giovedì 26 agosto 2010

Leggende




La leggenda greca narra la storia dell'amore tra Ippodamia figlia di Enomao,re di Pisa,donna di tale bellezza da spingere eserciti di pretendenti da tutta la Grecia per avere la sua mano,e Pelope,che,si narra,chiese l'aiuto degli Dei per vincere la tremenda sfida che il re proponeva a tutti i pretendenti la mano della figlia,e gli Dei per dimostrare il loro favore gli misero a disposizione un carro dorato con il quale Pelope si presentò pronto per affrontare la prova decisiva.La sfida consisteva in una corsa di cavalli con il pretendente che faceva da lepre ed il cavallo del re che seguiva tirando frecce e cercando di disarcionare il malcapitato di turno.Fino a Pelope nessuno aveva superato la prova ed ogni pretendente morto veniva decapitato e la sua testa ornava il giardino del palazzo del re come prova della sua invincibilità.Ma Ippodamia stanca di essere sempre segregata dal padre, e si narra,vittima di un incesto con lui,si mise d'accordo con lo scudiero del padre affinchè sabotasse il suo carro.Cosi quando iniziò la sfida con Pelope ecco che al carro del re si staccò una ruota e il re mori sul colpo mentre Pelope vinse la gara sposando Ippodamia e diventando re,dando al regno cinque figli e un periodo di pace e prosperità al suo regno.La notte della vittoria Ippodamia e Pelope furono uno davanti all'altra al chiarore della Luna davanti le enormi colonne del palazzo reale,si presero per mano e unirono i loro destini,come i loro corpi,per sempre.

3 commenti:

  1. ORFEO ED EURIDICE

    Non si sarebbe dovuto girare a guardarla. Ma l’amore, e non certo la curiosità o il desiderio di ribellarsi ad un ordine ricevuto, lo spinge a volgersi indietro e a violare il divieto degli dei. E’ il mito di Orfeo ed Euridice, la coppia che le divinità puniscono per due volte, in modo incomprensibile. La loro storia, sembra, infatti, l’esemplificazione di una contraddizione. Di un’ingiustizia. Orfeo è l’aedo che partecipa alla spedizioni degli Argonauti ma di lui si ricorda soprattutto la tragedia d’amore. E nel nome sembra esserci scritto il suo destino. Orfeo significa infatti “oscurità”. E’ dalle tenebre che cerca di riprendere l’amata Euridice, figlia di Nereo e di Doride.

    Ma il loro amore non era destinato a durare a lungo, per volere degli dei. Della bella Euridice si innamora Aristeo, che cerca di sedurla. La fanciulla per sfuggire alle sue insistenze si mette a correre, ma ha la sfortuna di calpestare un serpente nascosto nell'erba che la morsica, provocandole la morte istantanea. Impazzito dal dolore, Orfeo decide di scendere nell'Ade per cercare di strappare l’unico amore della sua vita al regno dei morti. Convince Caronte a traghettarlo sull'altra riva dello Stige e circondato da anime dannate che tentano in tutti i modi di ghermirlo, giunge alla presenza di Ade e Persefone. Una volta giunto al loro cospetto, Orfeo inizia a cantare la sua disperazione e solitudine e nel suo canto mette tanta abilità e tutto il suo dolore.

    Riesce a sciogliere i signori degli inferi. Le terribili Erinni (divinità infernali) piangono. Ad Orfeo viene concesso di ricondurre Euridice nel regno dei vivi a condizione che durante il viaggio verso la terra non si volti a guardarla in viso, fino all’arrivo sulla Terra, al sole. Si chiede, dunque, ad Orfeo di smettere di essere amante per ritrovare la sua amata. “Se Orfeo vorrà recuperare Euridice - spiega Umberto Curi, filosofo, nel suo libro Miti d’amore (Bompiani) - dovrà perderla. E recuperarla solo diventando ombra, cioè dopo la sua morte. Mai Orfeo potrà ricondurre alla luce Euridice, senza perderla nelle tenebre degli Inferi. Mai egli potrà salvare la sua sposa, senza insieme condannarla” .

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  2. Orfeo prende così per mano la sua sposa e inizia il suo cammino verso la luce. Ma durante il viaggio è colto da un sospetto. Pensando di condurre per mano un'ombra e non Euridice, dimenticando così, la promessa fatta, si volta a guardarla. Ma nello stesso istante in cui i suoi occhi si posano sul suo volto, Euridice svansce ed Orfeo assiste impotente alla sua morte per la seconda volta. Invano Orfeo per sette giorni cerca di convincere Caronte a condurlo nuovamente alla presenza del signore degli inferi, ma questi per tutta risposta lo ricaccia alla luce della vita. Orfeo allora si rifugia sul monte Rodope, in Tracia, trascorrendo il tempo in solitudine e nella disperazione. Riceve solo uomini e ragazzi che istruisce all'astinenza e sull'origine del mondo e degli dei. Molte donne tentano di catturare il suo cuore e tra queste alcune Baccanti. Queste ultime, irate dalla sua indifferenza e istigate da Dioniso per la mancanza di devozione che Orfeo ha nei suoi confronti, decidono di ucciderlo durante un'orgia bacchica. Arrivato il momento stabilito, si scagliano contro di lui con furia selvaggia, facendolo a pezzi e spargendo le sue membra per la campagna. Gettano la testa nell' Ebro Le pietre, le selve, gli uccelli piangono la morte del meraviglioso cantore e tutte le ninfe indossano una veste nera in segno di lutto. Le Muse piangenti raccolgono le membra di Orfeo e le seppelliscono ai piedi del monte Olimpo.

    Poiché il delitto delle Baccanti é rimasto impunito, gli dei colpiscono la Tracia con una terribile pestilenza. L'oracolo, consultato dalla popolazione su come porre fine a tanta tragedia, risponde che per farla cessare, é necessario ricercare la testa di Orfeo e rendere al cantore gli onori funebri. Il suo capo reciso viene così trovato da un pescatore presso la foce del Melete e viene deposto nella grotta di Antissa. In quel luogo la testa di Orfeo inizia a profetizzare finché Apollo, si reca alla grotta e gridò alla teata di Orfeo di smettere di interferire con il suo culto. Da quel giorno la testa tace per sempre.

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  3. “Apparentemente unica nella sua extra-ordinarietà e nella sua irripetibilità l’impresa di Orfeo ripete in realtà la vicenda ordinaria di ogni storia d’amore, per sua essenza esposta allo scacco, in quanto tensione verso una pienezza inattingibile. Non vi è arte che possa strappare definitivamente l’eros dalla sua indiscutibile connessione con la morte, thanatos.

    Nulla meglio dell’amore può esibire il fondamento stesso della condizione umana, il suo non poter essere altro che speranza, e dunque il suo disperare di una compiuta salvezza, il suo costante sprofondare nei limiti, dai quali vorrebbe evadere”. Orfeo aveva tentato di spezzare i limiti, sprofondare nell’oscurità, l’extraordinario, per riemergere “illuminato” di quella conoscenza che solo l’amore può dare. Ma invano. “Tragico non è soltanto il destino particolare del cantore, per il quale non si può immaginare alcuna composizione dialettica, in quanto è conflitto, per il quale non è concepibile alcuna definitiva pacificazione. Dagli oscuri recessi del Tartaro nessuno può sperare di uscire, portando con sé la vita. Ciò che è concesso, non è il chiarore abbagliante di una luce senza ombre, ma quell’incerto chiaroscuro, nel quale ciascuno deve cercare la propria strada, senza essere assistito da altro, che non sia la speranza”.

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