mercoledì 30 novembre 2011

Scienza


Antoine-Laurent de Lavoisier (Parigi, 26 agosto 1743 – Parigi, 8 maggio 1794) è stato un chimico francese. Enunciò la prima versione della legge di conservazione della massa, riconobbe e battezzò l'ossigeno (1778), confutò la teoria del flogisto, ed aiutò a riformare la nomenclatura chimica. Lavoisier viene spesso indicato come il padre della chimica moderna.

Nato il 26 agosto 1743 a Parigi, Antoine Laurent Lavoisier frequentò il Collège des Quatre-Nations dal 1754 al 1761, studiando chimica, botanica, astronomia, e matematica. Chimico, naturalista, agronomo, economista ed esattore delle imposte, Lavoisier delineò, a partire dagli anni sessanta del secolo, con una serie ininterrotta di ricerche, una nuova rivoluzionaria immagine della chimica. La sua prima pubblicazione di chimica apparve nel 1764. Nel 1767 lavorò su uno studio geologico dell'Alsazia-Lorena. Venne eletto membro dell'Accademia francese delle scienze nel 1768 all'età di 25 anni. Nel 1771, sposò la tredicenne Marie-Anne Pierrette Paulze, che divenne nel tempo una sua collaboratrice scientifica, tradusse opere dall'inglese e illustrò i suoi libri. A partire dal 1775 servì nell'"Amministrazione delle polveriere reali", dove il suo lavoro portò a miglioramenti nella produzione di polvere da sparo e all'introduzione di un nuovo metodo per la preparazione del salnitro.
Alcuni dei più importanti esperimenti di Lavoisier esaminarono la natura della combustione. Attraverso questi esperimenti, dimostrò che la combustione è un processo che coinvolge la combinazione di una sostanza con l'ossigeno. Dimostrò anche il ruolo dell'ossigeno nella respirazione di animali e piante, così come nell'arrugginimento del metallo. La spiegazione data da Lavoisier alla combustione rimpiazzò la teoria del flogisto, la quale postulava che i materiali, quando bruciano, rilasciano una sostanza chiamata flogisto. Scoprì inoltre che l'aria infiammabile di Henry Cavendish che chiamò idrogeno (dal greco "formatore d'acqua"), si combinava con l'ossigeno per produrre una rugiada che, come riportò Joseph Priestley, appariva essere acqua. Il lavoro di Lavoisier era parzialmente basato su quello di Priestley, ma ad ogni modo, egli cercò di prendersi il merito delle scoperte di quest'ultimo. Questa tendenza ad usare i risultati di altri senza riconoscerlo e quindi trarre le proprie conclusioni, si dice che fosse stata una caratteristica di Lavoisier. In Sur la combustion en general, del 1777 e in Considérations Générales sur la Nature des Acides, del 1778, dimostrò che l'"aria" responsabile della combustione era anche fonte di acidità. Nel 1779, chiamò questa parte dell'aria "ossigeno" (dal greco "formatore d'acido"), e l'altra "azoto" (dal greco "senza vita"). In Reflexions sur le Phlogistique, 1783, Lavoisier mostrò che la "teoria del flogisto" era inconsistente.
Gli esperimenti di Lavoisier furono tra i primi esperimenti chimici veramente "quantitativi" ad essere condotti. Egli dimostrò che, anche se la materia cambia il suo stato con una reazione chimica, la quantità di materia è la stessa all'inizio e alla fine di ogni reazione. Bruciando fosforo e zolfo nell'aria, dimostrò che il prodotto pesava più della materia iniziale e il peso acquisito era stato preso dall'aria. Questi esperimenti fornirono la prova per la legge di conservazione della massa (in una reazione chimica la massa dei reagenti è esattamente uguale alla massa dei prodotti). Lavoisier investigò anche sulla composizione dell'acqua, e battezzò i suoi componenti come ossigeno e idrogeno. Assieme al chimico francese Claude-Louis Berthollet e ad altri studiosi, Lavoisier ideò una nomenclatura chimica, ovvero un sistema di nomi che serve da base al sistema moderno. Descrisse il tutto nel suo Méthode de nomenclature chimique (Metodo di Nomenclatura Chimica, 1787). Questo sistema viene ancor oggi largamente usato, compresi i nomi di acido solforico, solfati e solfiti. Il suo Traité Élémentaire de Chimie (Trattato di chimica elementare, 1789), è considerato il primo moderno libro di testo di chimica, e presentava una visione unificata delle nuove teorie della chimica, conteneva una chiara enunciazione della "legge di conservazione della materia",[2] e negava l'esistenza del flogisto. Inoltre, Lavoisier chiarificò il concetto di elemento come sostanza semplice che non può essere scomposta da nessun metodo conosciuto dell'analisi chimica, e concepì una teoria della formazione dei composti chimici a partire dagli elementi. In aggiunta stilò una lista di elementi, o sostanze, che non potevano essere scomposte, che includeva ossigeno, azoto, idrogeno, fosforo, mercurio, zinco, e zolfo. La sua lista, comunque, includeva anche luce e calorico, che credeva essere sostanze materiali.
I contributi fondamentali di Lavoisier alla chimica, furono il risultato di uno sforzo conscio di far rientrare tutti gli esperimenti all'interno di una singola struttura di teorie. Egli stabilì l'uso consistente della bilancia chimica, usò l'ossigeno per rovesciare la "teoria del flogisto", e sviluppò un nuovo sistema di nomenclatura chimica, che sosteneva che l'ossigeno era un costituente essenziale di tutti gli acidi (il che si rivelò in seguito vero nella maggior parte dei casi). Per la prima volta la nozione moderna di elementi viene impostata sistematicamente; i pochi elementi della chimica classica fecero strada al sistema moderno, e Lavoisier elaborò le reazioni nelle equazioni chimiche che rispettavano la conservazione della massa (si veda ad esempio il ciclo dell'azoto).
Creò anche la prima rivista di chimica specializzata, le "Annales de chimie".

Di importanza fondamentale nella vita di Lavoisier fu il suo studio della legge. Questo lo portò a un interesse per la politica francese e, come risultato, poté, all'età di 26 anni, divenire un Fermier Général (in pratica, un esattore in appalto di vari tipi di tasse). Nello svolgere questa attività cercò di introdurre riforme nel sistema monetario e fiscale francese. Mentre lavorava per il governo, aiutò a sviluppare il sistema metrico decimale, per garantire l'uniformità di pesi e misure in tutta la Francia. Essendo uno dei 28 esattori francesi che non avevano lasciato precipitosamente il territorio nazionale, Lavoisier poté essere catturato e processato come traditore dai rivoluzionari nel 1794 e ghigliottinato assieme al suocero e gli altri colleghi a Parigi, all'età di 51 anni. Il suo principale accusatore fu il rivoluzionario e chimico dilettante Jean-Paul Marat (1743 - 1793), al quale Lavoisier aveva in precedenza rigettato la domanda di accesso all'Accademia delle Scienze. Paradossalmente, Lavoisier fu uno dei pochi liberali nella sua posizione. La sua importanza per la scienza venne espressa dal matematico torinese di origine francese Joseph-Louis Lagrange che si dolse della decapitazione dicendo:
« Alla folla è bastato un solo istante per tagliare la sua testa; ma alla Francia potrebbe non bastare un secolo per produrne una simile. »

Canzoni

Poesie


Risveglio




Lo ripete anche l'aria che quel giorno non torna.
La fìnestra deserta s'imbeve di freddo
e di cielo. Non serve riaprire la gola
all'antico respiro, come chi si ritrovi
sbigottito ma vivo. E' finita la notte
dei rimpianti e dei sogni. Ma quel giorno non torna.

Torna a vivere l'aria, con vigore inaudito,
l'aria immobile e fredda. La massa di piante
infuocata nell'oro dell'estate trascorsa
sbigottisce alla giovane forza del cielo.
Si dissolve al respiro dell'aria ogni forma
dell'estate e l'orrore notturno è svanito.
Nel ricordo notturno l'estate era un giorno
dolorante. Quel giorno è svanito, per noi.

Torna a vivere l'aria e la gola la beve
nella vaga ansietà di un sapore goduto
che non torna. E nemmeno non torna il rimpianto
ch'era nato stanotte. La breve finestra
beve il freddo sapore che ha dissolta l'estate.
Un vigore ci attende, sotto il cielo deserto.




Cesare Pavese

Pensieri


Sapere è soffrire, e soffrire dà sapere.






(Eschilo)

Comicità


Ho capito di essere invecchiato quando al mio compleanno tutti gli invitati si sono messi intorno alla torta per scaldarsi le mani.





George Burns

Dedicato a....


Oggi è una giornata speciale per me e la mia famiglia perchè è il compleanno di mio nipote,che per me è un po' un terzo figlio visto che l'ho visto nascere e crescere,l'ho tenuto in braccio per una notte intera quando aveva un mese in un Capodanno fatto di biberon e film in continuazione,lui buono a dormire tra le mie braccia,un'emozione incredibile.Poi vederlo muovere i primi passi,portarlo al mare,fare i giri in bici con lui sul seggiolino raccontandogli di pirati,navi e tesori nascosti.Adesso che anche lui è papà,e di una splendida bimba,sta trasferendo quell'amore ricevuto alla sua cucciola,in una catena di bene che il tempo rafforza sempre di più.

