mercoledì 30 giugno 2010
Poesie
C'è un sorriso d'amore
e un sorriso d'inganno
e c'è un sorriso di sorrisi
nel quale questi due sorrisi si incontrano.
C'è uno sguardo d'odio
e uno sguardo di disprezzo
e c'è uno sguardo fatto di questi sguardi
che tu ti sforzi di dimenticare invano.
Perchè a fondo nel profondo del cuore penetra
e affonda nel profondo delle ossa
e nessun sorriso che fu mai sorriso
ma solo quel sorriso solo
quello che dalla culla alla tomba
si può sorridere solo una volta
e quando è sorriso
ha fine ogni miseria
William Blake
Cinema
"Non si può costruire la propria felicità sulla sofferenza altrui".....Gabriel si imbatte per caso in Emilie in una cittadina della provincia francese dove lei si trova per lavoro solo per quel giorno.Nota la gentilezza ed affabilità di Gabriel e decide di ricompensarlo raccontandogli una storia vera,che riguarda due suoi amici parigini,Judith e Nicolas.I due sono amici dai tempi della scuole e pur avendo vite serene separate si ritrovano ogni sabato per raccontarsi i rispettivi accadimenti delle loro vite.judith è felicemente sposata con Claudio,un ricco e colto farmacista.Nicolas è un professore che trova ma perde il suo amore e cade in depressione.Cosi chiede alla sua amica del cuore di aiutarlo ad uscire fuori da quell'impasse emotivo e i due cominciano con il baciarsi,prendendolo più come una terapia che come un modo di esplicitare un sentimento che tra loro è solo di amicizia.Ma a lungo andare scoprono che i baci tra di loro sono migliori di quelli con i rispettivi partner,e dai baci poi passano al fare l'amore e ad un innamoramento sempre più profondo che sconvolge le loro vite.Judith per non lasciare il marito troppo sconvolto dalla sua decisione di lasciarlo decide di escogitare uno stratagemma per far si che lui si innamori di una altra donna,ma purtroppo mentre Claudio dovrebbe essere uscito di casa Judith telefona al suo amico-amante per concordare gli ultimi dettagli del piano e Claudio scopre orripilato l'amara verità.Vaga per giorni senza meta annientato dal dolore,va al lavoro assente,diventa un automa e infine decide di lasciare la Francia e ritornare in Italia,suo paese d'origine.A questo punto gabriel incuriosito le chiede cosa c'entri lei nella storia e lei gli confessa che è la nuova compagna di Claudio e che pur avendo passato una bella serata con lui sa già che non potrà mai spingersi oltre proprio per rispetto del suo compagno.Decidono insieme che si baceranno una sola volta come a ringraziarsi per lo scambio umano avuto e poi dimenticarsi per sempre."Non si può costruire la propria felicità sulla sofferenza altrui".....
martedì 29 giugno 2010
lunedì 28 giugno 2010
Poesie
L'avere (O haver)
Resta, al sommo di tutto, questa capacità di tenerezza
Questa perfetta intimità con il silenzio
Resta questa voce intima che chiede perdono di tutto:
- Pietà! perché essi non hanno colpa d'esser nati...
Resta quest'antico rispetto per la notte, questo parlar fioco
Questa mano che tasta prima di stringere, questo timore
Di ferire toccando, questa forte mano d'uomo
Piena di dolcezza verso tutto ciò che esiste.
Resta quest'immobilità, questa economia di gesti
Quest'inerzia ogni volta maggiore di fronte all'infinito
Questa balbuzie infantile di chi vuol esprimere l'inesprimibile
Questa irriducibile ricusa della poesia non vissuta.
Resta questa comunione con i suoni, questo sentimento
Di materia in riposo, questa angustia della simultaneità
Del tempo, questa lenta decomposizione poetica
In cerca d'una sola vita, una sola morte, un solo Vinícius.
Resta questo cuore che brucia come un cero
In una cattedrale in rovina, questa tristezza
Davanti al quotidiano; o quest'improvvisa allegria
Di sentir passi nella notte che si perdono senza memoria...
