domenica 28 febbraio 2016
Cinema
Kyoto, periodo Heian. Un boscaiolo, un monaco e un vagabondo si interrogano su una vicenda, l'assassinio di un samurai e lo stupro di sua moglie per mano del bandito Tajômaru, che li ha coinvolti come testimoni. Mentre si susseguono le dichiarazioni dei protagonisti davanti a un tribunale sulla loro versione dei fatti, la verità anziché emergere sembra vieppiù allontanarsi.
In un Giappone ancora dilaniato dai lasciti del dopoguerra, Kurosawa Akira ritorna a un'altra epoca di morte e sofferenza, quel periodo Heian in cui di fronte alla porta del tempio di Rashô non scorrevano che sangue, violenza e frode. Prendendo spunto dai racconti di Ryûnosuke Akutagawa, Kurosawa riflette sulla natura dell'uomo e sulla sua inclinazione alla menzogna, guidata da un esasperato spirito di autoconservazione. A contare non è mai il senso di verità o di giustizia, ma la salvaguardia del proprio tornaconto e di un miserrimo particulare, tale da portare - è il caso del personaggio del samurai - a mentire anche post mortem pur di difendere il proprio onore.
Ma se questo è già l'apologo originario di Akutagawa, risultato della messa in scena di tre versioni - tutte discordanti e tutte false - della stessa storia, Kurosawa vi aggiunge una nuova valenza, in cui la riflessione si estende a un'ulteriore menzogna, quella dell'immagine e del cinema come suo strumento principe. Le versioni dell'assassinio non si limitano ad essere raccontate dai personaggi, infatti, ma sono offerte alla visione del pubblico come se si trattasse di realtà oggettiva e indiscutibile; ciò che si vede dovrebbe tradursi in ciò che è, anziché rivelarsi mutevole nei contenuti e nello stile.
Grazie alla recitazione espressionista e sovraccarica di Mifune Toshirô e degli altri protagonisti, emerge con la dovuta forza il divario tra l'idealizzazione figlia del racconto e il crudo squallore di una realtà caotica e fallace, in cui sono paura,ansia e goffe emozioni fuori controllo a governare istinti e dinamiche interpersonali. Il Leone d'oro assegnato a Rashômon nel 1951 apre all'Occidente il mondo del cinema giapponese.
Emanuele Sacchi
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