domenica 28 febbraio 2016

Cinema





Celebrato ripetutamente in questi ultimi anni, tanto da Wilson Yip (Ip Man e Ip Man 2) in chiave romanzata di modello filosofico-spirituale che da Wong Kar-wai come personaggio romantico, tra melò e weltanschaung marziale, Ip Man vive ora il suo momento di gloria assoluta, in cui brillare non più come mero "maestro di Bruce Lee", ma come eroe a sé stante.
segue cronologicamente la saga di Wilson Yip ma rappresenta una sorta di reboot, di episodio a sé, che riparte dal 1949 in cui il maestro si trasferisce a Hong Kong, rifiutandosi di aprire una scuola ma non disdegnando di offrire lezioni sul tetto di un palazzo. Anni di povertà, dopo il benessere pre-bellico, che non alterano la concezione di vita del maestro.
Regia affidata a Herman Yau (The Untold Story), il nome apparentemente più insolito per narrare di Ip Man e in realtà più indicato per adottare un tono quasi dimesso e ricondurre ulteriormente la persona di Ip Man a una dimensione umile, unendo il quotidiano e il sensazionale, le tenerezze di una coppia innamorata e le gesta di un maestro di arti marziali. E per parlare, ancora una volta, di Hong Kong e del suo particulare, dei cambiamenti della città-stato in anni difficili: attraverso la parabola del celeberrimo sifu e del tribolato affermarsi del wing chun scorrono dure contrapposizioni sociali e il diffondersi della criminalità organizzata, in una rete di corruzione che si infiltra negli uffici del distretto di polizia.
Yau, maestro del low-budget con un cuore, l'uomo che ha infuso umanità alle piccole love story di Cocktail o alla vita delle giovani prostitute in Whispers and Moans, tocca con grazia i tasti più sentimentali della micro-storia di Ip Man racchiusa nella macro-storia dell'ex-colonia, con una sincerità che un tempo era del neorealismo italiano e che forse ancora per poco è e sarà del cinema in lingua cantonese, presto stritolato dalle mega-produzioni della Cina.
Il volto umano del Gran Maestro, dopo quello marziale di Donnie Yen e quello lirico-romantico di Tony Leung, è affidato a uno degli attori-simbolo di Hong Kong, il grande Anthony Wong, che non smette di essere credibile nei suoi multiformi aspetti. Sempre più romanzato e riadattato, Ip Man pare destinato a rappresentare per la Hong Kong degli anni Zero quello che è stato il mito di Wong Fei-hung fino agli anni '90 di Once Upon a Time in China.

Emanuele Sacchi

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