Cinema


Addio a Ken Russell, messia selvaggio “Vedete, io non devo essere esuberante, erotico e barocco – quella orribile vecchia parola – se il soggetto non lo richiede”.

“Il cattolicesimo è un misto di bigotteria e inganno di se stessi e di tante stranezze, contraddizioni e perversità quante se ne possono immaginare, una religione molto confusa, piena di gente confusa. Anche se la chiesa mi ha attaccato da tutte le parti, e forse io sono in errore più dei cattolici, ciò non di meno considero i miei film come un’intensa affermazione di fede”.

Rino Mele, Ken Russell, Il Castoro Cinema, La Nuova Italia, 1975, p. 7-9.

Valentino, una delle sue pellicole tutto sommato più sobrie, gira intorno a una splendida festa di morte. Intorno al feretro del divo italiano, amanti e amici, antagonisti di una vita, donne che piangono, tutti insieme in un circo dal folle tocco russelliano. E’ questa la prima immagine a venire in mente alla notizia, stamattina, della scomparsa di Ken Russell, nato a Southampton 84 anni fa. Prima pilota della Raf, ballerino e fotografo, infine regista per la Bbc di alcuni lavori che hanno fatto la storia della televisione inglese (tra tutti Dante’s Inferno su Dante Gabriel Rossetti e The Debussy Film sul compositore francese, entrambi interpretati dal prediletto Oliver Reed), è stato uno dei cineasti europei più influenti e rivoluzionari degli anni Settanta grazie a un buon numero di pellicole segnate da uno stile inconfondibile. Visionario. Non c’è un nome per cui l’aggettivo sia più appropriato.

Autore dei più inattendibili e irresistibili biopic musicali della storia del cinema (i migliori sono: L’altra faccia dell’amore, La perdizione e Lisztomania), è raffinato narratore di albionico aplomb e messia selvaggio di un “cattivo gusto” che ha molti proseliti e pochi precursori. Col tempo ha perso smalto, come succede ai più grandi, ma il fuoco arde ancora sotto qualche stato di allucinazione, sopra un umore gothico, dietro alle fantasie di una bella di giorno col volto di Kathleen Turner. Più vicino a Erich von Stroheim che a Federico Fellini, ha continuato a lavorare anche una volta caduto nel dimenticatoio dei grandi produttori, girando pellicole semiprofessionali, brevi video, strampalati documentari. Chi voglia avvicinarsi alla sua opera recuperi almeno il capolavoro Donne in amore, da D.H. Lawrence, lo scandaloso I diavoli, dal romanzo I diavoli di Loudon di Aldous Huxley, Il boy friend, deliziosa fantasia ballerina, e il pirotecnico Tommy, tratto dall’omonima opera rock degli Who.

Accadimenti


Magri, la scelta privata di un intellettuale rigoroso La didascalia della vignetta di Ellekappa era caustica: “Pci: nuovi attacchi di Lucio Magri”. Solo che, in quei giorni di turbinosi congressi, all’inizio degli anni ottanta, per illustrare la battuta erano raffigurati un paio di sci. Non gli attacchi politici, dunque, ma quelli degli scarponi, intesi come simbolo di sospetta mondanità vacanziera, illustravano bene un certa diffidenza contro l’aura di eresia che nel cuore dell’apparato comunista aveva accompagnato tutta la vita del leader comunista e co-fondatore de Il Manifesto.

Quel sarcasmo era il retaggio di una diffidenza che spesso si sposava con l’ammirazione, e che subito dopo confliggeva con lei, senza possibilità di mezze vie: amato e odiato, ma sempre al centro della scena, alla sinistra della sinistra. Un uomo, tante vite, un filo di coerenza apparentemente irregolare ma rigorosamente geometrico che faceva da spina dorsale a una biografia tanto ricca quanto complessa: alla sinistra della Dc negli anni Cinquanta, poi alla sinistra del Pci negli anni Sessanta (fino alla radiazione collettiva con gruppo de Il Manifesto nel 1969), poi alla destra dell’ultrasinistra con il Pdup, e poi di nuovo alla sinistra del Pci grazie alla ricomposizione della diaspora (evento inedito nella storia comunista) caparbiamente voluta insieme a Berlinguer nel 1984, poi a sinistra del Pds, per poco nei primi anni Novanta, poi alla destra di Rifondazione nel 1995 quando nasce il governo Dini. Anche qui un ricorso: lui che aveva drammaticamente rotto con il gruppo de Il Manifesto nel 1979 sul nodo della sinistra di governo, si ricongiungeva con il suo giornale-famiglia, 16 anni dopo, sempre sul nodo del governo. In contrasto con Fausto Bertinotti che voleva far cadere Prodi, lui diventava il padre nobile della scissione dei Comunisti unitari che piangevano in aula – come fece Marida Bolognesi – per far nascere il governo Dini. “Baciare il rospo”, titoló il Manifesto, e quel giorno Lucio, con il suo impasto dolente di pessimismo e volontà disse: “É bellissimo”.

Eppure se volevano insultare Magri, nella caserma austera di Botteghe Oscure, in quegli anni di serrata battaglia politica fra destra e sinistra, per un ventennio, gli dicevano: “Abbronzato!”. Perché é vero: Magri era bello, molto bello, con il ciuffo corvino poi imbiancato, prima dall’argento, poi da una neve precoce. Aveva gli occhi azzurri che tendevano al blu, un viso regolare che a molti ricordava quello di Gary Cooper, Lucio aveva fama di grande seduttore, aveva avuto una storia d’amore con Marta Marzotto che aveva suscitato scandalo fra i puritani del politicamente corretto, e – é vero – spesso era anche abbronzato. Ma era soprattutto un intellettuale rigoroso, ideologico nel senso utile del termine, un dirigente politico forgiato nella generazione dei grandi carismi, approdato al comunismo venendo dalla Dc nei primi anni Cinquanta, traghettato verso una vocazione rivoluzionaria dalla febbre della rivoluzione possibile indicata da Lenin, attraverso quel pastore di cattolici comunisti che era il futuro padre del compromesso storico, Franco Rodano. Lucio Magri é morto due giorni fa, da suicida assisitito, in Svizzera, per scelta volontaria. É morto dopo aver provato due volte a togliersi la vita, é morto senza conversioni in punto di morte, in modo opposto al suo grande rivale (anche in amore) Renato Guttuso che scrisse contro di lui una preghiera per Marta Marzotto che iniziava con “Ave Martina” e finiva con un perfido “E liberaci dal Magri amen”. Era anche questa la sinistra del Novecento, un impasto di ideologia e passioni sentimentali.

Magri é morto con un gesto dissacrante e dirompente da grande laico, con un gesto privatissimo, custodito nel cuore protetto di una comunità di amici e compagni frequentata per una vita: Valentino Parlato, Rossana Rossanda, Famiano Crucianelli, e poi Luciana Castellina. Anche Luciana era stata sua compagna prima di essergli amica, nel tempo in cui chi l’aveva vista passeggiare – bellissima – insieme a Jane Fonda nei corridoi del quotidiano di via Tomacelli, si era convinto che anche quella epifania potesse essere una incarnazione delle speranze del Sessantotto. Sull’anno indimenticabile Magri aveva scritto un libricino per le Edizioni De Donato, quelle in brossura arancione, Considerazioni sui fatti di maggio, che sarebbe stato il suo personale manifesto di adesione alla scuola di Francoforte, fra Marcuse e Adorno. Ma Magri non era un orecchiante di provincia, era un intellettuale di sinistra che respirava il fermento europeo, e fra le cose di cui andava orgoglioso c’era l’aver scritto per Tempi moderni, sotto la committenza di Jean Paul Sartre.

Lucio è morto con un suicidio privatissimo, custodito fino all’ultimo come un segreto, morto con disposizioni testamentarie rigorose e sobrie, niente funerale pubblico, solo una cerimonia familiare a Recanati, e gli amici più stretti convocati a casa per attendere insieme la notizia definitiva, con un rito privato che oggi suscita polemiche ridicole e giudizi moralistici bigotti. Comunque vada, e qualsiasi cosa si pensi, é morto con un gesto che ci interroga e riscrive un frammento dei nostro costume.

Ecco perché questa scelta privatissima, al pari di quella impulsiva e ribelle di Mario Monicelli, giá oggi dispiega la sua forza politica, il suo impatto dirompente su un’opinione pubblica attardata e cloroformizzata in medioevali dispute sul fine vita, nel cuore esangue di una sinistra che fatica a confrontarsi con l’idea della morte. Una idea oggi ridotta a puntello di piccole identità ideologiche nella contesa politicista fra i cosiddetti laici e i cosiddetti cattolici.