Resta questa voglia di piangere davanti alla bellezza
Questa collera di fronte all'ingiustizia e all'equivoco
Questa immensa pena di se stesso, questa immensa
Pena di se stesso e della sua forza inutile.
Resta questo sentimento dell'infanzia sventrato
Di piccole assurdità, questa sciocca capacità
Di rider per niente, questo ridicolo desiderio d'esser utile
E questo coraggio di compromettersi senza necessità.
Resta questa distrazione, questa disponibilità, questa vaghezza
Di chi sa che tutto è già stato come è nel tornar ad essere
E allo stesso tempo questa volontà di servire, questa contemporaneità
Con il domani di quelli che non ebbero ieri né oggi.
Resta questa incoercibile facoltà di sognare
Di trasformare la realtà, dentro questa incapacità
Di non accettarla se non come è, e quest'ampia visione
Degli avvenimenti, e questa impressionante
E non necessaria prescienza, e questa memoria anteriore
Di mondi inesistenti, e questo eroismo
Statico, e questa piccolissima luce indecifrabile
Cui i poeti a volte danno il nome di speranza.
Resta questo desiderio di sentirsi uguale a tutti
Di riflettersi in sguardi senza curiosità e senza storia
Resta questa povertà intrinseca, questa vanità
Di non voler essere principe se non del proprio regno.
Resta questo dialogo quotidiano con la morte, questa curiosità
Di fronte al momento a venire, quando, di fretta
Ella verrà a socchiudermi la porta come una vecchia amante
Senza sapere che è la mia ultima innamorata.
Vinicius de Moraes
Medicina alternativa
Facendo riferimento alla nostra tradizione primordiale, cioè la Tradizione biblica,l'Eubiotica considera l'uomo come un ecosistema, inserito in un equilibrio ecologico dell'ambiente.
Il concetto di salute dovrebbe quindi essere inteso in senso globale, o integrale, o olistico, come ora si preferisce definire, cioè salute del corpo, della mente e dello spirito, quell'entità metafìsica trascendente, che eleva l'uomo al di sopra degli ammali.
A chi volesse far notare, che l'aspetto esistenziale della vita non può essere considerato in una trattazione scientifica, si può replicare ricordando i risultati di una ricerca epidemiologica condotta dal marxismo attraverso 70 anni dì ateismo di stato su milioni di uomini, per più generazioni.
L'ipotesi di lavoro posta alla base di questa ricerca fu quella di verificare se l'uomo può eliminare la trascendenza dalla gestione della propria vita non soltanto senza danno, ma addirittura con benefìcio.
I dati epidemiologici ricavati da questa immensa casistica hanno dimostrato in modo inoppugnabile, l'esigenza per l'uomo di lasciare spazio nella vita, alla trascendenza e
alla religiosità, senza la quale insorge un incolmabile vuoto ulteriore, dal quale possono scaturire varie forme di somatizzazione.
Fatte queste premesse a carattere generale, è evidente che ogni fattore turbativo, che colpisca una della componenti dell'ecosistema umano potrà indurre, direttamente o indirettamente, un turbamento dell'equilibrio e quindi un danno per la salute.
IL RISCHIO PER LA SALUTE DEGLI ALIMENTI TRANGENICI
Sta ormai dilagando dagli Stati Uniti e poi diffondendosi in Europa la produzione e il consumo di alimenti transgenici, cioè geneticamente modificati, così da renderli resistenti a parassiti, diserbanti, o a basse temperature. Inoltre evitando l'ipermaturazione.
Le multinazionali nordamericane hanno ripetutamente affermato l'innoquità di questi alimenti, anche se è molto probabile, che i micrcorganismi ed insetti si modificheranno, così come è avvenuto di fronte ad antibiotici e fìtofarmaci. In questo caso l'uomo si troverà sprovveduto di fronte ad agenti patogeni nuovi, in quanto geneticamente modificati.
Questo evento, pur essendo molto probabile, può essere considerato ipotetico. Quello che invece è riconosciuto come rischio certo è che da questi alimenti transgenici ne possano derivare allergie e intolleranze.
