possibilmente con salse dai colori improbabili? Perché questi alimenti creano dipendenza (junk food addiction la chiamano negli Usa, con lo stesso termine che si usa per le droghe)? E, soprattutto, come fare per evitare il consumo compulsivo di cibo non solo poco ricco di principi nutritivi ma addirittura dannoso per la nostra salute e responsabile di gran parte delle patologie legate all'obesità?
La ricerca più interessante sull'argomento è stata fatta in America nel 2010 presso l'Istituto Scripps di Jupiter ("Dopamine D2 receptors in addiction-like reward dysfunction and compulsive eating in obese rats" ). Ha dimostrato che il junk food agisce come una vera e propria droga sull'organismo, inducendo in chi ne consuma abitualmente una dipendenza paragonabile a quella di una sostanza stupefacente qualsiasi. Abbiamo intervistato la dottoressa Valentina Chiozzi, biologa nutrizionista e dottore in Scienze fisiologiche e neuroscienze, per farci spiegare meglio come stanno le cose.
D: Dottoressa Chiozzi, perché questi cibi attraggono così il nostro palato?
R: Studi come quello americano hanno scoperto che questo tipo di alimenti, arricchiti in laboratorio con sali, zuccheri e grassi per renderli più appetibili al nostro palato, agiscono sui recettori della dopamina in maniera del tutto simile a come fanno le droghe. In altre parole, innescano quel meccanismo che porta poi alla dipendenza fisica.
D: Come accade?
R: La dopamina è un ormone endogeno, cioè prodotto direttamente dal nostro corpo: questo tipo di cibo stimola i recettori che secernono l'ormone ma non appena questi recettori non sono più stimolati il corpo sente 'la mancanza' dell'ormone. Ecco spiegato perché questo tipo di cibo, se consumato abitualmente, crea una dipendenza non solo psicologica ma anche fisica. In medicina si usa un termine, "craving", per indicare la ricerca spasmodica di questo tipo di cibo junk, spazzatura.D: Parliamo non solo di cosa è ma anche di come è consumato il junk food.
R: Questo è un altro aspetto importante del problema, da non sottovalutare. Il junk food ha indotto nei consumatori una nuova esperienza di masticazione: se i cibi sono facili da masticare e deglutire, perché molto morbidi, si avrà voglia di buttar giù velocemente un secondo boccone, e poi ancora un altro e così via. Non solo: il junk food ha introdotto la brutta abitudine di non consumare i pasti con calma seduti a tavola, ma di masticare continuamente snack dalla mattina alla sera, in maniera compulsiva, quasi fossimo dei ruminanti, magari davanti alla televisione o, per i ragazzi, con un videogioco in mano. Non dimentichiamo poi che un cosiddetto pranzo completo al fast food è ricchissimo di grassi e può arrivare a contenere 2000 calorie, cioè il fabbisogno giornaliero calorico di una persona media. Una cifra spropositata, ma assolutamente priva di principi nutritivi come le vitamine e i sali minerali.
D: Come evitare la dipendenza da junk food?
R: Bisogna cominciare da piccoli: è stato dimostrato che l'educazione al gusto dei bambini comincia già nel ventre materno. Fondamentale poi è il periodo di svezzamento, quando il bambino si accosta ai sapori. Una madre incinta che abusa di junk food trasmette al futuro bambino la propensione per questo gusto. Vorrei ricordare che non stiamo parlando di un problema meramente estetico: l'obesità infantile è in aumento di tutto il mondo occidentale e comporta patologie legate a una eccessiva assunzione di cibi ricchi di conservanti, coloranti e zuccheri, come i succhi di frutta. Penso ad esempio al deficit di attenzione, all'iperattività e a tutte le malattie metaboliche o dell'apparato cardio-vascolare.
Internazionale
Il tribunale della Capitale ha deciso di rinviare a giudizio l'anziano dittatore, responsabile negli anni '80 della "terra bruciata", la tattica della giunta militare che, tra il 1982 e il 1983, uccise 1.800 persone. Una pagina nera nella guerra civile che in 36 anni provocò 200 mila vittime.La decisione del tribunale non era scontata. Ma quando dopo 12 anni la sua immunità parlamentare è decaduta per la fine del mandato all’assemblea legislativa, il vecchio ex generale Efrain Rios Montt, oggi 85enne, avrà probabilmente pensato di essere troppo vecchio per dover subire un processo. Invece, il tribunale di Guatemala city chiamato a decidere sul rinvio a giudizio dell’ex dittatore per crimini contro l’umanità, ha accolto gli argomenti dell’accusa: durante i 17 mesi della giunta militare, tra il 1982 e il 1983, è stato la mente della “terra bruciata”, la tattica usata dai militari per contrastare la guerriglia e sottoporre gli indigeni maya a un vero e proprio genocidio, sancito dal lavoro della Commissione per la chiarezza storica (Comisiòn par el Esclarecimiento Històrico, Ceh) creata sotto gli auspici dell’Onu nel 1994.
Davanti al tribunale, decine di persone si erano radunate per chiedere che il generale fosse mandato a processo. Un piccolo risarcimento morale e storico per le oltre 200mila vittime dei 36 anni di guerra civile in Guatemala. In quella terribile fase della storia del Paese, conclusa nel 1996, gli anni di Rios Montt sono considerati una delle pagine più oscure e inquietanti proprio per la sistematicità dei piani di “pulizia etnica” contro la popolazione indigena.
Secondo l’accusa, rappresentata dal procuratore Manuel Vazques, il militare è stato direttamente responsabile, in quanto vertice di una rigida catena di comando, di almeno 100 massacri, in cui hanno perso la vita quasi 1800 persone e altre 29 mila sono invece state costrette a lasciare le proprie terre. Vazques ha detto alla corte di poter provare la responsabilità dell’ex generale, grazie a una massiccia documentazione che dimostra come l’uomo sia stato dietro “l’ideazione, la pianificazione e il controllo dei piani militari di contro-insurrezione contro la popolazione indigena di Ixil de Quiche”.
La difesa, affidata all’avvocato Gonzalo Rodriguez Galvez ha cercato invano di controbattere che il generale “non era mai presente sul campo” al momento dei massacri.
E se l’attuale presidente guatemalteco Otto Pereze Molina, che ha avuto incarichi proprio sotto Rios Montt, avrebbe probabilmente preferito che il capitolo dei massacri non fosse riaperto, molti in Guatemala e nel mondo hanno accolto con soddisfazione la decisione di celebrare il processo.
Il rapporto finale della Ceh, pubblicato nel 1999 con il titolo “Guatemala, la memoria del silenzio” documentò e riuscì a identificare, di cui 23.671 uccise con esecuzioni sommarie e 6159 desaparecidos. Dai dati raccolti in cinque anni di lavoro, la Ceh concluse che gli indigeni maya costituivano l’83 per cento delle vittime della guerra e che il 93 per cento delle atrocità commesse durante la guerra erano state opera delle forze armate governative.