Un’idea che il gesto di Magri rimette improvvisamente in discussione. L’elettrochoc di questo suicidio é un effetto che certo Lucio non aveva come obiettivo primario, impegnato come era a combattere contro la depressione che lo aveva investito dopo la morte della sua amatissima moglie Mara, la donna che – come ha raccontato in uno struggente pezzo su La Repubblica Simonetta Fiori – era il suo cordone ombelicale con il mondo. Ma era sicuramente una conseguenza che aveva previsto. Lucio Magri veniva combattuto – anche politicamente – con lo stereotipo del radicalchicchismo, evocato anche ieri con una punta di veleno da Fabrizio Rondolino, ma raccontato con i canoni di oggi sembrava un campione di sobrietà. Lo inseguiva una boutade intelligentemente velenosa della Marzotto: “Si sentiva in dovere di andare a letto con chiunque: era bello, intelligentissimo e infelice. Forse perché ce l’aveva con il mondo. Rimproverava al mondo intero il suo sogno di essere al fianco di Che Guevara”.

Ma il Magri che ho conosciuto io non aveva traccia di questo velleitarismo: era burbero, scrupoloso, appassionato, e piombava nelle riunioni di Cominform, un giornalino della sinistra antimassimalista finanziato dai comunisti unitari per fare le sue analisi: “Cerchiamo di leggere la fase in cui ci troviamo, altrimenti non si capisce nulla”. Era inseguito da questa fama libertina, ma faceva le notti in bianco per divorare i saggi di Hobsbawn, esigendo altrettanta celeritá: “Avete letto Gente che lavora? “. Il Manifesto fu il giornale à la page di una generazione, ed era anche – si direbbe oggi – un modello di casting: Pintor la fantasia, la Rossanda il cuore, la Castellina il senso dell’avventura, Parlato il pragmatismo istrionico e lui l’ideologia.

In politica la sinistra radicale mancó un quorum nel 1972 incontrando il sarcasmo di Pajetta: “Hanno sommato tre partiti per fare un prefisso telefonico”. Ma nel 1979 il Pdup centró il quorum con l’ 1,5 e chi c’era ricorda: “Quella sera Lucio Pianse”. Anche negli ultimi anni lo potevi incontrare alla Camera con la sua divisa di sempre, jeans e sigaretta perennemente incollata alla dita. E poi sì, la giacca. Diceva di sé di essere “un archivio vivente in soffitta”, ha scritto un libro bellissimo, Il sarto di Hulm che racconta la sua battaglia politica lunga una vita, in cui Magri spiega che Mara gli aveva chiesto di finirla prima di morire. Quel sarto secondo Brecht si era schiantato al suolo cercando di volare. Da domani – di certo – andrà a ruba. L’ultima volta l’ho visto a Montecitorio il giorno della fiducia a Monti. Come va? Gli ho chiesto: “Malissimo, grazie”. Lui era fatto così.



Luca Telese

Internazionale


Si era comportato male all'asilo, per questo il piccolo Bastien, tre anni, è stato chiuso nudo in lavatrice da suo padre Christophe Champenois che ha poi avviato la macchina. Il piccolo è stato ritrovato dalla madre Charlene congelato e ormai senza vita. Un orrore che si è consumato nella cittadina di Germigny-l'Eveque nella Seine-et-Marne. Entrambi i genitori sono stati immediatamente arrestati, lui, 33 anni, per assassinio di minore, lei per non aver impedito la tragedia. Secondo quanto riportano i vicini la madre sarebbe corsa con il bimbo in braccio ormai morto a chiedere aiuto dicendo che era caduto per le scale.Leggere questa notizia mi ha letteralmente choccato,essendo padre di famiglia,immagino quel povero bambino e immagino quella povera bambina nel vedere il fratellino ucciso dalla furia omicida di un essere inqualificabile,che spero passi il resto dei suoi giorni in carcere,anche se questo non riporterà sulla terra quell'angioletto.

A raccontare la verità era stata invece la figlia Maud di cinque anni che aveva visto il fratellino essere tirato fuori già morto dalla lavatrice. La ragazzina aveva cercato di parlare a Bastien e il padre l'aveva aggredita. Secondo i racconti di Maud non era la prima volta che Bastiene veniva punito in questo modo: questa volta però il castigo della lavatrice è risultato fatale.

lunedì 28 novembre 2011

Cinema


New York, 1985. A Wall Street l’unica cosa che conta è il potere del denaro. Giovani e rampanti yuppies, laureati nelle business school più prestigiose del mondo speculano in borsa con l’unico obiettivo di guadagnare molto e subito. Bud Fox (per gli amici Buddy) è un brillante ed anonimo broker pronto a tutto per raggiungere la gloria. “Il successo si condensa in pochi attimi” è questo il motto di Buddy e quando l’occasione gli si presenta non se la lascia sfuggire. Il suo destino cambierà drasticamente dopo l’incontro con il cinico e spregiudicato finanziere d’assalto Gordon Gekko, idolo dei “ragazzi” di Wall Street. Molto presto il giovane broker capirà con chi ha a che fare, e come in borsa ad immense fortune guadagnate in poche ore si susseguano rovinosi fallimenti, anche nella vita di Buddy alla sua avidità seguirà la rovina. "Gekko il grande", lo squalo del New York Stock Exchange, non si fermerà davanti a niente e a nessuno per raggiungere il suo scopo: "fare soldi". I sogni di Buddy verranno infranti e si dissolveranno come i numeri delle quotazioni che appaiono sui monitor di Wall Street.

Il film è uno spaccato del mondo della finanza negli anni ottanta, intriso di yuppismo, avidità e immoralità. Il personaggio incarnato abilmente da Michael Douglas rappresenta l'archetipo del rampantismo degli anni 1980, che idolatra il libero mercato e ne sfrutta le più evidenti incongruenze. È un tipico "self-made man", che si è fatto largo da una scadente università in modo duro e spietato, il tipico squalo dell'alta finanza, un uomo che vuol essere larger than life e decanta Sun-Tzu come vademecum nella vita e negli affari.

Il monologo sull'avidità, pronunciato dallo stesso Gekko nel corso del film, esprime al meglio i connotati del personaggio e di una certa America, quella reaganiana, che Stone mette impietosamente in mostra.

La caratterizzazione data da Michael Douglas (vincitore di premio Oscar, Golden Globe e David di Donatello per questo film) al personaggio di Gekko, finanziere spietato e disinvolto arrampicatore sociale, è un'icona della cinematografia contemporanea, e per gli amanti del mondo della finanza è un guru della speculazione mobiliare-immobiliare, al punto che la prestigiosa rivista statunitense Forbes ha dedicato una pagina a questo illustre, seppur fittizio, personaggio (ispirato probabilmente a Carl Icahn).Un grande film.

Comicità


ACCIDENTI

Bestemmia odontoiatrica.



ACULEO

Persona priva di posteriore.



BACILLO

Effusione tra due germi.



BANCOMAT

Istituto di credito manicomiale.



CASSATA

Fesseria siciliana.



CELLULARE

Telefonino per comunicare tra microorganismi.



DISSENTERIA

Attacco di opposizione.



DOMENICANO

Frate festivo



EVIRATA

Tragico incidente velistico.



FOCA MONACA

Animale destinato all'estinzione.



GRAVIDANZA

Ballo di nove mesi.



LIRA

Moneta sonante.



MOTOSEGA

Atto erotico dei motociclisti.



NEONATO

Bambino a luce soffusa.



OVAZIONE

Mestruazione di successo.



PAPARAZZO

Missile del Vaticano.



PARTITO

Luogo di destinazione dell'arrivista.



ROGNONE

Grosso problema da risolvere.



SANTO PROTETTORE

Magnaccia beatificato.



TABBACCAIO

Amico di Tabbattizio.



TOP SECRET

Roditore misterioso.



VAGINA

Condotto che unisce l'utero al dilettevole.



ZINGARELLI

Vocabolario per nomadi.




Orazio & Paolo

domenica 27 novembre 2011

Canzoni

Cinema


Una squadra di scienziati e militari viene chiusa in un laboratorio sul fondo dell'Oceano Pacifico per studiare un'enorme sfera liquida che galleggia all'interno di un'astronave precipitata sulla Terra 300 anni prima. Da un romanzo (1987) di Michael Crichton, adattato da S. Hauser e P. Attanasio, un fanta-thriller in cui lo spettatore cinefilo può trovare rimandi a Cameron (The Abyss), Kubrick (2001: Odissea nello spazio), Tarkovskij (Solaris), R. Scott (Alien) e tanti altri, mentre i più colti potrebbero citare il vaso di Pandora, Bioy-Casares (L'invenzione di Morel) e Borges (La sfera di Pascal in Altre inquisizioni), oltre al Verne di 20 000 leghe sotto i mari che uno dei personaggi legge.Un solido film di fantascienza,molto originale nel delineare la psicologia dei personaggi,con una buona suspence e ottime interpretazioni da Hoffman alla Stone a Jackson.

sabato 26 novembre 2011

Dipinti





Caspar David Friedrich - Il mare di ghiaccio

Scienza


Una interfaccia cervello-computer, spesso consciuta dal termine inglese Brain-computer interface (BCI), rappresenta un mezzo di comunicazione diretto tra un cervello (o più in generale parti funzionali del sistema nervoso centrale), e un dispositivo esterno quale ad esempio un computer. Nelle classiche BCI mono-direzionali, il dispositivo esterno riceve comandi direttamente da segnali derivanti dall'attività cerebrale, quali ad esempio il segnale elettroencefalografico. Le interfacce cervello computer monodirezionali rappresentano quindi la funzione complementare a quella delle neuroprotesi , che invece sono dedicate tipicamente al sistema nervoso periferico. Le BCI bi-direzionali combinano il descritto canale di comunicazione con una linea di ritorno che permetterebbe lo scambio di informazioni tra il dispositivo esterno e il cervello.


