mercoledì 30 novembre 2011
Cinema
Addio a Ken Russell, messia selvaggio “Vedete, io non devo essere esuberante, erotico e barocco – quella orribile vecchia parola – se il soggetto non lo richiede”.
“Il cattolicesimo è un misto di bigotteria e inganno di se stessi e di tante stranezze, contraddizioni e perversità quante se ne possono immaginare, una religione molto confusa, piena di gente confusa. Anche se la chiesa mi ha attaccato da tutte le parti, e forse io sono in errore più dei cattolici, ciò non di meno considero i miei film come un’intensa affermazione di fede”.
Rino Mele, Ken Russell, Il Castoro Cinema, La Nuova Italia, 1975, p. 7-9.
Valentino, una delle sue pellicole tutto sommato più sobrie, gira intorno a una splendida festa di morte. Intorno al feretro del divo italiano, amanti e amici, antagonisti di una vita, donne che piangono, tutti insieme in un circo dal folle tocco russelliano. E’ questa la prima immagine a venire in mente alla notizia, stamattina, della scomparsa di Ken Russell, nato a Southampton 84 anni fa. Prima pilota della Raf, ballerino e fotografo, infine regista per la Bbc di alcuni lavori che hanno fatto la storia della televisione inglese (tra tutti Dante’s Inferno su Dante Gabriel Rossetti e The Debussy Film sul compositore francese, entrambi interpretati dal prediletto Oliver Reed), è stato uno dei cineasti europei più influenti e rivoluzionari degli anni Settanta grazie a un buon numero di pellicole segnate da uno stile inconfondibile. Visionario. Non c’è un nome per cui l’aggettivo sia più appropriato.
Autore dei più inattendibili e irresistibili biopic musicali della storia del cinema (i migliori sono: L’altra faccia dell’amore, La perdizione e Lisztomania), è raffinato narratore di albionico aplomb e messia selvaggio di un “cattivo gusto” che ha molti proseliti e pochi precursori. Col tempo ha perso smalto, come succede ai più grandi, ma il fuoco arde ancora sotto qualche stato di allucinazione, sopra un umore gothico, dietro alle fantasie di una bella di giorno col volto di Kathleen Turner. Più vicino a Erich von Stroheim che a Federico Fellini, ha continuato a lavorare anche una volta caduto nel dimenticatoio dei grandi produttori, girando pellicole semiprofessionali, brevi video, strampalati documentari. Chi voglia avvicinarsi alla sua opera recuperi almeno il capolavoro Donne in amore, da D.H. Lawrence, lo scandaloso I diavoli, dal romanzo I diavoli di Loudon di Aldous Huxley, Il boy friend, deliziosa fantasia ballerina, e il pirotecnico Tommy, tratto dall’omonima opera rock degli Who.
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