Ad agosto dell’anno scorso, quattro soldati sono stati condannati a 30 anni di prigione per ciascuna delle 201 vittime del massacro di Dos Erres (6 dicembre 1982), quando una unità delle forze speciali dell’esercito guatemalteco sterminò un intero villaggio, donne e bambini compresi, di contadini maya proprio per ordine dell’allora leader Rios Montt. Quella condanna, la prima nella storia del Guatemala, aveva ridato speranza alle organizzazioni per la difesa dei diritti umani e alle famiglie delle vittime dei massacri, che hanno aspettato il verdetto del giudice tenendo in mano cartelli con un messaggio semplice e diretto: “Nessuna impunità”. La loro speranza è stata realizzata, anche se il processo sarà lungo e riaprirà ferite mai del tutto rimarginate.
sabato 28 gennaio 2012
Cinema
Sono due anni che Mr. Brooks non uccide nessuno e fila diritto. Con l'aiuto di Dio e di un gruppo terapeutico, a cui tace la vera natura della sua dipendenza, è riuscito a reprimere l'altro sé: Marshall, proiezione criminale del suo io, che lo spinge a commettere efferati delitti. Il "killer delle impronte", fuori servizio, è un padre amabile, un marito fedele e un imprenditore di successo. Ossessionato dal controllo e dalla pulizia, la scena dei suoi crimini non rivela mai un indizio. Ma una notte, mentre consuma un duplice omicidio, qualcuno lo osserva e lo fotografa. Il voyeur non sembra però ansioso di consegnarlo alla giustizia…
Il cinema americano si affida spesso ai "cattivi" per costruire la propria forza morale. Si potrebbe tratteggiare una galleria di volti contro cui il cinema dei "buoni" ha combattuto. Uno su tutti: il Kevin Spacey di Seven e dei Soliti sospetti, che incarna perfettamente il fascino del male metafisico, liberato cioè dalla costrizione del corpo (John Doe è invisibile perché ha cancellato le proprie impronte digitali, Kayser Soze si annulla inventando una creatura efferata). Mr. Brooks è invece e soprattutto un corpo. La fisionomia del malvagio di Kevin Costner segue la strada della seduzione e la tentazione del male torna ad avere una (bella) forma sullo schermo.
Da questo punto di vista ancora più interessante e ambigua appare la scelta di Kevin Costner per il ruolo del serial killer, che in un certo senso sconvolge le regole dell'invariabilità interpretativa.
Bruce A. Evans, sceneggiatore dello Stand by me di Rob Reiner, consegna al cattivo il corpo di un buono incallito, costringendo lo spettatore a subire un male ancora più forte. L'eroico Costner di Balla coi lupi mutua e degrada la propria immagine, corrompe l'espressione innocente (che conservava anche nel "mondo perfetto" di Eastwood), interpretando la perversione che attrae irresistibilmente i personaggi (il fotografo ficcanaso e l'agente di polizia) e gli spettatori.
I motivi di interesse della pellicola di Evans terminano qui. Le promesse di inquietudine si esauriscono presto, molto presto, in situazioni inverosimili e la suspense, determinata soltanto dall'attesa dello smascheramento, è priva di qualsiasi immaginazione. Si avverte una sorta di sfasatura nel tessuto, il film sembra sfuggire di mano al regista in un continuo scollamento tra le intenzioni e i risultati.
Mr. Brooks risulta alla fine strutturato di momenti topici, costruito con situazioni forti, che finiscono per negare i personaggi, resi inspiegabilmente tutti ambigui. Il doppio di Kevin Costner è William Hurt, alter ego gigionesco e colpevole.
Cinema
Un gruppo di amici si ritrova nel Maine per una sorta di pellegrinaggio. Ognuno di loro ha dei problemi: chi di amore, chi di tendenza al suicidio, chi di alcolismo. Uno di loro, dopo un incidente, soffre di strane premonizioni. Giunti a destinazione trovano uno sconosciuto decisamente misterioso. Gli alieni sono in agguato?
Ancora una trasposizione per il cinema di un racconto di Stephen King. Ci sarebbe pure una firma di qualità alla sceneggiatura e alla regia. Kasdan ha sempre amato i generi popolari che sapeva però nobilitare con quel tocco che rende il Cinema diverso dal cinema. In questo suo tentativo di affrontare l’horror mette insieme una serie di citazioni kinghiane ma non riesce ad andare oltre. Il povero Morgan Freeman "passa di lì" ma non c’entra niente.Una pellicola che inizia benissimo ma poi si trasforma in uno splatterone di quelli indicibili,l'unica originalità sta nel finale.Un vero peccato viste le premesse,un eccellente regista,un cast di attori bravissimi,un libro cui ispirarsi di un certo livello,il tema della telepatia,la lotta degli amici uniti contro il male,tutti temi che potevano servire a realizzare un buon film,e invece....
Cinema
Quattro agenti della polizia di New York rimangono uccisi in un conflitto a fuoco. Sono gli uomini della narcotici di Francis Tierney Jr., figlio di Francis Tierney Senior, Capo dei Detective di Manhattan e fratello di Ray, anche lui impiegato in polizia. Le indagini condotte da Ray, riluttante ad accettare il caso in cui sono coinvolti gli agenti uccisi e il cognato Jimmy Egan, svelano molto presto che non si è trattato affatto di un sequestro di droga finito tragicamente ma di un agguato barbaro e deliberato. Ray, sospettando che uno dei familiari possa essere implicato in un gravissimo caso di corruzione, dovrà scegliere tra la lealtà che lo lega alla famiglia e la fedeltà verso le istituzioni.
Dopo i Padroni della notte, storia di due fratelli a New York che si ritrovano dalla parte opposta della barricata (quella della legge e quella del disordine), arriva sugli schermi Pride and Glory, storia di due fratelli poliziotti (e irlandesi) che provano a fare la scelta giusta nella Grande Mela, abusata dal crimine e dalla polizia corrotta. Un dramma familiare cupo e monocromatico scaturito dalla malattia morale che alberga nel fratello “acquisito” dei Tierney, compromesso con criminali e trafficanti e sprofondato nella corruzione e nel dispotismo. Il racconto prevalentemente notturno di Gavin O'Connor si sviluppa su un piano privato e drammatico, eliminando qualsiasi dinamismo e restando stretto sui personaggi, alla disperata ricerca di identità tra la legge austera dei legami di sangue e la pericolosa seduzione del Male. Nondimeno, l'implacabile logica terrena del poliziotto fuorilegge di Farrell non riesce a porsi come lettura metafisica ed esistenziale.
Il dissidio nel plot di Pride and Glory si esaurisce, assecondando quella fastidiosa tendenza del cinema americano ufficiale, a tagliare il senso in una morale da buono e cattivo. L'eroe diventa eroe buono che lotta contro il “se stesso” eroe cattivo, ormai irrimediabilmente doppio diabolico e nemico da sconfiggere. In questo modo la logica del racconto prende la distanza dalla pericolosa fascinazione per la violenza che caratterizza e che produce il poliziotto di Farrell. Buona parte della forza del film risiede nell'interpretazione degli attori, Jon Voight, Edward Norton e Noah Emmerich, che si muovono come fantasmi in un mondo privato della luce, alla ricerca di un avversario che certifichi il loro essere poliziotti. Norton, segnato sul viso e nel cuore da una cicatrice, si riempie progressivamente di lividi e ferite (quelle inflitte e quelle subite), consolidando il suo status di attore intelligente e schivo. Un attore pieno di una bellezza che sfugge alle definizioni.
martedì 24 gennaio 2012
Cinema
Si conoscono in cella: Sanders (Foxx) è un tappistello da strapazzo, Jaster (Pastorelli) è un genio delle rapine che ha soffiato 42 millioni di dollari in oro allo stato. Il detective Cleenton (Morse) fa in modo che Sanders venga liberato e lo segue per farsi portare sulle tracce di un altro criminale, molto più importante. In sostanza il teppista farà l'"esca", appunto. Il finale è scontato. Il tutto è certamente dinamico, con le naturali, funzionali location di New York.Buon action movie con un Jamie Foxx in gran spolvero.
lunedì 23 gennaio 2012
Fotografia
Pensieri
“Vita brevis, ars longa, occasio praeceps, experimentum periculosum, iudicium difficile” è una locuzione in lingua latina il cui significato letterale è “la vita è breve, l’arte è lunga, l’occasione fuggevole, l’esperimento pericoloso, il giudizio difficile”.