Interfaccia Mentale - Cervello-Computer


Per interfaccia Mentale, si intende un'interfaccia che permette in modo non invasivo di controllare un qualsiasi apparato digitale (computer e videogames ecc...) per mezzo delle onde cerebrali. Questa interfaccia può anche essere un casco o cuffiette dotate di sensori che né rilevano le onde cerebrali.

Questa importantissima scoperta si deve a:

ing.Vinicio De Bortoli

prof.Ugo Licinio


Nel 1984 scoprono e brevettano la prima interfaccia non invasiva per la decodifica delle onde cerebrali, da questo principio venne poi creato il Mindball, il Neurosky, e molte altre interfacce che usano le onde cerebrali.

Nel1985 il principio viene brevettato anche in Spagna

Il principio da lui scoperto è stato utilizzato anche per lo sviluppo di diverse BCI o Brain Computer Interface, chiamata anche Interfaccia umano-macchina o anche BMI, Brain Machine Interface più evolute come:

-Neurosky La Sega Master System usò questa sua scoperta, per creare una interfaccia neurale per controllare i video giochi .

-Emotiv Systems sistema che fa uso di un caschetto Wifi per controllare il PC a distanza al posto del Mouse.

Lo stesso principio è utilizzato per controllare a distanza telefonini di nuova generazione.

L'interfaccia da lui scoperta è stata utilizzata per suonare il piano e per altre aplicazioni di tipo medico per persone con problemi motori eHandicap.

Un progetto per i disabili

Progetto Carozzella mobile per persone svantaggiate realizzato grazie alla tecnologia della BCI dall'università di Singapore.
http://www.bricerebsamen.com/project/

Nel contesto dell'ingegneria biomedicae della neuroingegneria , il ruolo svolto dalle BCI è nella direzione di sistemi di supporto funzionale e ausilio per persone condisabilità. L'acquisizione e l'interpretazione di segnali elettroencefalografici è stata ad oggi utilizzata con successo per comandare il movimento di unasedia a rotelle su percorsi predefiniti[1], o lasintesi vocale di un set definito di parole[2]. Applicazioni nel campo della domotica sono in fase di studio.

Internazionale


La vita di migliaia di cani randagi in Romania è appesa a un filo. Il 22 novembre è passata al Parlamento rumeno una nuova legge che concede a tutti i sindaci del Paese diritto di vita o morte incondizionato sui randagi della propria città. Rimandato più volte per il putiferio alimentato dalle associazioni animaliste e arrivato fino al Parlamento europeo di Bruxelles, il voto ha visto 168 favorevoli e 111 contrari. Adesso bisogna solo aspettare la promulgazione del presidente della Repubblica rumena Traian Basescu.

La scusa ufficiale è liberare le strade delle città rumene da una sovrappopolazione di randagi e prevenire i rischi di attacchi alle persone e contagi di rabbia. Solo a Bucarest si stimano circa 50mila cani randagi, entrati ormai a far parte del profilo stesso della città. Secondo le autorità rumene gli attacchi agli esseri umani non sono episodi isolati, come dimostra il caso di una donna azzannata, e poi morta, proprio quest’anno.

La nuova legge introduce la possibilità di sopprimere i cani malati, aggressivi o pericolosi dopo soli tre giorni dalla loro cattura. Non vengono specificate le modalità attraverso le quali le amministrazioni comunitarie possono prendere questa decisione, mentre resta vago anche il concetto di “consultazione popolare” prevista per la soppressione di cani non malati né pericolosi dopo 30 giorni. Difficile poi adottare un amico a quattro zampe. Per farlo bisogna non solo dimostrare di avere spazio a sufficienza, risorse materiali per mantenerlo e l’ok dei vicini di casa, condizioni di per sé comprensibili, ma soprattutto bisogna pagare una tassa, cosa che in un Paese che non naviga esattamente nell’oro può rappresentare un certo disincentivo.

A nulla è valsa la battaglia di mesi e mesi condotta dalle associazioni animaliste internazionali. L’appello a preferire altre forme di controllo del randagismo, come una campagna a tappeto di sterilizzazione, è finita nel cestino perché, evidentemente, non giudicata adeguata a risolvere il problema. “Non c’è nessuna evidenza scientifica del fatto che rimuovere i cani dalla strada abbia un impatto significativo nel ridurre la densità della popolazione canina o il diffondersi di malattie come la rabbia”, ricorda l’associazione “Four Paws” (Quattro zampe) citando un rapporto dell’Organizzazione mondiale della sanità (WHO Expert Committee on Rabies, Eighth Report, Geneva 1992, Series No. 824, P. 31).

Duro il commento di Sara Turetta, presidente di “Save the dogs”, associazione animalista attiva in Romania: «E’ una sconfitta per la classe politica romena che ha perso l’ennesima occasione per dimostrare di essere più europea di quanto fin’ora si sia creduto. Ma è anche una sconfitta per i cittadini romeni che vedranno sperperati milioni di fondi statali senza risolvere il problema». Save the Dogs tira in ballo la “lobby dei boiacani” che “si arricchisce catturando ed uccidendo i randagi romeni”. L’associazione stima che solo a Bucarest sono stati spesi 14 milioni di euro per uccidere i randagi dal 2001 al 2007. Una situazione ben conosciuta anche in Italia, dove piccole associazioni di volontari, come Lamento Rumeno nel trevigiano, organizza viaggi all’Est per sottrarre alla morte dei cani portandoli in Italia, e tutto a spese dei volontari.

Non chiamatela eutanasia. “Portare un animale alla morte senza una diagnosi veterinaria non è eutanasia bensì omicidio”, ha detto Walter Winding, ex presidente della Federazione dei veterinari europei durante una conferenza organizzata da CAROdog (network di associazioni animaliste europee) lo scorso maggio a Bruxelles. A marzo dall’Europarlamento era partito perfino un appello alle autorità rumene alla luce di quanto messo nero su bianco dall’articolo 13 del Trattato di Lisbona, dove gli animali sono chiaramente definiti “esseri senzienti”. Ma tutto questo non è bastato.

Per quanto riguarda la legge approvata in Romania, ufficialmente bisogna aspettare la sua promulgazione da parte del Presidente della Repubblica. Ma le possibilità di un capovolgimento del voto parlamentare sono davvero molto scarse.

Comicità


Datemi il lusso! Farò a meno del necessario.





Oscar Wilde

Poesie

Canzoni

Pensieri


Valuta sempre attentamente tutto ciò che uno dice: le parole nascondono e nello stesso tempo svelano il carattere degli uomini.




Catone

venerdì 25 novembre 2011

Cinema



Jack Gramm è uno psichiatra forense a disposizione dell'FBI. Insegna all'Università ed è dotato di un indiscutibile fascino che attrae l'altro sesso. Ne facciamo la conoscenza proprio nei giorni in cui Jon Forster, un serial killer che lui ha contribuito in maniera determinante a far condannare a morte, sta per essere soppresso. L'uomo proclama con ancora maggiore forza la sua innocenza perché è avvenuto un delitto che ha le stesse caratteristiche di quelli a lui attribuiti. La vittima è una studentessa di Gramm il quale è convinto che si tratti di un caso di pura e semplice emulazione. Ma riceve un avvertimento da qualcuno che sembra conoscere ogni sua mossa: ha ancora 88 minuti di vita. Da quel momento ogni secondo diviene prezioso e Gramm deve cercare di capire chi, tra i giovani studenti che ne incrociano il percorso, è dalla sua parte e chi no.
Jon Avnet è noto da noi in particolare per quel gioiellino che è stato Pomodori verdi fritti alla fermata del treno. Questo film ne è distante anni luce tanto che, realizzato in una Vancouver fatta passare per Seattle ma con quotidiani che a Seattle non si vendono, l'uscita negli States è ancora vaga mentre in altre nazioni è uscito direttamente in dvd (brutto segno). Avnet, che ha sostituito alla regia James Foley, si avvale della sceneggiatura di un esperto di film d'azione come Gary Scott Thompson (The Fast and the Furious, Timecop 2).
Proprio qui sta il problema. Se in quei film la verosimiglianza e le concatenazioni narrative contano ben poco, in un thriller sono tutto. Perché altrimenti il povero spettatore comincia a chiedersi in quale dimensione parallela sia finita una vicenda in cui il killer può permettersi di scrivere sull'auto del malcapitato Gramm quanti minuti gli restano da vivere (potendo quindi prevedere con precisione assoluta in che istante lui la raggiungerà). Però, c'è un però. Ci sono attori come De Niro che fanno di tutto per buttarsi via e talvolta ci riescono. Pacino ci ha provato a sua volta ma, nonostante tutto, non ce la fa. Anche in un film come questo i suoi sguardi, le sue pause, il suo ascoltare l'interlocutore non facendo nulla ma offrendo comunque il senso dell'attenzione provano che ci sono grandi attori costituzionalmente incapaci a non essere tali. Nonostante tutto. Le due stelle sono per il film perché Al ne merita di più.

