domenica 28 febbraio 2016

Cinema





Yae-jin e Jae-young sono due amiche e vogliono andare in viaggio in Europa. Per poterselo pagare Jae-young decide di prostituirsi mentre Yae-jin gestisce i suoi appuntamenti. Ma un giorno qualcosa va storto e Jae-young, per non farsi catturare dalla polizia, si getta dalla finestra. Yae-jin, distrutta dal rimorso per essersi distratta e aver così causato indirettamente la morte dell'amica, sceglierà una maniera inconsueta per espiare la sua colpa.
Al suo decimo film Kim Ki-duk trova forse la quadratura del cerchio definitiva, senza rimestare ulteriormente nella propria poetica né indulgere sui propri topoi. Nella tragica vicenda di La Samaritana ritornano i temi a lui cari, ma con importanti, benché talora quasi impercettibili, cambiamenti. Se in Bad Guy il protagonista obbligava per vendetta una ragazza a prostituirsi, La Samaritana ribalta punto di vista ed esito. L'atto sessuale dietro compenso, ossessione ricorrente per Kim, diviene per Jae-young molto più di un mezzo per accumulare rapidamente denaro: conoscendo intimamente gli uomini Jae-young studia le loro fragilità, annulla le loro disuguaglianze sociali, abbatte le loro maschere. Si concede per entrare realmente in contatto con loro. Un percorso esperienziale anomalo - osservato in maniera asettica e priva di giudizi da Kim - che diviene dapprima a parole e poi nei fatti missione religiosa, come esplicitato dal parallelo con Vamisutra, prostituta indiana che convertiva al buddismo i propri clienti.
Un personaggio che pare concepito appositamente per Kim Ki-duk e per la sua insanabile dicotomia tra sacro e profano, tra religiosità fervente e perversione sessuale. Il sesso è quindi ancora una volta al centro dell'opera ma non dell'inquadratura: Kim non mostra mai scene di sesso, in un atto di sottrazione insolito per il regista sudcoreano. Segno di un improvviso ritrarsi di fronte ad una materia ancora più scabrosa del solito? Forse. Più probabilmente, grazie all'astrazione, Kim riesce quasi a nobilitare ciò che il buon senso comune non potrebbe accettare, ovvero l'idea di ragazze minorenni che si prostituiscono, sia per colpa o per redenzione.
Giocando su un crinale sempre più pericoloso tra immoralità e sensibilità, tra innocenza e perversione, Kim Ki-duk realizza una delle sue opere più disturbanti e meritevoli di riflessioni, che va ben oltre la superficie del percepito. Un abisso di disperazione in cui calarsi, per trovare la speranza nel luogo più inconsueto.


Emanuele Sacchi

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