La frase non appartiene alla letteratura latina, ma è una traduzione successiva di un aforisma di Ippocrate di Coo.
Si tratta, in ogni caso, di una sintesi di saggezza morale che riunisce in un breve testo alcuni concetti cardine sia della filosofia e della metodologia ippocratea (sempre attenta a ribadire l’importanza dello studio e la difficoltà dell’analisi diagnostica) sia, più in generale, dell’antichità (la brevità della vita e la fugacità del tempo).
domenica 22 gennaio 2012
Pensieri
Serie tv
La quarta ed ultima stagione di questa avvincente serie storica.La maturità raccontata fino alla morte di Enrico VIII,tra l'allontanamento di sua moglie Anna di Cleves,alla scoperta e decisione di prendere come nuova moglie Katherine Parr,donna saggia e intelligente,l'unica capace di essere amata e rispettata nell'età matura dal re.Le lotte per la successione,la morte di amici cari,quella di traditori imprevisti,le lotte intestine tra protestanti e cattolici,la guerra con la Francia e la battaglia di Boulougne.Enrico lascerà un regno diviso,governato per soli sei anni da suo figlio Edoardo,che mori a 15 anni,succeduto dalla sorellastra Maria,detta Maria la sanguinaria per la sua feroce repressione dei protestanti,che governò pochissimi anni e alla quale successe l'ultima dei figli di Enrico VIII,Elisabetta che invece fu la regina che regnò per 45 anni,ristabili l'oridne nel regno,con forza e con abilità diplomatica,fece rifiorire le asfittiche casse del regno,fece leggi giuste e infatti il suo regno viene definito dagli storici inglesi "The golden age".Bellissima la parte finale con Enrico che rivede tutte le sue mogli prima di fare testamento decidendo di essere seppellito accanto alla moglie Jane Seymour,quella amata di più nel senso più completo di questo termine.
mercoledì 18 gennaio 2012
Comicità
Cinema
Josey è una giovane donna,madre di due figli,che per le continue violenze subite da parte del marito alcolizzato decide di scappare via portandosi i figli con lei.Va dai genitori e si arrangia con dei lavoretti fino a che un giorno incontra un'amica d'infanzia che le prospetta la possibilità di lavorare in miniera,lavoro duro ma pagato bene e continuo.Siamo nel nord del Minnesota,in piena e profonda provincia americana,dove il clima invernale è artico,ma josey allettata dall'idea dell'indipendenza economica fa domanda e viene assunta.All'inizio è contentissima perchè guadagna bene,si trova una casa per lei e i figli,riesce finalmente a vedere la sua vita stabilizzarsi in maniera positiva.Ma all'interno del luogo del lavoro cominciano le prime molestie,prima leggere poi sempre più pesanti fino ad arrivare ad un tentativo di stupro da parte di un uomo che era stato suo ragazzo ai tempi del college.Josey decide di denunciare il fatto al titolare della miniera ma qui trova un muro di omertà e di insensibilità e viene invitata a dimetterti per non turbare la quiete dell'ambiente di lavoro.Decisa e concreta cerca l'appoggio da parte delle colleghe,vittime come lei di molestie continue,solo che queste non vogliono perdere il loro posto di lavoro e preferiscono stare zitte e subire.Alla fine Josey trova un avvocato e inizierà una class action contro la società proprietaria della miniera,vincendola e stabilendo condizioni all'interno della miniera che diventeranno legge in tutti i luoghi di lavoro degli Stati Uniti e modello di legge per altri paesi nel mondo contro la discriminazione e le molestie delle donne sul lavoro.la storia è vera e questo la rende più dolorosa in molte parti,l'ambiente maschilista e bigotto della provincia ce la mette tutta per screditare e annullare Josey come persona ma grazie alla sua tenacia e alla forza che gli dà la sua famiglia e i suoi figli riuscirà a vincere.La Theron è molto convincente nella parte,veramente molto brava in un ruolo davvero difficile,affiancata da attori di ottimo livello come Sean Bean,Sissy Spacek,Woody Harrelson.Un film che fa arrabbiare ed emozionare.
Poesie
Aspetto il regno puro della cenere.
Uncinata ai fianchi dalla tua assenza
è brivido di sirene il dolore bruciato
in una sola vampa.
E' insonne il tuo respiro che cerco a tentoni
nella fradicia agonia di questa stanza
tra serenate col diavolo nella chitarra, rabbie alcooliche,
e lacrime vomitate nell'anfora di vetro
del nostro impossibile viverci insieme.
L'amaca blu, i vasi di gerani cuoreviola, la gonna bianca
di mia madre
le ali rosse del grumo di sangue
che non mi è mai nato,
le stanche melodie di questo inverno
riusciranno a inventarmi la vita nei giorni d'Urano
quando cercherò a testa in giù
in un mondo verticale
il sussurro di lama vetrosa delle tue labbra e il tuo colmarmi
di lacrime dense il calore del corpo?
Ora sono un'impronta bagnata lacerata dalla pavida collana
di dolori che mi porto dentro:
aspetto il regno puro della cenere.
lunedì 16 gennaio 2012
Cinema
Le vie del vino sono infinite, ma anche profumate, gustose, limpide come il cristallo di un balloon. Il gusto di queste emozioni, hanno dato vita a un film, un road movie, dove l'amicizia fra due uomini di mezza età, è la dolceamara riflessione sul continuare a essere dei "novelli" giovani o apprezzare i piaceri della maturità, dell'invecchiamento.
Jack (Thomas Haden Church) è un attore di soap opera in procinto di sposarsi. Il suo migliore amico Miles (Paul Giamatti), bruttino, dolorosamente divorziato da due anni, e scrittore non proprio di successo, decide di fargli un regalo speciale. Una settimana sulle strade del vino della California, per un piacevole e intenso addio al celibato fra calici di nettare e campi da golf. Incontreranno anche l'amore, e Miles conoscerà Maya (Virginia Madsen), che, come lui, vive per la gioia di una buona bottiglia.
Ironico e riflessivo, il film di Alexander Payne, delinea i personaggi, le loro forze, le loro debolezze, e le mette in parallelo al vino, alle modalità dell'invecchiamento, di conservazione, di degustazione. I sette giorni che Miles e Jack trascorrono insieme sono il percorso di crescita di due uomini, profondamente diversi fra loro, ma legati da un'amicizia ventennale. La cultura di Miles, espressa da un irresistibile Paul Giamatti (le sue battute scandiscono il film), si scontra con l'istinto animale e grezzo di Jack. E le donne per loro vanno di pari passo con il vino. Per lo scrittore devono essere rare e uniche (come la ex-moglie), da apprezzare e da sorseggiare nella loro maturità; per il belloccio divo da soap opera, devono avere l'immediata esplosività di un "frizzantino".
Sideways,lento nell'apertura, ironico nel suo incedere, prende vita attimo dopo attimo (verrebbe da dire, sorso dopo sorso), quando le vineyards californiane e le cantine illuminano la scena. E' la sottile magia di un film, che realmente va lasciato decantare, per apprezzarne le qualità.