Televisione


Sedici aspiranti chef (18 dalla stagione 9), donne e uomini, divisi in due squadre (Rossa e Blu) si sfidano in uno dei ristoranti più "in" degli Stati Uniti, con prove di cucina e di servizio al tavolo. Chef Ramsay dirige la cucina con l'aiuto di quattro sous chef, Andi (nella settima stagione), Scott, Heather (nella sesta stagione)e Gloria (dalla prima alla quinta) ne che coordinano il lavoro delle due squadre di apprendisti. Jean-Philippe è il Maitre d'Hôtel, che si occupa di portare le ordinazioni in cucina, servire i tavoli e molto spesso riportare allo Chef i piatti freddi o non cotti al punto giusto per i clienti. Un gran bel programma che io e i miei figli non ci perdiamo mai.

Cinema


Il 26 novembre del 1956 il medico argentino Ernesto Guevara salpa alla volta dell'isola di Cuba con un giovane avvocato di nome Fidel Castro e altri 80 ribelli determinati a rovesciare la dittatura di Fulgencio Batista con una rivoluzione. Medico, stratega e instancabile guerrigliero, il "Che", alla guida di una colonna di uomini, dopo un lungo faticosissimo periodo sulla Sierra Maestra, conquista la città di Santa Clara e si riunisce ai compagni per marciare su L'Avana.
Quello che appare sugli schermi, dopo otto anni di lavoro, è il Che di Soderbergh, quello che nessun altro avrebbe potuto fare in maniera simile, quello che di Soderbergh autore e produttore porta il marchio indelebile, anche là dove calpesta nuovi sentieri, anche e appunto perché li calpesta. Scardinando le convenzioni della continuità, con stacchi avanti e indietro nel tempo (bello il ritorno alla terrazza del primo incontro con Fidel) e spostamenti nello spazio -dalla foresta tropicale alla sede delle Nazioni Unite - che la dicono lunga sulla versatilità del protagonista, Soderbergh parla anche di se stesso, del suo cinema, che rimbalza tra esplorazione e diplomazia, tra le immagini ultravivide dell'avventura (girate con la Redcam) e quelle declinate nel bianco e nero glamorous targato Nordamerica e società dello spettacolo.
Sono due binari: da un lato si fa strada un leader, tra i colpi dell'asma e dei fucili nemici, dall'altro nasce una stella, sotto i flash dei fotografi e delle interviste romantiche. In questo senso, nel suo film rispettosissimo e tutt'altro che declamatorio, il regista prende una posizione netta dicendoci che non è la meta che (gli) interessa, non l'icona, ma il viaggio.
Il personaggio di Che Guevara (ri)nasce nel corpo più massiccio di Benicio Del Toro (lontano anni luce dal ragazzino sensibile dei Diari della motocicletta) e si costruisce per azioni, per tono della voce, per furore dello sguardo: prima con le armi del cinema che con quelle della storia.
Purtroppo Che - L'Argentino non si fa apprezzare pienamente per colpa di un doppiaggio che non ha ragione di esistere, che livella, decontestualizza, toglie al protagonista il suo carattere di straniero, e perché è probabilmente come film-esperienza, nella sua durata complessiva di quattro ore e mezza e nella voluta discontinuità tra le due parti che lo compongono, che si arricchisce di senso. D'altronde quel che fa Soderbergh è esattamente questo: entrare nella dimensione esperienziale della rivoluzione, al ritmo dei passi stanchi, delle notti di veglia, delle decisioni da prendere sul momento, degli errori commessi per sempre, per raccontare di un uomo che ha fatto di un'idea una pratica, per esporci, in pratica, un'idea di cinema.

mercoledì 23 novembre 2011

Fotografia





Squalo, Bahamas
Fotografia di Brian Skerry, National Geographic

Cinema


In Lituania, un giovane ragazzo di nome Hannibal cresce in un orfanotrofio: durante la seconda guerra mondiale i nazisti hanno infatti ucciso i suoi genitori. Riesce a fuggire e a raggiungere Parigi, dove si ritrova con la vedova di suo zio, una bellissima donna giapponese. Tutte le violenze subite nel passato riaffiorano continuamente in lui che, iniziando a studiare medicina, comincia a indagare nelle pieghe dell’animo umano. E la sua violenza inizierà a strabordare.
Firmato da Peter Webber, il film, prequel sullo psichiatra antropofago più famoso della celluloide, si assume il difficile compito di spiegare come Hannibal si trasformò appunto in The Cannibal, diventando uno dei personaggi più coinvolgenti, tanto malvagio quanto brillante, del genere thriller. E il libro è firmato ancora una volta da Robert Harris, che arriva così al capitolo numero quattro della saga: dopo Il silenzio degli innocenti, Hannibal e Red Dragon arriva questa conturbante pellicola a fare luce sulle origini del male, a fare spazio nell’infanzia e nell’adolescenza di Lecter.
Il risultato è un film adrenalinico e dal ritmo sostenuto, che riesce perfettamente nell’intento di mescolare saggiamente dosi di suspence e horror, dramma e tragedia. Webber, che già aveva dimostrato il suo talento visivo, fatto di dettagli perturbanti e inquadrature ariose, in La ragazza con l’orecchino di perla firma una pellicola che ben riesce a incentrare tutta la sua potenza nel personaggio di Hannibal, qui interpretato dalla new entry Gaspard Ulliel, giovane dal volto inquietante, aspro e dissonante, che forse subisce il peso del paragone con Anthony Hopkins, ma che riesce perfettamente a interpretarne la giovinezza. Al suo fianco, nei panni della giapponese Lady Murasak, la sempre misteriosa ed equilibrata attrice cinese Gong Li, che ancora una volta dimostra la sua straordinaria abilità interpretativa. A coronare il tutto una fotografia a cui è stato affidato l’arduo compito di restituire atmosfere cupe e di tensione, una fotografia che riesce a farsi ora ombrosa e sgranata ora dai colori melmosi e macabri. Un thriller che è ingranaggio perfetto e completo, una storia che riesce a tenere davvero con il fiato sospeso.

Poesie

Canzoni

Pensieri


La guerra e la malattia, questi due infiniti dell'incubo.






Louis-Ferdinand Céline, Viaggio al termine della notte, 1932

Televisione


Questo è un bel programma di Raidue,davvero originale ed interessante.Le storie sono introdotte, narrate e commentate in studio da Massimo Ghini in stile teatrale, alla sua presenza si alternano i fumetti realizzati da Claudio Sciarrone, i commenti di Ezio Guaitamacchi, le interviste (alcune esclusive) ad esperti e testimoni oculari delle vicende trattate nonché materiale d'archivio proveniente anche dalle Teche Rai. Inoltre ad ogni episodio partecipano alcuni ospiti musicali italiani che interpretano i brani più noti di ciascun artista protagonista della puntata.Peccato l'orario quasi impossibile,ma sicuramente va premiata l'originalità dell'idea e anche la fattura della trasmissione.

venerdì 18 novembre 2011

Poesie


Come un pessimo attore in scena
colto da paura dimentica il suo ruolo,
oppur come una furia stracarica di rabbia
strema il proprio cuore per impeto eccessivo,

anch'io, sentendomi insicuro, non trovo le parole
per la giusta apoteosi del ritual d'amore,
e nel colmo del mio amor mi par mancare
schiacciato sotto il peso della sua potenza.

Sian dunque i versi miei, unica eloquenza
e muti messaggeri della voce del mio cuore,
a supplicare amore e attender ricompensa

ben più di quella lingua che più e più parlò.
Ti prego, impara a leggere il silenzio del mio cuore
è intelletto sottil d'amore intendere con gli occhi.

(William Shakespeare)

Pensieri


Spesso compie un'ingiustizia non solo chi fa, ma anche chi non fa qualche cosa.




Marco Aurelio

Comicità


L'umano è l'unico animale che arrossisce, ma è anche l'unico che ne ha bisogno.

Internazionale

I FAD sono oggetti galleggianti che attirano esemplari giovani di tonno, ma anche specie minacciate come tartarughe marine, squali balena e altri pesci che regolarmente finiscono in queste reti in modo accidentale. Una volta pescati, tonni diversi vengono conservati e congelati tutti insieme a bordo, e la loro identificazione risulta difficile. L'utilizzo dei FAD sta distruggendo l'ecosistema marino e conducendo gli stock di tonno verso il collasso.

