domenica 28 febbraio 2016
Cinema
Berlino, 1928. Wei Ling Soo è un celebre prestigiatore cinese in grado di fare sparire un elefante o di teletrasportarsi sotto gli occhi meravigliati di un pubblico acclamante. Ma dietro la maschera e dentro il suo camerino, Wei Ling Soo rivela Stanley Crawford, un gentiluomo inglese sentenzioso e insopportabile che accetta la proposta di un vecchio amico: smascherare una presunta medium, impegnata a circuire una ricchissima famiglia americana in vacanza sulla riviera francese. Ospite dei Catledge sulla Costa azzurra e sotto falsa identità, si fa passare per un uomo d'affari; Stanley incontra la giovane Sophie Baker ed è subito amore. Ma per un uomo cinico e sprezzante come lui è difficile leggere dietro alle vibrazioni di Sophie un sentimento sincero. Un temporale e il ricovero della zia adorata, faranno crollare il razionalismo e le resistenze di Stanley: il soprannaturale esiste eccome e si chiama amore.
Non va mai preso alla leggera un film di Woody Allen, anche se si presenta fresco ed estivo come una promenade lungo la Costa Azzurra. Perché il gusto che avvertiamo dopo averne goduto è sempre più complesso di quello inizialmente percepito. Nel suo cinema sono sempre i dettagli o le presenze marginali ad aprire gli spiragli che fanno intravedere la profondità di senso. Dietro alle coppe di champagne e alle maniere sofisticate, dentro i vestiti bianchi e le automobili decappottabili, sotto i cappellini a cloche, i temporali estivi e la comédie au champagne, quella dove lui e lei si conoscono, si detestano e poi finiscono col capitolare l'uno nelle braccia dell'altro, si prepara in fondo il crepuscolo della Jazz Age fitzgeraldiana e il collasso della Germania sotto i colpi della crisi e del nazismo. E Magic in the Moonlight apre proprio sul 'palcoscenico' di Berlino e davanti a un pubblico che a breve non vedrà più l'elefante nella stanza perché sceglierà di ignorarlo, ignorando col pachiderma una tragedia evidente. Nemmeno la magia può volatilizzare un elefante e una verità, la sparizione è soltanto un'illusione prodotta da un prestigio, una rimozione dal campo visivo che prima o poi ricompare, proprio come la madre di Sheldon-Woody nell'Edipo derelitto. Lo sa bene il mago very british di Colin Firth, che come il film possiede tutta la malinconia e l'esotismo di una cartolina postale.
Non è certo la prima volta che Allen ricorre alla magia, che ha giocato d'altra parte un ruolo rilevante nella sua filmografia. Magia (Stardust Memories, New York Stories, Alice, Ombre e nebbia, La maledizione dello scorpione di giada, Scoop) e divinazione (Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni) si impongono in primo piano e dentro le sue commedie, sublimando la dimensione comica e rivelando uno dei temi principali della poetica alleniana: la scelta. Il cinema di Allen arriva sempre al vicolo cieco dell'alternativa tra "orribile o miserrimo" (Io e Annie) o come per Magic in the Moonlight tra la vita vera e la sua illusione. Come ogni altro personaggio alleniano nemmeno Stanley Crawford troverà una risposta perché per il regista è più importante continuare a porsi nuove domande. Il protagonista di Colin Firth, un'implosione raffinata di cinismo e arroganza, sceglie allora lo slancio vitale, l'impulso irrazionale di agire e reagire dentro l'universo, "un luogo assolutamente freddo". Come l'arroseur arrosè dei Lumière, il prestigiatore finisce annaffiato dal suo stesso annaffiatoio e da un'avventuriera americana che sembra barare meglio di lui, provando che la magia non si trova sempre dove noi pensiamo. Così il suo razionalismo implacabile capitolerà sotto la luce brillante di Darius Khondji e lo charme preveggente di Emma Stone che, come il mago cinese di Alice, lo stana dalla codardia e lo porta a consapevolezza. Se i pessimisti sostengono che il nostro passaggio sulla terra è un disastro, l'avvenire non può essere che funesto e "l'eternità troppo lunga, specialmente verso la fine", esibendo soltanto la loro insofferenza e il loro malessere scoraggiante e lamentoso, gli ottimisti da par loro sono dei cretini assoluti, totalmente irragionevoli e privi di logica e di buon senso, proprio come la vecchia coppia sulla panchina di Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni. Così non resta che gettare la maschera cartesiana e ammettere di essere proprio come Sophie, non un essere candido magari ma nemmeno infame, che esercita la suggestione per ingannare e proteggere, la magia per rendere più piacevole la vita degli altri, il potere mistificatorio per richiamare i morti in vita, non quelli seppelliti ma quelli che vivono temporaneamente fuori dalla partita. Non datevi pensiero perciò se vedrete l'impostore rivelato pregare e implorare addirittura la misericordia divina in un momento di sconforto, è solo una boutade. Woody Allen non accetta mai il soccorso della religione ma non smette mai di trovarlo nell'illusione. L'illusione delle immagini, dei vecchi giochi di prestigio, di una bolla di champagne e di qualche nota jazz sul nero.
Marzia Gandolfi
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