E' noto, che l'umanità nella sua storia millenaria ha acquisito una assuefazione nei confronti dei geni e delle proteine dei vari alimenti con i quali è giunta a contatto.Questa assuefazione è stata memorizzata secondo un meccanismo analogo a quello della "memoria immunologica".
E' quindi evidente, che di fronte agli alimenti transgenici, aventi cioè geni e proteine diverse l'organismo dovrà raggiungere una assuefazione memorizzando la tolleranza.
In quelle persone nelle quali, per loro costituzione, questa assuefazione non si dovesse verifìcare, quell'alimento verrà considerato estraneo, suscitando intolleranza, allergia e quindi malassorbimento. E si verifìcherà ovviamente la memoria di questa intolleranza.LA COMPOSIZIONE DEL PASTO
Il piatto unico e le associazioni inopportune
Secondo la nostra antica tradizione i pasti principali dovrebbero essere costituiti da un monopiatto, cioè con un unico alimento di base, e cioè o il cosiddetto primo (pasta, riso, o minestre con verdure o legumi), o il cosiddetto secondo (carne , o pesce, o uova, o formaggio) con abbondante insalata mista come antipasto, contorno di verdura cotta e pane integrale a volontà. Possono essere consumati i cosiddetti piatti tipici, costituiti da un cereale di base, integrato con legumi e verdure, o piccole quantità di prodotti animali, come il formaggio parmigiano sulla pasta. I prodotti animali, oltre all'eventuale latte o yogurt assunti al mattino o a merenda, non andrebbero consumati più di una volta al giorno, cioè in uno dei due pasti principali. Andrebbe evitato il consumo di latte con la carne o il pesce, perché ne potrebbe derivare un rallentamento digestivo. Andrebbe inoltre evitato il consumo di frutta alla fine del pasto, tanto più se costituito da cereali e legumi, causa di possibile innesco di fatti fermentativi. A
colazione e a merenda andrebbe scelto, secondo il proprio gusto ed esigenza, tra latte, yogurt, thè, frutta, tost o pane con un companatico, cosi da far nascere o rinascere l'istinto di saper scegliere tra un alimento vegetale od animale, salato o dolce.
L'alimentazione Eubiotica è fattore di salvaguardia della salute, perché:
1) Non apporta sostanze dannose inquinanti, essendo correlata ad una agricoltura naturale eubiotica che esclude una concimazione innaturale e l'uso di pesticidi tossici e diserbanti. Analogamente vengono esclusi gli additivi chimici impiegati dalla
tecnologia alimentare.
2) Evita i danni da carenza e da squilibri tra le componenti, dovuti a tecnologia agronomica innaturale e a tecnologia di raffinazione e conservazione per sterilizzazione termica o radiante dell'industria alimentare, che pregiudicano l'integrità dei cibi naturali.
3) Evita i danni dei cibi concentrati o estrattivi (burro, zucchero, oli di oliva e semi raffinati, proteine strutturate della soia ottenuta dai pannelli di soia trattati con esano per l'estrazione dell'olio) che sono alimenti "nudi", in quanto privi di fattori protettivi e favorenti la loro digestione e assimilazione.
4) Garantisce l'apporto dei fattori vitali (vitamine, enzimi, oligoelementi) che, in forma equilibrata e con reciproca integrazione sono la caratteristica dei cibi integri e naturali e che, oltre a favorire la digestione e l'assimilazione, catalizzano e modulano i processi vitali, in particolare quelli relativi al trofismo e alle difese naturali.
5) Garantisce l'apporto dei microrganismi del saprofìtismo eubiotico dei cibi (con particolare riguardo a quelli della pruina dei vegetali: saccaromiceti e lattobacilli) che sinergizzano la crescita e il trofismo della nostra flora batterica, lieviti, lattobacilli, saccaromiceti e virus saprofiti, sui quali è fondato il nostro equilibrio simbiontico e del saprofìtismo eubiotico, fondamento della nostra difesa biologica, per competitivita contro i microrganismi patogeni e subpatogeni ambientali che, in carenza di queste difese, possono dare origine al fenomeno dei cosiddetti portatori sani (di salmonelle, meningococco, streptococco, beta emolitico, stafilococco - coagulasi positivo, serratia, pseudomonas, ecc...).