Cinema


Linda Quinn Hanson è una casalinga che vive una vita di routine. La sua vita è dedicata alla casa, ai figli e all'affascinante marito fino a quando, improvvisamente, si rende conto di avere doti di chiaroveggenza: la causa scatenante è la presunta morte di quest'ultimo, defunto in un incidente stradale, ma che riappare misteriosamente il giorno successivo come se nulla fosse successo. Si tratta di vere premonizioni o di semplici incubi? È realtà o fantasia? La disperata ricerca della verità porterà Linda alla più incredibile delle risposte. Ennesima divagazione sul tema della preveggenza, Premonition riesce, per almeno un'ora, a tenere sulle spine lo spettatore, incerto, proprio come la protagonista, su dove sia posto il confine tra sogno e realtà.Un film ben recitato,a mio avviso da Sandra Bullock,credibile nel difficile ruolo che ha in questa pellicola.Nelle mani di un regista più esperto poteva uscirne fuori un buonissimo thriller,cosi solo un discreto film.

mercoledì 16 novembre 2011

Fotografia







La nube di cenere cilena
Fotografia di Ricardo Mohr, My Shot

Canzoni

Pensieri


È meglio impiegare la nostra mente a sopportare le disgrazie che ci succedono che a prevedere quelle che ci potranno succedere.






François de La Rochefoucauld

Poesie

Cinema


In un genere misto fra azione e thriller Chaos si rivela una pellicola accettabile.
Una storia piuttosto comune che però si conclude in maniera egregia.
Buono il ritmo, discreti i dialoghi.
Bravo Statham, mentre Snipes non sembra essere tagliato per il suo ruolo.
Forse si poteva giocare meglio intorno alla componente psicologica dei vari personaggi.
Il film merita comunque la sufficienza.

lunedì 14 novembre 2011

Poesie

Canzoni

Comicità


Un impiegato va dal principale per chiedere un aumento di stipendio, dicendogli: "Io qui faccio il lavoro di tre persone". E il capo replica: "Dammi il nome degli altri due che li licenzio".




Milton Berle

Pensieri


Educa sempre il tuo spirito e non smettere mai di imparare: la vita senza cultura è un'immagine della morte.




Catone

Cinema


Figlio primogenito del potente Odino, Thor è destinato a salire al trono di Asgard ma la sua foga e il desiderio di affermarsi in battaglia lo spingono ad un'azione avventata che, non fosse per l'intervento salvifico del padre, rischia di mettere a repentaglio la pace e la sicurezza del suo regno. Affranto per la delusione procuratagli dall'inadeguatezza del figlio Odino decide di scagliarlo sulla Terra, privato dei suoi poteri e impossibilitato ad usare Mjolnir, il suo micidiale maglio. Almeno fino a che non sarà in grado di usarlo con giudizio.
Caduto nel nostro mondo il dio nordico si imbatte, nel vero senso della parola, in un gruppo di ricercatori che indagano i curiosi eventi atmosferici che hanno luogo nel New Mexico e in particolare in un'astrofisica dal sorriso facile. Intanto nel regno di Asgard il fratello Loki approfitta di un malessere del padre per salire al trono.
Atteso con la curiosità che merita l'ingresso nel mondo delle pellicole commerciali e fracassone di un regista e attore noto al cinema per i suoi adattamenti shakespeariani, Kenneth Branagh conferma l'idea preconcetta che pubblico (e probabilmente produzione) avevano di lui. Il suo Thor attinge a piene mani da diverse mitologie shakespeariane, dalla lotta per la successione, agli intrighi di palazzo, dall'uccisione del regnante da parte di un familiare fino all'amore proibito tra due amanti appartenenti a mondi separati. Come previsto tra simili argomenti il regista si muove con agilità, ma quando l'epica delle relazioni nel mondo dei nobili deve necessariamente tramutarsi (vista la tipologia di film) in grande epica d'azione, il film mostra tutte le sue debolezze.
Se infatti nel mondo di Asgard il mito trova, sebbene a fatica, una dimensione filmica propria, sulla Terra il film funziona molto meno, incastrato com'è in un New Mexico edwoodiano dal sapore anni '50 che calza male l'occasione. A questo si aggiunga che l'alchimia tra il gigantesco (e solo per questo azzeccato) Chris Hemsworth e la minuta scienziata Natalie Portman, interessante proprio per la lontananza fisica, sulla pellicola non si realizza mai del tutto e il loro rapporto è trattato con sbrigativa banalità, per andare a concentrarsi il prima possibile sulla rapida frustrazione del desiderio d'unione dei due.
Di contro la parte che dovrebbe beneficiare da questa contrazione, quella d'azione fantascientifica, è messa in piedi con uno stile che ricorda i film anni ‘90 sul genere, con un uso straniante dei costumi e delle inquadrature sghembe che appare in contraddizione con l'esigenza (e le velleità) di grande epica d'azione. In questo modo alla fine, il desiderio di un cinema in grado di unire alto e commerciale, classico e moderno, teatrale e computer grafica si infrange proprio sul terreno più determinante, quello del respiro epico.

domenica 13 novembre 2011

Viaggi

Fotografia



Fotografia di Chan Kwok Hung, EPOTY. org/Fame/Barcroft

Due bambini si confortano a vicenda in una discarica di Kathmandu, Nepal, nel 2011

Libri


Un romanzo in cui compaiono soltanto personaggi realmente esistiti, ai quali Eco attribuisce frasi, azioni e pensieri documentati dalle fonti dell’epoca. L’unico personaggio inventato è il protagonista, Simone Simonini, di professione notaio, falsario, ma soprattutto spia. Cresciuto nella Torino oscura di metà Ottocento, Simonini, figlio di un carbonaro, viene educato da suo nonno, capitano della guardia regia e da un prete gesuita. Nei suoi incubi da bambino il terribile Mordechai, il leggendario ebreo errante, lo insegue per ucciderlo e impastare il pane azzimo con il suo sangue cristiano. È così che nasce in lui l’odio, anzi, la repulsione verso gli ebrei del ghetto di Torino e verso le donne, portatori entrambi di corruzione e peccato.
Ma Simonini non si limita a odiare gli ebrei e non ha un solo nemico da affrontare. Il suo astio e la sua stizza si rivolgono verso tutti: carbonari, repubblicani, francesi, piemontesi, massoni, gesuiti, satanisti, tedeschi, poveri e ricchi, senza distinzione di sorta. Un rancore covato lungo i settant’anni della sua vita, trascorsa tra Torino, Palermo e Parigi, un odio meditato sullo scranno del suo studio notarile mentre falsifica documenti, oppure nelle bettole di mezza Europa dove ingaggia ingenui bombaroli. Simonini è uno dei migliori falsari dell’epoca, una laurea in giurisprudenza gli ha fornito la perizia tecnica, ma l’arte di imitare le grafie altrui è una sorprendente dote naturale. Se ne avvantaggerà di volta in volta, e dietro lauti compensi, ognuno dei suoi acerrimi nemici, ai quali non esita a vendersi. È così che nella sua avventurosa vita, il notaio Simonini si ritroverà sulla nave di Alexandre Dumas che approda in Sicilia al seguito dei Mille garibaldini.
La sua missione, foraggiata dai servizi segreti sabaudi, è quella di falsificare i documenti contabili che tiene il giovane attendente Ippolito Nievo, per nascondere il complotto massone che sta dietro all’unificazione dell’Italia; mentre sono gli attentati dinamitardi degli anarchici contro Napoleone III a condurlo nelle vie malfamate di Parigi. Una vita fatta di brevi alleanze e tradimenti, di travestimenti, così come si addice alla classica spia dell’epoca, di messe nere, di propaganda e poi, naturalmente, di complotti. C’è una grande opera a cui Simonini dedica tutta la vita e che interessa i servizi segreti di mezza Europa - russi, prussiani, francesi, ma anche cattolici e gesuiti - sono i Protocolli dei Savi di Sion, una serie di documenti - falsi e scritti di suo pugno - che attestano l’avvenuto incontro di dodici Rabbini a capo di tutte le comunità ebraiche nel cimitero di Praga. Una riunione segreta che avviene ogni cento anni e in cui gli ebrei complottano per rovesciare tutti i governi del mondo e conquistare il potere assoluto a spese dei popoli. In realtà il vero complotto è quello di Simonini, che mette insieme tutti gli scritti pubblicati nel corso dei secoli contro gli ebrei, insieme a un misto di paure infantili e leggende popolari, inventando uno dei falsi documenti più diffusi e pericolosi del mondo.Un romanzo sulla “paranoia del complotto”, secondo la definizione dello stesso autore, sulla convinzione più o meno giustificata di molti storici e intellettuali, che le grandi avventure dell’umanità, le rivoluzioni come le guerre, le crisi e le epidemie, siano sempre state dirette da un oscuro manipolo di menti superiori e forze occulte. Una suggestione affascinante che ha attecchito in ogni secolo e che Umberto Eco prova a scardinare scrivendo un romanzo epico supportato da una mole grandiosa di prove documentali.Complesso ma grandioso affresco storico,emozionante nella lettura e nelle informazioni che dona al lettore.