Come dice Maya, in uno dei momenti più intensi del film, il vino è vivo, come ognuno di noi. Nasce, cresce e raggiunge la maturità. In quel momento, ha un gusto fantastico.
Cinema
La storia è tratta da un romanzo di Nicholas Sparks, autore amato dal cinema 'romantico'. Una donna anziana affetta dal morbo di Alzheimer si sente narrare da un altro ricoverato la storia di un amore nato negli anni Trenta. In realtà quell'amore non è frutto della fantasia di uno scrittore.L'amore come terremoto nelle vite degli esseri che impone delle scelte,spesso difficili e dolorose,e che segnano poi il futuro,ma come insegna anche questo film ogni azione ha una conseguenza e non si può pensare soltanto individualmente,egoisticamente,quando di mezzo ci sono vite e dolori altrui.Il pregio maggiore di questo film è che non è scontato,il difetto sta nell'essere magari un po' troppo melenso,ma per gli inguaribili romantici che credono alla forza anche salvifica dell'amore allora questo non sarà mai un film inutile.Ottime le interpretazioni della Rowlands e di Garner.
Pensieri
sabato 14 gennaio 2012
Cinema
Ex astronauta, uomo di grandi qualità fisiche e mentali, dopo le dimissioni dalla NASA riceve offerte principesche. Accanto alla bellissima moglie si godrà la vita. Ma il nuovo ambiente è pieno di trabocchetti, e l'ex eroe forse ha un passato, e una circostanza, non tanto eroiche. Tensioni anche paranormali.
venerdì 13 gennaio 2012
Dedicato a....
Cinema
Un allenatore di football del Sud, con moglie e figlie, è chiamato al capezzale della gemella che ha tentato il suicidio. Aiutato dalla psicanalista di lei, con la quale ha un'intensa e breve storia d'amore, riesce ad affrontare un tragico episodio della sua infanzia che aveva rimosso, consentendo alla psicanalista di aiutare anche la sua paziente. Tratto dal best seller di Pat Conroy (che l'ha anche sceneggiata con Becky Johnston), coprodotta, diretta (è la sua 2ª regia) e interpretata da B. Streisand con sensibilità e onesta convinzione, è una storia forte, con un bel cast, un grande N. Nolte e una bella fotografia (Stephen Goldblatt).Una di quelle pellicole che ti avvinghiano inesorabilmente,ti emozionano,ti scuotono,ti fanno ridere,piangere,sperare,pensare,insomma quello che dovrebbe fare ogni film ma che solo pochi riescono a fare,vale a dire catturare emotivamente lo spettatore e catapultarlo all'interno di una storia.Molto della riuscita del film per me lo si deve a Nick Nolte,lui che è la quintessenza della fisicità maschile riesce a dare dei tratti di dolcezza e fragilità al suo personaggio assolutamente unici rendendo poi credibili tutti i vari passaggi.Forse si vede molto l'occhio femminile sia del libro che della sceneggiatura,il Tom protagonista è l'uomo che ogni donna vorrebbe avere accanto,simpatico,un po' canaglia,forte,ma anche dolce,sensibile,fragile in certi momenti,capace di dare amore,forse è anche l'uomo che ogni uomo vorrebbe essere,chissà......
Pensieri
Cinema
Da un romanzo di Lorenzo Carcaterra, sceneggiato dal regista che l'ha anche prodotto, il film, scomponibile in tre blocchi, racconta le peripezie di quattro ragazzi del quartiere di Hell's Kitchen nel West Side di New York che, chiusi in riformatorio, subiscono un infame calvario di maltrattamenti e abusi sessuali. Una dozzina di anni dopo due di loro uccidono il più sadico degli aguzzini. Il film è suddiviso in tre parti,l'infanzia spensierata anche se povera,la seconda parte con la descrizione dei primi reati e il riformatorio,che è sicuramente la parte più cruda della pellicola,e la terza che riguarda il processo ai due assassini del carceriere protagonista degli abusi.Non è facile legare queste tre parti in un percorso omogeneo però levinson a mio avviso ci riesce abbastanza bene,contando sulla drammaticità degli eventi e sulle interpretazioni di eccellenze recitative come De Niro,Hoffman,Vittorio Gassman,e anche di un bravo Brad Pitt.Molto lungo ma intenso.
mercoledì 11 gennaio 2012
martedì 10 gennaio 2012
Cinema
Il Libanese ha un sogno: conquistare Roma. Per realizzare quest'impresa senza precedenti mette su una banda spietata ed organizzata.
Le vicende della banda e dell'alternarsi dei suoi capi (il Libanese, il Freddo, il Dandi) si sviluppano nell'arco di venticinque anni, intrecciandosi in modo indissolubile con la storia oscura dell'Italia delle stragi, del terrorismo e della strategia della tensione prima, dei ruggenti anni '80 e di Mani Pulite poi. Per tutto questo tempo, il commissario Scialoia dà la caccia alla banda, cercando contemporaneamente di conquistare il cuore di Patrizia, la donna del Dandi.
Tratto dall'omonimo romanzo di Giancarlo De Cataldo il film di Michele Placido si rivela come la sua opera più compiuta e più complessa sul piano stilistico. Il regista/attore è riuscito a realizzare una fusione agile (e non fa pesare le due ore e mezza di proiezione) tra il suo cinema di impegno civile, il livello della ricostruzione anche cronachistica e (cosa che sembrava ardua considerato l'esito in particolare del suo ultimo film) il versante letterario. Narrazione pura, storia patria e caratteri ben delineati ma mai stereotipi danno luogo a un film "all'americana" nel senso non deteriore del termine. Questi piccoli delinquenti feroci che sono riusciti a terrorizzare Roma per anni finendo poi invischiati in trame più grandi di loro vengono seguiti con finezza psicologica e con grande attenzione anche sul piano lessicale. Sono 'veri', in qualche momento possiamo anche quasi 'capire' il perché del loro agire ma Placido non li 'giustifica' mai. In questo aiutato da un gruppo di protagonisti tutti assolutamente adatti alla parte assegnata. Con, in più, una dark lady interpretata da Anna Mouglalis vero perno dei rapporti tra il mondo dei 'buoni' (Scialoia) e quello di coloro che buoni non saranno mai perché costantemente spinti da quello che il loro socio mafioso definisce un 'sentimento nobile': la vendetta.
Cinema
Il soldato americano Jack Stark, durante la guerra del Golfo, siamo nel 1991, viene ferito gravemente alla testa, gli rimane come conseguenza un'amnesia post-traumatica. Alcuni mesi dopo si reca nel Vermont, nel paese dove è nato. Mentre fa l'autostop un'auto in panne attira la sua attenzione. La conducente è in stato confusionale e la figlioletta si affida a lui, che ripara l'auto e aiuta la donna a riprendersi. Prosegue il suo viaggio con un'altra auto guidata da un giovane. L'auto viene fermata dalla polizia e Jack perde conoscenza. Quel che segue sarà una condanna per omicidio e la detenzione nel manicomio criminale di Alpine Grove, dove il dottor Baker lo sottopone ad una serie di trattamenti a base di psicofarmaci e alla permanenza in una bara estraibile, legato con la camicia di forza. Ed è in quel buco infernale che Jack inizia il suo viaggio ricostruttivo, con incursioni nel passato e nel futuro, con conseguenze non previste né prevedibili.