6) Affranca non solo da eccessi e carenze alimentari, ma anche dai danni di incongrue associazioni nel pasto, attuando il monopiatto, cioè il pasto fondato su un unico alimento di base che, dando sazietà con minor quantità di cibo, riduce anche l'insorgenza del sovrappeso.
7) Potenzia le difese naturali contro:
a) la patologia da raffreddamento (influenza, raffreddore, tonsillite);
b) la patologia scheletrica del bambino (carie, scoliosi, piede piatto)
e) la patologia della civilizzazione, a cominciare dal sovrappeso.
8) Potenzia le difese naturali contro l'attacco dei parassiti (pidocchi, zecche, Trichomonas vaginalis).
9) Affranca da una precoce insorgenza della riduzione della fertilità e dell'appetito sessuale che sta diventando un fenomeno sempre più frequente nelle coppie di 30-40 anni.
10) Favorisce il mantenimento dell'equilibrio inferiore psicosomatico e tra inconscio e razionale, cosi da saper meglio resistere agli stress, alle tensioni e alle frustrazioni, che sono la causa dilagante del malessere del tempo presente.
Pensieri
Una giornata di lavoro,pensieri,spesa,viaggio,stanchezza nelle gambe,eppure ore a telefono a parlarmi di noi,di progetti, di decisioni che non sono rinunce ma scelte d'amore.Ecco cosa mi dai tu,tutto questo,un universo sconfinato di pazienza,e attenzioni, e vita reale fatta di noi,capace di azzerare distanze,percorrere km. interi in tempi infinitesimali.Amore mio,se non dovessi provare a vincere le paure della mia libertà per te,per chi altro potrei farlo?.....
E'doloroso saperti al lavoro anche oggi,immaginate le cose pesanti che hai da fare,poi i bimbi,e poi sentirti comunque vicino a me con la mente,con gli sms,con la voce,sei affettuosissimo amore mio dolce,sensibile e io ti guardo come il mare ammira il sole che lo scalda.Mi manchi.....
Con i tuoi baci mi hai sussurrato infiniti segreti d'amore che ora le mie labbra custodiscono gelosamente per me e per te...
Ho capito tante cose in questa notte insonne di un sonno svogliato e infelice.Sei l'uomo che amo,che mi sta vicino,che voglio per la vita e non posso più permettere ai dubbi o alle incomprensioni di farmi arrivare a ferirti,a dire cose cattive e stupide che sono dolore gratuito e inutile.Io per te provo dolcezza,amore,voglia infinita di stringerti e coccolarti e viverti ed è questo che devo ricordare come l'unico insieme d'amore che voglio donarti....
Se negli ideogrammi fai scrivere "Amerò la mia scespirina dolce per tutte le mie vite e anche dopo" allora il tatuaggio può pure partirti dal collo e finire sui polpacci.Ti amo infinitamente,la mia anima è miope come i miei occhi a volte,ma il tuo cuore lo riconoscerebbe tra mille e mille altri.....
Con te voglio arrivare ai limiti dell'amore.Voglio sentire di poter rinunciare alla mia vita pur di far vivere a te la tua.Voglio essere la compagna a cui chiedere aiuto quando ne avrai bisogno.la donna che ti coccola e protegge.L'anima che ti comprende senza bisogno di parole.Il cuore che ama te più di sè stesso.Il tempo che rinuncia a sè per darsi a te.Voglio i confini oltre i quali c'è solo il nulla,perchè tutto l'amore possibile io posso darlo solo a te....
Vai oltre le parole che stuzzicano ingenue gelsie o paure.Io stesso abbraccio la solidità del mio amore per te perchè mi fa appartenere ad un uomo che merita ogni mio battito e respiro.Quando guardi una spiaggia cosa vedi?La totalità della sabbia o ogni singolo granello?Ecco per farti capire cosa provo ti dico che per me tutte le altre persone,uomini e donne,sono nella mia vita minuscole sfere di sabbia,tu sei l'immensità di ogni mare che le ingloba e racchiude tutte....