Serie tv


I Borgia è un vortice di intrighi, violenza, lussuria, politica, fede, incesti, tradimenti e redenzioni, una storia che lascia senza fiato, avvincente e seducente, proprio come la stagione in cui si svolge: un'epoca, quella rinascimentale, contraddistinta da una fervida rinascita culturale ma anche graffiata da scandali, nepotismo e libertinaggio. Popolata da personaggi ambigui che in questa serie vengono messi a nudo in tutta la loro spregiudicatezza. Volando di ogni respiro è Rodrigo Borgia, uomo di fede eppure libertino, capace di insinuare illegalità e depravazione persino dentro le austere e sacre mura vaticane.

La serie racconta l’ascesa, dall’elezione a Papa di Rodrigo col nome di Alessandro VI agli anni successivi, segnati da intrighi e cospirazioni ordite contro di lui dai confratelli cardinali e dai tanti potentati dell’epoca. Lui non rinunciò mai a combattere e cospirare per aumentare il prestigio del suo casato. Ricorse a sistemi leciti e illeciti per contrastare e scalzare ogni elemento che potesse ostacolare la sua corsa al potere.

La serie è curata nei minimi dettagli e tanta precisione è stata possibile grazie a un budget di 30 milioni di dollari, cifra tra le più alte mai impiegati per una produzione europea. Le imponenti ricostruzioni della Roma rinascimentale e del Vaticano mostrano scenografie e costumi che fanno rivivere sullo schermo i quadri e la pittura del tempo, mentre la storia apre squarci di luce su tutto il lato oscuro del Rinascimento. Non c'è nessuna remora nella sceneggiatura. Non ci si ferma neanche davanti agli scandali consumati nelle stanze della Santa Sede. I Borgia è una serie cruda e brutale e propria questa sua onestà storica e intellettuale la rende unica.

Cinema


Alle pendici di Monte Sole, sui colli appenninici vicini a Bologna, la comunità agraria locale vede i propri territori occupati dalle truppe naziste e molti giovani decidono di organizzarsi in una brigata partigiana. Per una delle più giovani abitanti del luogo, la piccola Martina, tutte quelle continue fughe dai bombardamenti e quegli scontri a fuoco sulle vallate hanno poca importanza. Da quando ha visto morire il fratello neonato fra le sue braccia, Martina ha smesso di parlare e vive unicamente nell'attesa che arrivi un nuovo fratellino. Il concepimento avviene in una mattina di dicembre del 1943, esattamente nove mesi prima che le SS diano inizio al rastrellamento di tutti gli abitanti della zona.
L'eccidio di Marzabotto è uno di quegli episodi che premono sulla grandezza della Storia per stringerla dentro alla dimensione del dolore del singolo. Per raccontare quella strage degli ultimi giorni del nazifascismo nella quale vennero uccisi circa 770 paesani radunati nelle case, nei cimiteri e sui sagrati delle chiese, Giorgio Diritti si affida a un proposito simile a quello del suo precedente Il vento fa il suo giro : partire dalla lingua del dialetto per raccontare una comunità e dal linguaggio del cinema per costruire un messaggio sull'identità culturale. Rispetto al lungometraggio d'esordio, L'uomo che verrà si confronta direttamente con la memoria storica e tende a ricostruire la storia del massacro in modo strategico ma senza risultare affettato, puntando sul lato emozionale ma mai ricattatorio della messa in scena. Non più il punto di vista di uno straniero che tenta di confondersi e integrarsi con quello di una comunità ostile, ma quello di un piccolo membro di una collettività, Martina, che si congiunge e si scambia con quello di tutte le vittime della strage. Per rendere questa idea, Diritti riscopre la fluidità delle immagini e, lontano dal facile realismo delle immagini sgranate girate con macchina a mano, costruisce scene a volte statiche e a volte in movimento, inquadrature fisse e piani sequenza, ma sempre modulati in funzione dei movimenti e delle emozioni della comunità rurale. La funzione patemica si concede un solo, brevissimo ralenti durante la scena dell'esecuzione, e delega il suo lavoro a delle semi-soggettive a lunga e media distanza dall'evento. La "visione con" di queste inquadrature diviene "con-divisione" di punti di vista e di emozioni sulla tragedia: dietro a quelle nuche che affiorano dai margini delle inquadrature fino ad occludere la visibilità degli scontri, c'è il progetto di una personificazione dello sguardo nella strage, l'idea che dietro ad ognuna di quelle morti ingiustificabili ci sia sempre un corpo e un punto di vista. Sguardi nella tragedia che si fanno sguardi sulla tragedia, per il modo in cui questo visibile parziale richiede il nostro coinvolgimento ottico ed emotivo. La distanza che fin dall'inizio pone l'antico dialetto bolognese si annulla così grazie alle scelte di messe in scena di Diritti, che elabora un modo di vedere la guerra dove non c'è bisogno di suddivisioni manichee o di una crudeltà pittoresca per comprendere da che parte stare. Per capire che i "partigiani" di oggi sono quelli che sanno collocare il proprio sguardo sul passato in prospettiva di un futuro pacifico di condivisione che ci riguarda tutti.

Poesie


SPERANZA




Speranza,
ragno nero del crepuscolo.
Ti fermi
non lontano dal mio corpo
abbandonato, ti aggiri
intorno a me,
intessendo, rapidamente,
invisibili fili inconsistenti,
ti avvicini, ostinata,
e mi accarezzi appena con la tua ombra
pesante
e lieve a un tempo.
Rintanata
sotto le pietre e sotto le ore,
hai atteso, paziente, l’arrivo
di questa sera
in cui più niente
è possibile…
Il mio cuore:
il tuo nido.
Mordilo, speranza.




Angel Gonzalez

Pensieri


Il giorno in cui voi non brucerete più d'amore, molti altri moriranno di freddo.






François Mauriac

Canzoni

Televisione


Michael Mosley rivela i rischiosi esperimenti psicologici, i trattamenti poco ortodossi e la neuroscienza all'avanguardia che hanno costituito i nostri tentativi di capire e manipolare il cervello.
Viaggio nella mente scopre come gli scienziati intendano comprendere le nostre emozioni. Seguiamo la storia scioccante degli esperimenti di John B Watson su un bambino di cinque mesi, e gli orribili test effettuati dallo psicologo Harry Harlow sui cuccioli di scimmia.
L'oscura storia del controllo mentale è esaminata in dettaglio, rivelando teorie e tecniche sviluppate per violare i pensieri altrui, alterare la memoria e addirittura i sistemi di credenze. Michael scopre il progetto della CIA che mirava al controllo della mente delle persone, gli esperimenti di deprivazione sensoriale degli anni '50 che potevano “rovinare una persona in 24 ore” e scopre come la scienza moderna ci obblighi a riflettere sull'idea di libero arbitrio.
Viaggio nella mente mostra gli straordinari e incredibili esperimenti che sono stati portati avanti, tutti in nome della scienza. Michael si sottopone ad alcuni test significativi e osserva a vari studi all'avanguardia che sfidano la concezione di noi stessi.Una interesantissima trasmissione su un ottimo canale documentaristico come BBC Knowledge.

Scienza


Santiago Ramón y Cajal (1 Maggio 1852 - 17 ottobre 1934)è stato un patologo , istologo , neuroscienziato e premio Nobel spagnolo . Le sue indagini pionieristiche della struttura microscopica del cervello furono originali: è considerato da molti il padre della moderna neuroscienza . E 'stato abile nel disegno, e centinaia di sue illustrazioni di cellule cerebrali sono ancora utilizzate per scopi didattici oggi.
Figlio di medico e docente di anatomia Justo Ramón e Cajal Antonia, Ramón y Cajal era nato aragonese,i genitori erano di Petilla de Aragón in Navarra , Spagna . Da bambino è stato trasferito tra molte scuole differenti a causa del suo comportamento e del suo atteggiamento anti-autoritario. Un esempio estremo della sua precocità e la ribellione è la sua prigionia all'età di undici anni per distruggere la porta della città con un cannone artigianale. Era un appassionato pittore, artista e ginnasta. Ha lavorato per un certo tempo come un calzolaio e barbiere, ed era ben noto per il suo atteggiamento battagliero.
Ramón y Cajal ha frequentato la scuola di medicina della Università di Saragozza , da cui si è laureato nel 1873. Dopo un concorso, ha lavorato come medico ufficiale nel l'esercito spagnolo . Ha preso parte a una spedizione a Cuba nel 1874-75, dove ha contratto la malaria e la tubercolosi . Dopo il ritorno in Spagna ha sposato Silveria Fañanás García nel 1879, con la quale ha avuto quattro figlie e tre figli. Nel 1877, ha conseguito la laurea in Medicina a Madrid. Ramon y Cajal è stato nominato professore della Universidad de Valencia nel 1881. In seguito ha tenuto cattedre sia Barcellona e Madrid. E' stato direttore del Museo di Saragozza (1879), direttore dell'Istituto Nazionale di Igiene (1899), e fondatore del Laboratorio de Investigaciones Biológicas (1922), in seguito ribattezzata l' Istituto Cajal , o Cajal Institute . Morì a Madrid nel 1934, all'età di 82 anni.

