domenica 28 febbraio 2016

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«Vuol sapere cosa penso della desecretazione? Sono contento. E sa perché? Se c’è qualcuno che ha tradito il suo impegno o che ha voluto proteggere una parte è giusto che esca il nome. Si deve capire chi è stato un imbroglione, la sua identità, così non getta più fango sul paese o sul servizio di intelligence».
Paolo Inzerilli non è un militare qualsiasi. Generale dell’esercito — ormai in pensione — capo di Gladio per quattordici anni, poi passato allo stato maggiore del Sismi. Custode di segreti, ha addestrato per anni gli agenti che ancora oggi agiscono sotto copertura «in tutti gli scenari più complessi all’estero». Per lui desecretazione potrebbe voler dire pulizia. Ma in fondo sembra creder poco all’annuncio di Renzi: «L’archivio di Gladio è stato sequestrato nella sua interezza dalla magistratura. In questi casi gli atti vengono declassificati a “vietata divulgazione”, e al termine del procedimento penale devono essere restituiti. La stessa cosa è successa con le commissioni d’inchiesta. La magistratura e gli organi parlamentari hanno basato le loro decisioni – giudiziarie o politiche – anche sulla base della documentazione dell’intelligence. Che novità potrà dunque uscire? Nessuna, ritengo». Ma non tutto — ammette — è noto. «I veri archivi che rimarranno segreti sono quelli Nato, questo sì. Lì nessuno può entrare — racconta a il manifesto -, serve sempre l’accordo di tutti i paesi aderenti al patto». E rivela come quelle carte furono negate anche alle procure che indagavano sull’organizzazione segreta: «Quando la magistratura chiese di accedere all’archivio Gladio bloccammo l’accesso alla documentazione con classifica Nato, che non sono mai usciti dai caveaux».
Gli ostacoli che ancora esistono per una vera trasparenza sono tanti. Forse troppi, ed è questo la vera questione che dovrà affrontare Renzi: «Oggi in tanti dimenticano che non è stato mai abrogato il decreto regio del 1941, firmato dal Re e da Mussolini. Per assurdo ti possono perseguire se fotografi una stazione dei treni. C’è poi un’altra questione, fondamentale». Prego, generale: «La norma del 2007 voluta da Berlusconi e dall’allora capo dei servizi De Gennaro prevede che vi sia una limitazione di accesso anche per i documenti declassificati. Una volta che perdono la classifica l’accesso è consentito solo agli “aventi diritto”. Lei, come giornalista, non li può vedere. Se non si rimuove questo punto la desecretazione non serve a nulla». Un promemoria per Matteo Renzi.
Una cosa è però certa ed appare — neanche troppo velatamente — tra le parole, sempre soppesate, di Inzerilli. Ci sono strutture ancora poco note, probabilmente assolutamente inedite: «La guerra non ortodossa — racconta l’ex capo di Gladio — aveva un coordinamento in Italia. Vi facevano parte – oltre al Sismi – il 9° batta­glione Col Moschin (incursori dei paracadutisti, ndr), il Comsubin (incursori della Marina militare, ndr), il Sios dell’Aeronautica e una parte della Marina militare, per la fornitura dei mezzi». Non solo. I nostri servizi e i reparti speciali dell’esercito e della Marina si sono occupati attivamente del terrorismo: «E’ esistito anche un altro coordinamento. Nel 1984 si costituì un “comitato per l’antiterrorismo”. Qui sedeva la VII divisione del Sismi, che io rappresentavo, gli incursori del Col Moschin e del Comsubin e il Gis dei carabinieri. Era l’epoca di Fulvio Martini». Una struttura che in pochi conoscono. Secondo il senatore Felice Casson (oggi al Copasir e in passato titolare delle indagini su Gladio) all’epoca vi fu una vera e propria riorganizzazione della struttura segreta, con la costituzione di diversi livelli di segretezza. E su questo punto forse i documenti che saranno desecretati potranno chiarire molti aspetti.
Paolo Inzerilli non nega il coinvolgimento dei servizi in episodi ancora oscuri: «Le deviazioni? I “casini” sono avvenuti quando si appoggiava una parte, quando mancava l’equilibrio. Le faccio un esempio: io dovevo parlare con tutti, ovviamente. Quando dovevamo incontrare gli israeliani mandavo un ufficiale filoisraeliano, accompagnato, però, da uno filopalestinese. Poi, al ritorno, sentivo tutti e due, separatamente. I problemi sono nati quando qualcuno non ha mantenuto questo equilibrio».
C’è poi il livello politico, che quasi sempre si è tirato fuori, evitando di ammettere responsabilità evidenti: «Io ho personalmente indottrinato su Gladio tanti ministri e, in una fase successiva, presidenti del consiglio, come Bettino Craxi. Molti di loro poi hanno sostenuto di essere all’oscuro, di non conoscere l’esistenza dell’organizzazione. In quel caso, però, c’erano le loro firme sui documenti». Carte che ora aspettiamo di poter leggere.
Andrea Palladino

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