Ogni cosa di me vuole solamente te,mente,anima,cuore,anche il mio corpo prova piacere solo se pensa di immergersi nei brividi della tua carne e di immaginare tutti i modi in cui il tuo fuoco può domare il mio.Ti accompagno in ogni luogo,attimo ed incontro e ti amo ancora e ancora e ancora....
Sono una ladra che ha rubato l'unico tesoro al mondo di cui poteva desiderare il possesso e ne avrò cura più della mia vita....
Tu allontani da me ogni freddo,dal cuore con il tuo amore,dall'anima con la tua dolce presenza,la costanza dei sentimenti,la profondità dell'intesa e della conoscenza,dal corpo con il calore del tuo e la passione virilmente innamorata del tuo essere uomo.Ti adoro d'amore,amore mio....
domenica 27 giugno 2010
Libri
E' un libro prestatomi da un collega e che è veramente un punto di riferimento per chi,come me,sta sempre più facendo certe scelte alimentari in armonia con la filosofia di vita che persegue.In questo senso l'Eubiotica,nata quasi sessanta anni fa dal professor Pecchiai è una scienza da rivalutare e che si inserisce in quelle forme di medicina naturale che si agganciano alle millenarie medicine orientali e sfruttano quelle conoscenze anche per lo studio e l'assimilazione dei cibi più adatti per mantenere un corpo sano,longevo,e lontano da malattie.Vi è tutto un decalogo degli errori da evitare in termini di alimentazione,e come rendere più efficaci i controlli sui prodotti che andiamo a consumare.Davvero illuminante e si legge tutto d'un fiato.
Cinema
E' un film davvero bellissimo.Intenso.Intimista.Meravigliosamente girato e recitato.Tobey Maguire è un capitano dei marines in missione in Afghanistan.Ha una bella famiglia,due figlie che l'adorano,una moglie bellissima e che ama immensamente,una famiglia solida alle spalle.L'unica nota stonata è il fratello,interpretato da un eccellente Jake Gyllenhall,uscito di prigione e eterno spostato,senza tetto nè legge,parafrasando un famoso film francese.Tobey riparte in missione e qui viene abbattuto.Tutti lo danno per morto e cosi il fratello spostato si occupa della famiglia del fratello stando vicino alle figlie e alla moglie con la quale ha dei ricordi e in una sera si scambia un bacio.ma il capitano non è morto,è stato solo catturato e imprigionato dai talebani,che dopo mesi di torture lo costringono ad uccidere un altro marines per salvarsi la vita.Viene liberato in in un blitz e può ritornare a casa,ma l'idea che la moglie lo abbia tradito con il fratello e il peso dell'omicidio del suo amico soldato lo opprimono al punto una sera di uscire per strada con la pistola e minacciare tutti.Il suo equilibrio faticosamente in bilico cede sotto questi pesi e solo dopo una lunga riabilitazione clinica riuscirà a recuperare il rapporto con il fratello e con la moglie ritrovando la sua famiglia e soprattutto sè stesso.Eccezionale l'interpretazione di "Spiderman" in un ruolo difficilissimo e che richiedeva grandissime doti di attore.Colonna sonora stupenda degli U2.
Poesie
Tenerezza
Io ti chiedo perdono di amarti all'improvviso
Benché il mio amore sia una vecchia canzone alle tue orecchie,
Delle ore passate all'ombra dei tuoi gesti
Bevendo nella tua bocca il profumo dei sorrisi
Delle notti che vissi ninnato
Dalla grazia ineffabile dei tuoi passi eternamente in fuga
Porto la dolcezza di coloro che accettano malinconicamente.
E posso dirti che il grande affetto che ti lascio
Non porta l'esasperazione delle lacrime ne il fascino delle promesse
Ne le misteriose parole dei veli dell'anima...
È una calma, una dolcezza, un traboccare di carezze
E richiede solo che tu riposi quieta, molto quieta
E lasci che le mani ardenti della notte incontrino senza fatalità lo sguardo estatico dell'aurora.