I Primi lavori Ramón y Cajal li compi' presso le Università di Saragozza e Valencia , dove si è concentrato sulla patologia di infiammazione , la microbiologia del colera , e la struttura delle cellule e dei tessuti epiteliali. E' stato fino al suo trasferimento presso l'Università di Barcellona nel 1887 dove ha imparato la preparazione del nitrato d'argento di Golgi e rivolse la sua attenzione al sistema nervoso centrale . Durante questo periodo ha fatto studi approfonditi di materiali neurali che coprono molte specie e le regioni più importanti del cervello.
Ramón y Cajal ha dato diversi importanti contributi alla neuroanatomia. Ha scoperto il cono di crescita assonale, e ha fornito la prova definitiva di ciò che in seguito sarebbe stato conosciuto come "teoria del neurone", dimostrando sperimentalmente che il rapporto tra le cellule nervose non era uno di continuità, ma piuttosto di contiguità. "Teoria del neurone" sta a fondamento delle moderne neuroscienze.
Ha fornito una descrizione dettagliata dei tipi di cellule associate a strutture nervose, e prodotto eccellenti rappresentazioni di strutture e la loro connettività.
Era un sostenitore dell'esistenza di spine, anche se non li riconosce come il luogo di contatto a partire da cellule presinaptiche. Era un sostenitore di polarizzazione della funzione delle cellule nervose e il suo studente Lorente de No avrebbe continuato lo studio di input / output dei sistemi di teoria cavo e alcune delle prime analisi del circuito di strutture neurali.
Nel dibattito delle teorie di reti neurali ( teoria del neurone , la teoria reticolare ) Ramón y Cajal era un feroce difensore della teoria del neurone .
Ha scoperto un nuovo tipo di cellula,che porta il suo nome: la cellula interstiziale di Cajal . Questo non è neuronale o gliale, ma una cella che è una via di mezzo, di vitale mediazione, neurotrasmissione da nervi intestinale liscia a cellule muscolari.
Nel suo libro del 1894 Lecture Croonian , ha suggerito in una metafora estesa che cellule cortico-piramidali possono diventare più elaborate con il tempo, come un albero cresce e estende i suoi rami. Ha anche dedicato una notevole parte del suo tempo allo studio dell'ipnosi (che ha usato per aiutare la moglie con la nascita del lavoro) e di fenomeni parapsicologici, ma un libro che aveva scritto su queste aree si è perso durante la Guerra civile spagnola.

Tra le sue molte distinzioni e appartenenze sociali, Ramón y Cajal è stato anche fatto dottore onorario di Medicina delle Università di Cambridge e di Würzburg e onorario Dottore in Filosofia della Università di Clark .
Ha pubblicato oltre 100 lavori scientifici e articoli in francese , spagnolo e tedesco . Tra le sue più notevoli pubblicazioni ci sono state le Regole e consigli sulla ricerca scientifica , Istologia , Degenerazione e rigenerazione del sistema nervoso , manuale di istologia normale e la tecnica micrografica , Elementi di istologia , manuale di generale Anatomia Patologica , Nuove idee sulla anatomia sottile dei centri nervosi , Libro di testo sul sistema nervoso dell'uomo e vertebrati , e la retina dei vertebrati .
Nel 1905, ha pubblicato cinque fantascientifiche "Storie vacanze" sotto lo pseudonimo di "dottor batteri." Nel 1906 è stato insignito del Premio Nobel per la Fisiologia e la Medicina insieme ad un uomo italiano di scienza, Golgi 'nel riconoscimento del loro lavoro sulla struttura del sistema nervoso'. Questo è stato visto come causa piuttosto controversa per il fatto che Golgi, era in disaccordo con Cajal sulla sua dottrina del neurone.

giovedì 10 novembre 2011

Cucina


TAGLIATELLE PAGLIA E FIENO AL FORNO



tempo: 35 minuti
Ingredienti e preparazione per 4 persone:

300 g tagliatelle paglia e fieno
1/2 cipolla tritata
50 g burro
1 cucchiaio olio extravergine di oliva
100 g prosciutto cotto tagliato a dadini
250 g pomodori pelati
100 g piselli lessati
100 g emmenthal tagliato a fette
sale

Fate lessare al dente in abbondante acqua salata le tagliatelle. Nel frattempo preparate il sugo: fate soffriggere la cipolla con l'olio e 30 g di burro; unitevi il prosciutto e salate. Quando il prosciutto sarà insaporito, aggiungetevi i pomodori passati, fate cuocere il sugo per 10 minuti circa, poi unitevi i piselli e terminate la cottura.
In una pirofila unta formate uno strato di pasta, distribuitevi quasi metà del sugo ed appoggiatevi alcune fette di emmenthal. Versate la rimanente pasta, coprite con il sugo, quindi con le rimanenti fette di emmenthal e fiocchetti di burro.
Fate gratinare in forno preriscaldato per 10 minuti circa prima di servire in tavola.

Cinema


Lawrence Talbot rientra in seno alla famiglia dopo una lunga assenza e in una notte di luna piena. Fuori dalla sua tenuta, una bestia affamata e famelica abita i boschi del villaggio, visita le notti dei puritani e ne strazia i corpi. Vittima della mostruosa creatura cade pure il fratello di Lawrence, sposato alla bella e mite Gwen, che chiede aiuto e trova conforto in lui. Per fermare l’orrore e fare chiarezza sulla vicenda viene ingaggiato un ispettore di Scotland Yard, Alberline. Durante una “battuta di caccia”, la bestia aggredisce e azzanna Lawrence riducendolo in fin di vita. Sopravvissuto al morso e fatalmente contagiato, il giovane Talbot si trasforma nelle notti di luna piena in un lupo, aggredendo e uccidendo gli abitanti del villaggio. Ricoverato in manicomio e poi fuggito, Lawrence verrà braccato da Alberline, deciso a porre fine ai suoi scempi. Gwen, perdutamente innamorata, tenterà invece di strapparlo alla licantropia con la forza dell’amore e dei suoi baci.
La più leggendaria e misteriosa fra tutte le creature della Universal è senza dubbio l’uomo lupo, nato nel 1941 dalla penna dello sceneggiatore Curt Siodmak e ispirato dalla mitologia e dal folclore. Privo di una fonte letteraria forte e della radicale alterità che caratterizzano il Dracula di Bram Stoker e la creatura di Frankenstein di Mary Shelley, l’uomo lupo non è un essere completamente altro e avulso dalla società umana, è piuttosto un uomo condannato dal Fato a una diversità intermittente, che lo colpisce nelle notti di luna piena.
Settant’anni e diverse variazioni sul tema dopo (Frankenstein contro l’uomo lupo, L’ululato, Un lupo mannaro americano a Londra), spetta a Joe Johnston rilanciare i licantropi, omaggiando la vecchia tradizione gotica e le gloriose produzioni “B” della Universal. Wolfman “restaura” make up e orrore, guardando alle versioni cinematografiche del romanzo “nero” ottocentesco, evidenziando una società che vieta l’esplicarsi delle forze inconsce e trasformando la tragedia greca del soggetto originale in tragedia shakespeariana. Al centro del film, si contendono scena, “trono” e fanciulla un padre e un figlio, un re e un principe, belve antropomorfe vittime della stesso male e della stessa inquietudine mostruosa.
Benicio del Toro, attore che interpreta un attore, è una sorta di Amleto, un eroe romantico sull’orlo del precipizio. Chiuso in se stesso e nella sua immobilità luttuosa (la morte dell’amata madre quando era soltanto un bambino), teme l’insorgere della passione che può trasformarlo in predatore omicida. Il suo personaggio, fondato sugli infiniti e ripetuti “essere o non essere”, offre un aggiornamento efficace del principe danese, in lotta questa volta contro un genitore tangibile. Il padre di Anthony Hopkins, specializzato a partire da Hannibal Lecter in sdoppiamenti della personalità, è un aguzzino invasato, trincerato nel suo segreto e deciso a contendere il potere al figlio, di cui ingabbia letteralmente la spontaneità individuale. La tenuta dei Talbot è il paradiso e insieme la prigione morbosa che inscena la duplicità psicologica del protagonista, il conflitto e la manifestazione del tarlo segreto (ed ereditario) che divora la luminosa corazza dell’eroe.
Eroso dall’interno, il giovane Lawrence crollerà sotto l’incendio delle passioni e rovinerà come la sua tenuta, sconfitto e spinto tra le braccia “del non essere” e dentro la sua prima notte di quiete.