Siamo in un contesto al quale affidarsi del tutto o fuggirne. Parapsicologia, metafisica e thriller sono miscelati con notevole perizia ed uscire dal gioco non è facile. Il regista John Maybury, di origine britannica, autore di pellicole alternative, spesso in gara per ottenere premi e riconoscimenti, sa cosa fare della vicenda e dei suoi personaggi. Di certo eccitante nel suo svolgimento altalenante, The Jacket è un buon esempio di ciò che si deve fare di fronte a temi terribilmente complicati, come la psiche e tutte le sue scaturigini. Senza affidarsi del tutto alle modalità del thriller, Maybury sa togliere con discrezione, affidando allo spettatore un compito non sempre facile, ma di certo tonificante, nel marasma di pellicole che trattano tali temi con temeraria superficialità. Pertanto un risultato eccellente, che restituisce al cinema americano la credibilità che talvolta sembra volontariamente voler smarrire. Adrien Brody, che ha strappato il ruolo a Colin Farrell, è un attore dalla bellezza interiore così palese da trasformarlo in un essere seducente, come la giovane e bellissima Keira Knightley, vista in King Arthur, un'attrice assai più che promettente. Pertanto un film affascinante, che pur con qualche trascurabile lacuna narrativa, merita rispetto ed attenzione.
lunedì 9 gennaio 2012
Serie tv
La terza stagione vede l'ascesa e la caduta del cancelliere del re Thomas Cromwell,potentissimo e spietato,vero fautore dell'ascesa del protestantesimo in Inghilterra e della caduta della Chiesa romana,ma anche del saccheggio e della distruzione delle abbazie e dei monasteri e della confisca dei beni della Chiesa.Cadde in disgrazia ad opera della corte che non ne poteva più della sua arroganza e nel Regno era odiato proprio per quello che aveva fatto ai monasteri e per aver ordinato una feroce repressione dei moti insurrezionali nel nord dell'Inghilterra facendo massacrare uomini,donne e bambini.Narra anche le vicende del terzo matrimonio di Enrico VIII e della sua nuova amante Catherine Howard.
Cinema
Gil (sceneggiatore hollywoodiano con aspirazioni da scrittore) e la sua futura sposa Inez sono in vacanza a Parigi con i piuttosto invadenti genitori di lei. Gil è già stato nella Ville Lumiêre e ne è da sempre affascinato. Lo sarà ancor di più quando una sera, a mezzanotte, si troverà catapultato nella Parigi degli Anni Venti con tutto il suo fervore culturale. Farà in modo di prolungare il piacere degli incontri con Hemingway, Scott Fitzgerald, Picasso e tutto il milieu culturale del tempo cercando di fare in modo che il ‘miracolo' si ripeta ogni notte. Suscitando così i dubbi del futuro suocero.
Woody Allen ama Parigi sin dai tempi di Hello Pussycat e ce lo aveva ricordato anche con Tutti dicono I Love You. Nella sequenza di apertura fa alla città una dichiarazione d'amore visiva che ricorda l-ouverture di Manhattan senza parole. Ma anche qui c'è uno sceneggiatore/aspirante scrittore in agguato pronto a riempire lo schermo con il suo male di vivere ben celato dietro lo sguardo a tratti vitreo di Owen Wilson. Solo Woody poteva farci ‘sentire' in modo quasi tangibile la profonda verità di un ‘classico' francese che nella parata di personalità che il film ci presenta non compare: Antoine de Saint Exupery. Il quale ne “Il piccolo principe” fa dire al casellante che nessuno è felice per dove si trova. Il personaggio letterario verbalizzava il bisogno di cercare sempre nuovi luoghi in cui ricominciare a vivere. Il Gil alleniano vuole sfuggire dalla banalità dei nostri giorni ma trova dinanzi a sé altre persone che esistono in epoche che ai posteri sembreranno fulgide d'arte e di creazione di senso ma non altrettanto a chi le vive come presente.
Se il Roy di L'uomo dei tuoi sogni era solamente uno scrittore avido di successo Gil è affamato di quella cultura europea di cui da buon americano si sente privo. Ma ha lo sguardo costantemente rivolto all'indietro. Forse, sembra dirci Woody, ha ragione ma è comunque indispensabile uno sforzo costante per cercare nel presente le ragioni del vivere e del creare. A Gil Allen concede quella speranza che invece negava perentoriamente (e con ragione) a Roy. Ricordandoci (ancora una volta e con delle evidenti analogie con La rosa purpurea del Cairo) che nulla può consentirci di sfuggire a noi stessi e al nostro tempo e che forse (nonostante tutto) è bene così.Bravissima per me marion Cotillard e la sempre ottima kathy Bates,molto meno il quasi assente Owen Wilson che ha solo la bella presenza ma per la recitazione rivolgersi altrove.
domenica 8 gennaio 2012
Poesie
Abitudini
Sull'asfalto del viale la luna fa un lago
silenzioso e l'amico ricorda altri tempi.
Gli bastava in quei tempi un incontro improvviso
e non era piú solo. Guardando la luna,
respirava la notte. Ma più fresco l'odore
della donna incontrata, della breve avventura
per le scale malcerte. La stanza tranquilla
e la rapida voglia di viverci sempre,
gli riempivano il cuore. Poi, sotto la luna,
a gran passi intontiti tornava, contento.
A quei tempi era un grande compagno di sé.
Si svegliava al mattino e saltava dal letto,
ritrovando il suo corpo e i suoi vecchi pensieri.
Gli piaceva uscir fuori prendendo la pioggia
o anche il sole, godeva a guardare le strade,
a parlare con gente improvvisa. Credeva
di saper cominciare cambiando mestiere
fino all'ultimo giorno, ogni nuovo mattino.
Dopo grandi fatiche sedeva fumando.
Il piacere piú forte era starsene solo.
E' invecchiato l'amico e vorrebbe una casa
che gli fosse più cara, e uscir fuori la notte
e fermarsi sul viale a guardare la luna,
ma trovare al ritorno una donna sommessa,
una donna tranquilla, in attesa paziente.
E' invecchiato l'amico e non basta piú a sé.
I passanti son sempre gli stessi; la pioggia
e anche il sole, gli stessi; e il mattino, un deserto.
Faticare non vale la pena. E uscir fuori alla luna,
se nessuno l'aspetti, non vale la pena.
Cesare Pavese
Cinema
Dal romanzo 58 Minutes di Walter Wager. Il poliziotto McClane aspetta all'aeroporto innevato di Washington la moglie e deve affrontare da solo un agguerrito gruppo di cattivi, transfughi dai servizi segreti che tengono sospesi in cielo ben diciotto aerei in procinto di atterrare. Sarabanda catastrofica di azione violenta (si contano 264 cadaveri) corretta da una forte dose di parodia autoironica. Seguito da Die Hard - Duri a morire.Pellicola ad alto contenuto d'azione con ottime interpretazioni.
Cinema
1974. Il Presidente degli Stati Uniti Richard Nixon si dimette dalla carica in seguito all'inchiesta sullo spionaggio condotto ai danni del partito democratico in campagna elettorale, il cosiddetto 'Watergate'.
1977. Dopo tre anni di silenzio Nixon accetta di farsi intervistare, dietro lauto compenso, da David Frost, giornalista britannico. Per l'uomo politico e il suo staff l'occasione è straordinaria. Frost ha fama di abile intervistatore ma è considerato più affine al mondo dell'entertainment che non a quello di cui Nixon ha fatto parte. Il giornalista è invece così convinto della possibilità di sfondare sul piano della notorietà mondiale, grazie a questa occasione, che è pronto ad intervenire con i propri fondi per coprire le spese. Il rapporto tra i due si rivelerà complesso e non sempre facile ma le loro conversazioni rimarranno nella storia della televisione e non solo.