Vinicius De Moraes
Cinema
E' un film per ragazzi molto carino.Visto con i miei figli che lo vedevano a bocca aperta,spesso ridendo delle situazioni.Un gruppo di ragazzi in vacanza si trova per caso a dover affrontare l'avanguardia di una invasione aliena sul nostro pianeta.grazie all'intelligenza e all'aiuto della tecnologia i ragazzi riusciranno a scongiurare questa minaccia utilizzando tutta la fantasia che i ragazzi possono trovare.Molti riferimenti ai videogiochi,alle consolle,ai modi di utilizzo,e per questo indicato a ragazzi avvezzi alle tecnologie.
Accadimenti
Trenta anni fa un aereo di linea civile spari misteriosamente dai circuiti radar dell'aeronautica.In pochi minuti si consumò una delle tragedie più cupe che la storia del nostro paese abbia dovuto affrontare.Tracciati radar spariti.vertici dell'aeronautica militare indagati.Commissioni parlamentari su commissioni per tentare di capire la verità senza risultati.A trenta anni di distanza si hanno tante certezze e poche verità.La certezza che quelle 81 povere persone morte quella maledetta sera si sono trovate per loro sfortuna nel posto sbagliato al momento sbagliato.Che l'aereo fu abbattuto da un missile militare.E che quasi sicuramente ci fu un tentativo da parte degli aerei NATO di abbattere l'aero privato sul quale viaggiava Gheddafi e che l'Itavia civile si trovò sciaguratamente nel mezzo di quella battaglia aerea.Si sa quasi anche con altrettanta certezza che furono i francesi ad abbattere l'aereo italiano e che furono gli stessi francesi ad insabbiare il ritrovamento dei reperti per rallentare le indagini.Uno scandalo e una vergogna perchè sicuramente negli alti vertici militari e politici la verità è nota.Solo i parenti delle vittime la stanno ancora cercando per dare una definitiva sepoltura ai loro cari morti ingiustamente quel tragico giorno.
sabato 26 giugno 2010
Pensieri
Chissà se pezzi delle nostre anime si sono incontrate e riconosciute,questa sera,sotto la luna piena rimasta sveglia e svelata ad ascoltarci.Era bellissima la tua voce,parole da confondere nell'aria buia tra gli astri a geometria delle costellazioni visibili.Sento forte di amarti,lungamente d'argento,come i riflessi della notte travestita da anticipo di alba su un mare che conosco.Buonanotte per te....
E' stato bellissimo stare abbracciati ed ascoltarti sussurrare le parole della canzone di baglioni l'altra sera,avrei voluto che non smettessi mai,eracosi dolce la tua voce.Tu cantavi, io nel cuore mio sentivo crescere l'amore....
Con il mio viso ed il mio sonno sul tuo cuscino a leggere l'amore dolcissimo in parole che mi mandi per accarezzare entrambi e io ti amo perdutamente sempre....
E' stato bellissimo ed emozionante quando mi hai chiesto cosa pensavo di te come padre....perchè oltre tutte le parole io sono immensamente felice quando mi addormento abbracciata stretta al tuo corpo e al tuo cuore.Mi manchi all'infinito...
Non si capisce mai tutto di qualcuno amore,come linee di confine e di trincea oltre le quali la conoscenza si ferma,si arrende badando solo all'evidenza.Seguirò il cuore anche io,con te arriverò a darti tutto perchè sento che in tante cose il mio tutto è già stato ed è tra le tue mani e nella tua vita....
Mi manchi da morire amore mio,grazie infinite per la conversazione di ieri sera anche se ora sarai cosi stanco,mi dispiace.Ti amo perdutamente nel cuore,nella luce tenue di questa nuova alba insieme,dentro un caldo giorno di giugno della tua bella città dalle tante lingue.Buongiorno al mio uomo dolcissimo....
