mercoledì 25 agosto 2010
Psicologia
Il Desiderio è uno stato di affezione dell'io, consistente in un impulso volitivo diretto a un oggetto esterno, di cui si desidera la contemplazione oppure, più facilmente, il possesso. La condizione propria al desiderio comporta per l'io sensazioni che possono essere dolorose o piacevoli, a seconda della soddisfazione o meno del desiderio stesso. Dolore morale per la mancanza della persona amata o dell'oggetto o condizione di cui si ha assolutamente bisogno. Ma anche la gradevole e coinvolgente sensazione di poter presto rivivere un momento o situazione in qualche modo piacevole, che la mente riesce a rievocare in modi più o meno evanescenti e/o realistici rispetto alle percezioni dell'esperienza effettivamente vissuta.
I filosofi, sin dalle origini della filosofia, si sono domandati quale spazio dare ai desideri. Le risposte sono molto variegate. Dentro il Fedone, Platone espone l'idea di una via ascetica, o di come l'uomo debba lottare contra i desideri turbolenti del proprio corpo; i cirenaici, al contrario, fanno della soddisfazione di tutti i desideri il bene supremo. Tutte queste riflessioni conducono a stabilire numerosi distinguo, come per esempio fa Epicuro.
La morale epicurea è una morale che mette al centro i concetti di piacere come bene, e del dolore come il male. Per aspettarsi il benessere (l'atarassia), l'epicureo deve applicare le regole del "quadruplo rimedio":
gli dei non devono essere temuti;
la morte non deve essere temuta dato che quando ci siamo noi, lei non c'è; quando lei c'è, non ci siamo noi;
il dolore viene facilmente soppresso, oppure si muore;
il benessere è facile da ottenere.
Questa classificazione non può essere separabile da un'arte di vivere, dove i desideri sono l'oggetto di un preciso calcolo in vista della ricerca della felicità.
Nella forma più prettamente fisica, corrisponde all'eccitazione sessuale oppure alla fame o alla sete, di intensità più o meno marcata e più o meno duratura, che può anticipare oppure no la soddisfazione.
Di tutte le forme di desiderio, sono comunemente considerate più elevate quelle che aspirano a vette di bellezza, che rientra nei piaceri naturali, "ricerca del gradevole".Il desiderio può essere definito anche come una tensione verso un obiettivo. In questo senso il desiderio ci può muovere su un percorso che ci conduce a trasformarlo in realtà ovvero il desiderio può rappresentare la molla che ci spinge a ricercare un sistema che ci conduca a passare dalla situazione attuale (SA) in cui ci troviamo a quella desiderata (SD). Tale percorso passa attraverso la comprensione del perché desideriamo alcune cose poiché si afferma che “se conosco il perché, l’obiettivo è già parte di me”. In realtà tutti i desideri che proviamo sono già parte di una nostra naturale propensione verso la vita e quindi realizzare un desiderio ci porta a “ritrovare” ciò che è già insito nel nostro essere. Desiderare davvero qualcosa significa conoscere il perché di quel desiderio. Il desiderio è strettamente correlato all’azione da compiere e all’obiettivo da raggiungere, infatti è impensabile che esista un’azione quando manca un obiettivo ed è impensabile che esista un obiettivo quando manca un desiderio.
Secondo molti filosofi (p.es Platone, Kant) la giustizia è la forma più alta di bellezza, e dunque il desiderio o sete di giustizia è quello più elevato. Per altri come Marx oppure Hegel il desiderio più elevato è quello dell'uguaglianza. Per Friedrich Nietzsche la massima aspirazione o desiderio dell'essere umano deve essere quella di diventare una persona che incarni il concetto del superuomo.
Desiderio = dolore : Schopenhauer
Solo liberandosi radicalmente di ogni desiderio, solo estirpando da sé la volontà l’uomo potrebbe superare l’infelicità che fa parte della sua natura.
"Ogni volere scaturisce da bisogno, ossia da mancanza, ossia da sofferenza. A questa dà fine l’appagamento; tuttavia per un desiderio, che venga appagato, ne rimangono almeno dieci insoddisfatti; inoltre, la brama dura a lungo, le esigenze vanno all’infinito, l’appagamento è breve e misurato con mano avara. Anzi, la stessa soddisfazione finale è solo apparente: il desiderio appagato dà tosto luogo a un desiderio nuovo: quello è un errore riconosciuto, questo un errore non conosciuto ancora. Nessun oggetto del volere, una volta conseguito, può dare appagamento durevole, che più non muti: bensì rassomiglia soltanto all’elemosina, la quale gettata al mendico prolunga oggi la sua vita per continuare domani il suo tormento. Quindi finché la nostra coscienza è riempita dalla nostra volontà; finché siamo abbandonati alla spinta dei desideri, col suo perenne sperare e temere; finché siamo soggetti del volere, non ci è concessa durevole felicità né riposo. Che noi andiamo in caccia o in fuga; che temiamo sventura o ci affatichiamo per la gioia, è in sostanza tutt’uno; la preoccupazione della volontà ognora esigente, sotto qualsivoglia aspetto, empie e agita perennemente la coscienza; e senza pace nessun benessere è mai possibile."
(Il mondo come volontà e rappresentazione)
Alcuni sostengono che alla base delle religioni ci sia il desiderio di trascendenza, di un ordine superiore, di un Dio oppure dei, come essere supremo spirituale, non visibile, che prevale e regola il mondo materiale, immanente.
Nel Cristianesimo, Ebraismo, Islam l'umano desiderio di immortalità viene appagato con la fede nella risurrezione. L'inferno invece viene a placare il desiderio di una giustizia trascendente.
Nell'Induismo la dottrina delle successive reincarnazioni porta ad una contemporaneità di vite, inferni e paradisi successivi fino al paradiso supremo, dove si raggiunge la completa assenza di ogni desiderio e necessità, il Nirvana.
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