Ron Howard si dimostra, ancora una volta, in grado di fare spettacolo partendo da una materia che sulla carta non si dimostra particolarmente adatta. Perché lo script del film è di Peter Morgan, il quale ha portato la vicenda sui palcoscenici di Broadway e di Londra con successo grazie ai due protagonisti (Langella premiato anche con un Tony Award). Ma, appunto, di teatro si tratta. Trasformare delle interviste televisive, per quanto storiche, in cinema non è un'impresa facile ma Howard ha centrato il bersaglio. Lo fa grazie a una struttura narrativa che fa tesoro di Cinderella Man e con la consapevolezza che la figura di Nixon ha già goduto del ritratto in nero realizzato da Oliver Stone (un regista esperto in presidenti) grazie alla performance di Anthony Hopkins.
Howard non si concentra solo sui due protagonisti ma costruisce il film su ciò che sta intorno a un'intervista importante. Ecco allora che Frost/Nixon assume le connotazioni di un match di pugilato ad alto livello. A partire dagli allenamenti (la documentazione da una parte, le precauzioni dall'altra) passando per il peso (il primo incontro tra i due in cui iniziano a scrutarsi) fino ai round. Frost apre con un colpo basso a cui Nixon, dopo un attimo di smarrimento, reagisce in modo efficace. Non andrà sempre così e il giornalista dallo sguardo sempre all'erta riuscirà alla fine a mettere alle corde l'avversario a cui gran parte del popolo americano aveva imputato il fatto di essersi dimesso senza ammettere la propria colpa e fare ammenda. Howard però, senza ombre di giustificazionismi a posteriori o di falso pietismo, è interessato non solo ai ruoli e alle dinamiche della politica e dei mass media ma anche all'umanità dei suoi protagonisti. A cui regala un'uscita di scena che si fa ricordare.
sabato 7 gennaio 2012
Cinema
Nell'estate del 1970 in un piccolo centro, quattro adolescenti americane fanno un patto: saranno amiche per sempre. Roberta Martin, Samantha Albertson, Chrissy Dewitt e Tina Tercell sono delle dodicenni, allegre e di buon carattere: fanno burle ai ragazzini; si confidano malizie e segreti, anche se avvertono la precarietà delle loro famiglie, dove spesso almeno uno dei genitori è morto, o divorziato, o latitante. Malgrado la spensieratezza, le quattro comprendono oscuramente che "quella estate" segna la fine della loro infanzia, per cui a tranquillizzarle un poco hanno solamente quel punto di riferimento futuro. In più, la più sensibile del gruppo - Samantha - è inesplicabilmente turbata da una tomba che nel cimitero (dove spesso conduce a notte le compagne) la affascina con il nome di un ignoto ragazzetto (tale Jonny), tragicamente deceduto in un incidente accaduto negli anni '40. Dopo venti anni le bambine sono ora donne adulte. Samantha scrive (è la sua passione di sognatrice), ma vive sola e insoddisfatta dopo varie esperienze sentimentali. Con il loro denaro, le amiche hanno fatto costruire su di un albero un minuscolo abitacolo per i loro incontri. Lassù fioriscono i ricordi: si viene a conoscenza che Jonny era il figlio di un vecchio matto inoffensivo, il quale durante la notte andava a visitarne la tomba ed è appunto là che Samantha (da sempre amante di quel luogo triste) lo incontrava ed è quello stesso vecchio che una sera piovosa l'ha salvata da una fogna in cui lei era caduta; si ricordano le prime scoperte sessuali; l'incontro in una strada con un reduce dal Vietnam; i piccoli eventi ormai lontani o confusi. Poi Chrissy viene colta dalle doglie ed una bella bambina nasce assistita da Roberta, che era la più timida ed ora è diventata un abile medico. Molti anni sono trascorsi, ma l'amicizia e l'amarcord collettivo degli anni verdi sembra davvero intatta e preziosa. Isolandosi sul loro albero le quattro donne ne sono coscienti e felici, malgrado tante illusioni sfiorite e i crucci dell'età adulta."Lo schema non è molto diverso da quello, sia pure con maschietti anziché con femminucce, di 'Stand by Me', ma là, alle spalle, c'era un testo felice di Stephen King, reso più intenso e allo stesso tempo più tenero, dalla regia di Rob Reiner, qui c'è una storiella, definita autobiografica, di una poco conosciuta Marlene King e una regia di una esordiente, Lesli Linka Glatter, con un passato finora quasi soltanto di coreografa di balletti moderni. Comunque una buona prova delle attrici protagoniste che rendono gradevole questa pellicola.
Cinema
Detroit, quattro fratelli giurano vendetta per la morte della loro madre adottiva uccisa durante una rapina. Inizialmente sembra solamente un incidente violento, ma la teoria dell' esecuzione viene confermata momento dopo momento. I fratelli, uniti sotto la guida del non proprio "pulito" Bobby (Mark Wahlberg), vogliono farsi giustizia da soli.
John Singleton, fuori concorso a Venezia 62, torna a dirigere un film solido e ben recitato, in cui i dialoghi non sono mai banali e l'azione non è sovrautilizzata o gratuita. Il tema della famiglia e dell'unione (non di sangue perché i quattro sono stati tutti adottati) è sviluppato principalmente nella casa materna, che muta, soffre, viene ferita e rinasce come se fosse un essere umano. Qui i fratelli dimostrano la loro vera natura, che all'esterno appare violenta, ma che all'interno delle mura domestiche rivela legami reali e indistruttibili. Mark Wahlberg regge molto bene la parte del protagonista, con la giusta dose di sbruffoneria e responsabilità e conferisce a Four Brothers un'aura da street western, forse già visto, ma scorrevole e ben recitato.
mercoledì 4 gennaio 2012
Cinema
Tre ragazzi del sud (Domenico, Angelo e Salvatore) reagiscono alla pesante repressione borbonica dei moti del 1828 che ha coinvolto le loro famiglie affiliandosi alla Giovane Italia. Attraverso quattro episodi che li vedono a vario titolo coinvolti vengono ripercorse alcune vicende del processo che ha portato all'Unità d'Italia. A partire dall'arrivo nel circolo di Cristina Belgioioso a Parigi e al fallimento del tentativo di uccidere Carlo Alberto nonché all'insuccesso dei moti savoiardi del 1834. Questi eventi porteranno i tre a dividersi. Angelo e Domenico, di origine nobiliare, sceglieranno un percorso diverso da quello di Salvatore, popolano che verrà addirittura accusato da Angelo (ormai votato all'azione violenta ed esemplare) di essere un traditore della causa. Sarà con lo sguardo di Domenico che osserveremo gli esiti di quel processo storico che chiamiamo Risorgimento.