Poesie
Ti amo
Le tue mani sono la mia carezza,
i miei accordi quotidiani
ti amo perché le tue mani
si adoperano per la giustizia
se ti amo è perché sei
il mio amore la mia complice e tutto
e per la strada fianco a fianco
siamo molto più di due
i tuoi occhi sono il mio esorcismo
contro la cattiva giornata
ti amo per il tuo sguardo
che osserva e semina il futuro
la tua bocca che è tua e mia
la tua bocca che non si sbaglia
ti amo perché la tua bocca
sa incitare alla rivolta
se ti amo è perché sei
il mio amore la mia complice e tutto
e per la strada fianco a fianco
siamo molto più di due
e per il tuo aspetto sincero
e il tuo passo vagabondo
e il tuo pianto per il mondo
perché sei popolo ti amo
e perché l'amore non è un'aureola
né l'ingenuo finale di una favola
e perché siamo una coppia
che sa di non essere sola
ti voglio nel mio paradiso
ossia quel paese
in cui la gente vive felice
anche senza permesso
se ti amo è perché sei
il mio amore la mia complice e tutto
e per la strada fianco a fianco
siamo molto più di due.
M. Benedetti
Cinema
E' un film molto ben fatto.La lotta tra il bene e il male è sempre stato uno dei temi più usati ed abusati al cinema,spesso con esiti catastrofici.In questo caso siamo in presenza di un ottimo prodotto,non al livello del visionario e metafisico Constantine o dell'oscuro Esorcista,ma sviluppato più che altro da un punto di vista psicologico.Narra la storia di una assistente sociale,interpretato dalla bravissima e bellissima Zellweger,che curando diversi casi di bambini picchiati si imbatte nella segnalazione del caso 39,vale a dire il caso di Lilith,una bambina che si trova in una strana famiglia e che dice di sentirsi in pericolo perchè i genitori vogliono ucciderla.Da li parte la corsa dell'assistente sociale per salvarla dai suoi genitori e prenderla con sè come affidataria fino a scoprire che la dolce Lilith in realtà causava le morti di tutte le persone con le quali veniva in contatto e che non poteva soggiogare.E' molto giocato sulla fiducia e comprensione nella prima parte,che poi si trasformano nella seconda parte in una lotta disperata per liberarsi del demone che alberga in Lilith nella bellissima sequenza finale.
venerdì 25 giugno 2010
Accadimenti
Poco tempo fa ebbi un incubo.Stranissimo per me che ne avrò avuti due in tutta la mia vita.Era cosi angosciante la sensazione che mi lasciò che decisi di delinearlo meglio nei suoi contorni,nelle sue sfumature,e cercare di capirne il senso,perchè mi aveva lasciato dentro,anche da sveglio,una sensazione cosi dolorosa.Cercai un libro che avevo sull'argomento ma non lo trovai.Sapevo avevndo libro molti classici sui sogni che il sogno è un simbolo di materiale inconscio,in genere rimosso a livello conscio e questo mi incuriosiva ancora di più e mi spingeva ad accelerare la mia ricerca.L'incubo era che io vedevo la mia macchina,una macchina nera e potente,non corrispondente alla mia nella realtà,che mi veniva rubata da un tizio pelato che poi scappava via senza che riuscissi a raggiungerlo.In sè sembra abbastanza banale,non tale da creare angoscia.trovai su un librettino la prima traccia della spiegazione.Macchina nera,appendice di sè,una parte di noi stessi simboleggiata da quell'oggetto.pensai alla mia rabbia inconscia,visto il tipo di auto,ma era da escludere,perchè mi arrabbio assai di rado e comunque nel periodo dell'incubo non mi era capitato.Poi durante una discussione avuta con il mio amore ecco l'illuminazione,il motivo del furto e il perchè dell'auto come simbolo.In quel preciso incubo l'auto simboleggiava il legame che ho con la donna che amo e la persona che me la stava rubando era una persona appartenente al suo passato.Ecco che l'immagine era chiara,la paura che il legame d'amore fosse rubato,portato via,spazzato in qualche modo,da una persona che rappresentava un legame profondo,d'anima,con la mia amata.La paura di perdere la persona che si ama è naturale,acuita dall'esperienza può diventare un mix terribile di ansia,sospetto,diffidenza.Il sogno è stato,secondo me,un segnale,un volermi dire "Fermati",stai sbagliando tutto,devi analizzare e superare dentro te questa paura in modo da trasformarla da punto di debolezza a desiderio di consapevolezza e di fiducia in me e nella persona che adoro.
