lunedì 23 agosto 2010

Libri


Approdato all’improvviso in un paesino sperduto sul mare di Normandia, un uomo corre in direzione della spiaggia per cercare la compagna, da qualche giorno in vacanza. Da lontano la scorge, sagoma malinconica e intenta ad osservare il mare; una figura inconfondibile e meravigliosa. Ma, mentre le si avvicina, poco a poco si rende conto che quella donna non è lei; che la figura che credeva inconfondibile è in realtà una donna vecchia, brutta e “beffardamente diversa”.

Così, con questa scena potente, che condensa il dramma in pochi fotogrammi, Milan Kundera mette immediatamente a fuoco la tematica cardine di questo suo breve ma intrigante romanzo.
Cos’è infatti l’identità? La pirandelliana maschera imposta a un essere in perpetuo movimento? L’idea che gli altri si fanno di noi o che noi creiamo di noi stessi? Qual è il suo senso ultimo?

Con lo stile particolarissimo che lo contraddistingue fin dagli esordi, e che lo ha reso celebre con “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, Milan Kundera fonde narrazione e riflessione filosofica, affrontando alcune tematiche universali dell’essere umano, passando attraverso l’analisi del delicatissimo rapporto di coppia, microcosmo dove più violentemente esplodono le contraddizioni.

Ecco così che un’intesa perfetta si trasforma all’improvviso in un fiume di fraintendimenti mentre ci si accorge che l’io non assomiglia più a se stesso. Lo sguardo a cui bastava un attimo per riconoscersi, d’un tratto viene stretto dalla paura che, nell’attimo in cui la palpebra si chiude, di fronte l’individuo si trasformi in un altro uomo. Perso tra sconosciuti l’io non riesce più a spiegare chi realmente è.

Grazie al continuo slittamento di punti di vista Kundera ci trascina in un labirinto di interpretazioni differenti, mostrandoci come il confine tra realtà e filosofia, reale e fantasticheria, sia una frontiera impalpabile, un labile velo che in realtà non esiste.

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