Assistendo al lungo film di Martone che ha l'andamento classico di quelli che un tempo si chiamavano sceneggiati televisivi (senza che in questa annotazione ci sia alcunché di riduttivo) si ha la sensazione di un deja vu. Perché il cinema italiano non scopre certo con Noi credevamo i lati oscuri e le contraddizioni del Risorgimento. Chi ricorda opere come Allonsanfan, Quanto è bello lu murire acciso o Bronte sa che in materia ci si è già espressi con opere di assoluto vigore. E' però vero che l'occasione del centocinquantenario dell'Unità d'Italia e il revisionismo storico dominante (che vede il Risorgimento come una sciagura per il Nord) quasi impongono una rivisitazione del tema che Martone mette in scena con accuratezza filologica (anche se restano misteriose alcune strutture in cemento armato) e con un'attenzione iconografica da sussidiario degli anni Sessanta (con un Mazzini già vecchio nel 1830 quando aveva venticinque anni). L'idea di seguire le vicende (in parte storiche e in parte frutto di immaginazione) dei tre protagonisti che accompagnano lo spettatore nella non semplice articolazione delle posizioni che vedevano contrapposti i fautori dell'unità può senz'altro essere efficace se distribuita televisivamente in due serate.
Lo è meno se si pensa a un'opera della durata di tre ore e mezza circa. Perché si finisce con il disperdersi nella pur acuta e documentata ricostruzione. Resta comunque viva, oltre alla consapevolezza di trovarsi dinanzi a un'opera non di occasione e sicuramente non celebrativa, la sensazione di una coazione a ripetere della politica italiana.
Oltre alla divisione in due fronti (all'epoca repubblicani e monarchici con tanto di trasmigrazioni da un fronte all'altro) emerge con assoluta chiarezza la quasi genetica incapacità a fare fronte comune, la spinta inarrestabile a dividersi a diffidare gli uni degli altri all'interno dello stesso schieramento. La lettura con uno sguardo che ha origine al sud ribalta poi le tesi leghiste senza essere nostalgica della dominazione borbonica ma non nascondendosi le problematiche lasciate irrisolte da una fase storica di cui il popolo, come spesso accade, ha finito con l'essere più spettatore o oggetto che non protagonista in grado di decidere del proprio futuro. Il Parlamento vuoto in cui un determinato e non conciliante Crispi pronuncia il suo discorso marca simbolicamente la morte di un'utopia.
Cinema
Nel 1607 alcune navi inglesi arrivarono sulle coste della Virginia. A bordo c'era il capitano John Smith, che ebbe l'incarico di esplorare la regione. Fu fatto prigioniero dalla tribù Powhatan. Pochahontas, figlia del capo gli salvò la vita e si innamorò di lui. Successivamente Smith tornò in patria, la principessa venne adottata dalla comunità inglese, si convertì al cristianesimo, sposò il colono John Rolfe, ebbe un figlio, venne condotta in Inghilterra, ricevuta a corta dal re Giacomo I, morì a ventidue anni durante il viaggio di ritorno nel nuovo mondo.
Il film racconta questa storia senza mai pronunciare "Pocahontas", ma attribuendo alla principessa il nome di Rebecca. Il regista Malick, quattro film in 33 anni (l'ultimo, del '97, La sottile linea rossa) porta tutte le sue attitudini estetiche: l'erba lunga nel vento, i mari e i fiumi, i passaggi di stormi fra le nuvole e una voce fuori campo perenne che fa da coro, pensiero, poesia, sentimento, e anche "metafisica". Malick sa usare la macchina. E la lentezza, una volta accettata, può essere uno strumento che si pone contro la frenesia generale del cinema contemporaneo. E lei, la principessa è una metafora straordinaria di progresso: capisce tutto, è umana e pulita, cambia le regole senza arrivare agli estremi, si integra con le nuove quando è arrivato il momento. In Inghilterra ritrova il grande amore, il tormentato Smith, il cuore sarebbe dalla sua parte, ma lei rimane da questa parte, dove c'è un marito affidabile e innamorato, e c'è un figlio.
E gli indiani, reali nella lingua e nel corpo, nudi a giocare sulla coste incantate d'America, trasferiscono il senso del paradiso perduto e contaminato. Non sarà mai più così. Sempre troppo maledetto&febbrile Smith-Farrell. Straordinaria la "principessa" Q'Orianka Kilcher, selvaggia creatura dei boschi e del mare, e "sorriso" più civile dei "civili" colonizzatori.Un film che,come tutti quelli di questo straordinario regista,incanta e fa riflettere,commuove e spiazza,cattura e respinge,fa innamorare o detestare,ma è inconfondibilmente "magia cinematografica".
Libri
Un'antica arte cinese di posizionamento degli oggetti e di suddivisione degli spazi della casa per il raggiungimento di quell'armonia corpo/mente che è alla base di tutta la cultura orientale.Questo libro spiega in poche parole le tecniche migliori per fare delle nostre case un luogo caldo e accogliente ed evitare disarmonie fastidiose.
Cinema
Jackie Brown è una hostess avvenente che contrabbanda denaro per Ordell Robbie, un traffichino d’armi dal grilletto facile. Ordell si accompagna a Louis Gara, uno stralunato ex galeotto, e a Melanie, una sballatissima bionda. Di ritorno dal Messico, Jackie viene fermata e arrestata da due agenti del reparto antifrode sulle tracce di Ordell. In cambio dell’immunità si decide a collaborare con la polizia. Dotata di grazia e sangue freddo la signora Brown raggirerà agenti e delinquenti, incassando il denaro di Ordell e seducendo un garante di cauzioni.
Tratto da "Rum Punch" di Elmore Leonard, Jackie Brown è il film più lineare di Quentin Tarantino, che omaggia la stagione cinematografica della blaxploitation e celebra la sua sexi icona nera, Pam Grier. È lei la Jackie del titolo, l’antesignana della sposa di Bill, la donna castrante decisa a eliminare il maschio che le ha fatto un torto, ed è sempre lei la regina di un genere cinematografico degli anni ’70 che sfruttava la cultura popolare nera ed era interpretato, realizzato e rivolto al pubblico afroamericano. In Jackie Brown la blaxploitation funziona come elemento postmoderno spogliato del significato etico, politico e sociale che muoveva gli eroi neri degli anni Settanta. Al contrario il film di Tarantino produce puro intrattenimento per “bianchi” esaltando i vizi del sottoproletariato nero, sottolineandone l’avidità e il narcisismo. Il gangster nero è ancora una volta Samuel L. Jackson, involuzione degli eroi della blaxploitation ma irresistibile negli abiti funky e multicolori del mercante d’armi che giustizia nemici e “fratelli” nei portabagagli di lucidissime Pontiac. Accanto a lui compare, per la prima volta misurato, il balordo scarcerato di Robert De Niro, che spara e uccide meccanicamente la “fattona” puttanella di Bridget Fonda. Sottovalutato film di Tarantino, Jackie Brown riavvolge il tempo generando nuove linee temporali, ri-sequenze che scorrono su una colonna sonora black lungo le strade urbane del crack.
Cinema
Bruce Wayne, giovane rampollo di un illuminato filantropo di Gotham City, vede i suoi genitori assassinati da un rapinatore. Incapace di liberarsi del senso di colpa, inizia un vagabondaggio che lo porta fin sulle vette dell'Himalaia, dove Ra's Al Ghul e il suo fido Ducard lo iniziano alla via del loro culto ninja. Wayne è deciso a servire la giustizia e tornato a Gotham, trova in Falcone, potente trafficante di droga, e in Crane, altrettanto corrotto psichiatra, i due più acerrimi nemici, dietro ai quali però pare celarsi qualcuno di ancor più potente. L'unico modo per combatterli è diventare un simbolo, che dia forza e speranza alla gente.
Per chi non l'avesse capito, questo simbolo si chiamerà Batman, l'uomo-pipistrello, terrore dei criminali nella metropoli della corruzione.
L'ambiguità psicologica di Wayne/Batman diventa finalmente il fulcro di un film a lui/loro dedicato: non poteva essere messo in mani migliori, visto che Nolan, nella sua pur breve carriera, ha dimostrato di avere una somma predilezione per i meandri più fangosi della mente umana.
Questo quinto capitolo della moderna traduzione in pellicola di uno tra gli eroi a fumetti più amati di sempre è di ottima fattura, ed è quasi tutto merito dello stesso regista: Nolan immerge la trama in un'atmosfera cupa ma non barocca; elude abilmente gli stereotipi pacchiani (in agguato ad ogni angolo nei film tratti da fumetti); tiene la tensione grazie a personaggi ben costruiti e non a colpi bassi da seconda lezione del corso di sceneggiatura. A onor del vero la prima parte è un po' farraginosa, ma il film lentamente carbura, fino a chiudere in grande stile con un colpo maestro che lo ricongiunge al primo capitolo diretto da Tim Burton. Un plauso a Nolan, dunque, soprattutto per aver ridato slancio e dignità ad una serie che Schumacher aveva ostinatamente tentato di macellare. Ottimi sia neeson che caine,mentre Bale ha sempre e solo un'espressione qualunque film faccia.
lunedì 2 gennaio 2012
Canzoni
Il soffio del gelido vento sul volto che infrange pensieri e visioni,la luce intensa dell'alba che ti abbraccia,il giorno che cammina implodendo rabbia e follia,e tu che stai a galla tra silenzi ghiacciati squarciati da estemporanei sorrisi....
Poesie
Creazione
Sono vivo e ho sorpreso nell'alba le stelle.
La compagna continua a dormire e non sa.
Dormon tutti, i compagni. La chiara giornata
mi sta innanzi più netta dei volti sommersi.
Passa un vecchio in distanza, che va a lavorare
o a godere il mattino. Non siamo diversi,
tutti e due respiriamo lo stesso chiarore
e fumiamo tranquilli a ingannare la fame.
Anche il corpo del vecchio dev'essere schietto
e vibrante - dovrebbe esser nudo davanti al mattino.
Stamattina la vita ci scorre sull'acqua
e nel sole: c'è intorno il fulgore dell'acqua
sempre giovane, i corpi di tutti saranno scoperti.
Ci sarà il grande sole e l'asprezza del largo
e la rude stanchezza che abbatte nel sole
e l'immobilità. Ci sarà la compagna
- un segreto di corpi. Ciascuno darà una sua voce.
Non c'è voce che rompe il silenzio dell'acqua
sotto l'alba. E nemmeno qualcosa trasale
sotto il cielo. C'è solo un tepore che scioglie le stelle.
Fa tremare sentire il mattino che vibra
tutto vergine, quasi nessuno di noi fosse sveglio.
Cesare Pavese
Canzoni
Quando la tua sana allegria ha saputo addolcire la tristezza....Un grazie che và al di là del tempo....
Cinema
Mamma Alba ha due figli maschi: Giorgio, il grande, professionista sul lavoro e con le donne, con una moglie a Roma e almeno un'amante a Milano, e Leonardino, il secondogenito, quello sensibile, depresso, che per una donna ha persino tentato il suicidio. L'arrivo di Sara rivoluziona la vita di Leonardo, portando in essa l'insperata felicità, ma anche quella di Giorgio, poiché Sara è una delle donne a cui lui ha mentito spudoratamente, fingendo persino l'esistenza di un figlio.Tra colpi di scena e inaspettate verità il film dispiega la sua trama senza troppi scossoni contando molto sulla prova dei tre attori protagonisti,Argentero,Gassman e Lodovini,ma a mio parere a venirne fuori meglio come prova attoriale resta il sempre puntuale Colangeli e la sempre brava Sandrelli.
Libri
Nel 1900 il giurista e storico delle dottrine politiche Gaetano Mosca (1858-1941) tenne delle conferenze a Torino e a Milano in tema di mafia, i cui contenuti poi furono pubblicati sul Giornale degli economisti.
A distanza di tanti anni l’editore Laterza ha voluto riproporre questi scritti, preceduti da un lungo intervento dei magistrati Gian Carlo Caselli e Antonio Ingroia che sintetizzano con molta efficacia le intuizioni e i limiti dell’analisi di Mosca.
Sicuramente il confronto tra l’attuale idea di mafia, più che mai presente con una strategia di “sommersione”, e quella di allora, non completamente rurale ma ancora lontana da quella globalizzazione che caratterizza i nostri giorni, ci fa balzare agli occhi aspetti anacronistici alimentati probabilmente dall’influenza del positivismo sulle scienze sociali e giuridiche.
Prendiamo ad esempio quanto scrive Mosca riguardo il siciliano che si trasferisce nel Nord Italia: soltanto per effetto dell’allontanamento da un ambiente condizionante questi si «spoglia subito di ogni spirito di mafia». Un’illusione che - a ragione - Caselli e Ingroia hanno definito “illuminista”, visto che l’evoluzione successiva di una mafia, sempre più in stretto contatto con la finanza ed imprenditori compiacenti, ha dimostrato la sua capacità di insediamento ed espansione anche in aree tradizionalmente estranee alla sua subcultura.
Al di là di alcuni aspetti raccontati da Mosca, che – ripeto - oggi potremmo pure definire obsoleti, legati sia alla cultura scientifica del tempo sia ad una mafia di inizio secolo maggiormente legata al territorio siciliano, le pagine del giurista palermitano per lo più rivelano un’inquietante attualità: ci riferiamo alla descrizione degli stretti rapporti tra mafia e politica e tra mafia e società, che, senza saperlo, il lettore potrebbe pensare si riferisca ai giorni nostri.
Mosca, fin dall’inizio della sua prolusione, prende spunto dal processo Palizzolo per l’omicidio Notarbartolo, che in quegli anni era in pieno svolgimento, appunto per analizzare il fenomeno criminale sia da lato strettamente culturale (e qui ne abbiamo visti i maggiori limiti), sia dal lato del profondo intreccio tra potere criminale e classi dirigenti del giovane Stato unitario.
La strategia della mafia dell’epoca, proprio a seguito della vicenda Palizzolo, ricorda quella attuale dell’inabissamento, resasi necessaria dopo la stagione stragista dei corleonesi: «ottenere il massimo prestigio ed il massimo guadagno illecito […] impiegando il minimo sforzo delittuoso ed affrontando il meno possibile le indagini e i rigori della giustizia». E - come aggiunge l’autore - una mafia che «ha bisogno di far dimenticare la propria esistenza».
Non ultimo aspetto che balza agli occhi è il riferimento al funzionario pubblico, all’investigatore votato all’antimafia ed alle «trame e alle calunnie che si ordiranno contro di lui a Roma».
Caselli e Ingroia, non fosse altro per ben noti motivi professionali, ne hanno colto benissimo il parallelo con «le campagne di delegittimazione, di denigrazione e talvolta, di vera e propria aggressione nei confronti della magistratura più impegnata sul fronte antimafia». Ricordando i veleni che investirono il pool di Falcone e Borsellino.
Mosca ci racconta un mondo che ancora ci appartiene, alle prese con un fenomeno criminale in parte adattatosi alla nuova realtà istituzionale ed internazionale, ma che, soprattutto nei rapporti con il potere politico e la società, continua a perpetuarsi con quelle caratteristiche raccontate fin dal 1900 in maniera così profetica.
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