Poesie
Tattica e strategia
La mia tattica è guardarti
imparare come sei
volerti come sei
la mia tattica è parlarti
costruire con parole
un ponte indistruttibile
la mia tattica è rimanere nel tuo ricordo
non so come
né so con quale pretesto
ma rimanere in te
la mia tattica è essere franco
e sapere che tu sei franca
e che non ci vendiamo simulacri
affinché tra i due
non ci sia teloni
né abissi
la mia strategia è
invece
molto più semplice
e più elementare
la mia strategia è
che un giorno qualsiasi
non so con che pretesto
finalmente abbia bisogno di me.
Mario Benedetti
Pensieri
E' proprio la forte passione dei baci che ci diamo sempre io e te ad imprimere reciprocamente,sulle mie labbra e le tue,l'amore dei nostri nomi e dei nostri cuori...e per me tu sei ogni giorno più indelebile....
Buongiorno amore dolce che la sera fai sempre tardi con me.Mi sono svegliata innamorata del tuo amore.Sono completamente tua,anche negli attimi del dubbio io so che il mio cuore è da te,è solo per te,non annoiarti del mio sentimento,fanne la forza,una certezza a cui ancorare la vita da percorrere....
Vorrei sempre la tua presenza nella mia vita,mi manchi da morire,amore....
La tua risata è la luce della mia vita.Ti amo infinitamente amore....
Da sveglia,nei sonni,nei sogni,nei dormiveglia che non finiscono mai come quello di adesso,i miei pensieri ti appartengono e te li consegna un sms raggio d'amore....
Stare abbracciati nel letto,mentre fuori c'erano pioggia e bora è stato dolcemente bellissimo...
Persa di te con ogni mio respiro.Ti amo da impazzire....
Grazie di questi giorni insieme amore mio,li porto tutti con me nei ricordi del cuore.Ti amo....
La tua bimba morbida e innamorata ti vorrebbe tanto qui vicino a lei adesso,nel contatto di corpi,respiri,cuori e sogni....
A volte è come un incanto di fiaba questa magia che c'è tra noi.Non farla finire amore,ti prego.Ora si,dormo un po' su di te e sciolgo sogni dolci nel tuo cuore....
giovedì 24 giugno 2010
Storia
Epicuro (letteralmente salvatore) nacque sull'isola di Samo, suo padre era un maestro di scuola e la madre una maga. Appassionato di filosofia sin da giovane, a quattordici anni lasciò l'isola per studiare con il platonico Panfilo e l'atomista Nausifane.
Nel 306, non pago dell'insegnamento altrui, aprì ad Atene la sua scuola filosofica in una casa con giardino, dove i seguaci vivevano in comunità (per questo vennero chiamati filosofi del giardino). Con Epicuro la filosofia si fa medicina dell'anima, terapia pratica, alla ricerca di una serenità d'animo che possa essere accessibile a tutti.
1. L'uomo liberato dal destino (e dagli dei)
Epicuro parte dall'atomismo di Democrito per spiegare in modo razionale l'evidente divenire della materia e delle cose. Ma l'incessante moto degli atomi che si dividono e si uniscono non è predefinito e necessario, bensì totalmente casuale.
In particolare non c'è nulla di predefinito e immutabile nell'universo, non esistono dei che abbiano assegnato all'uomo uno scopo preciso o un destino particolare, che giudichino l'uomo in ogni momento e gli assegnino castighi e ricompense (gli dei non si occupano del destino degli uomini poiché si godono indifferenti la loro beatitudine), l'uomo è solo con se stesso, è libero di indirizzare il proprio destino e non deve rendere conto della sua condizione a nessuna entità sovrastante o meccanismo precostituito.
Mentre per l'esistenzialismo moderno la libertà assoluta dell'uomo è fonte di vertigine (Kierkegaard) e l'inesistenza di ogni possibilità di intervento divino provoca nausea (Sartre), per Epicuro tale libertà sostanziale ed effettiva di fronte al destino e agli dei è vista positivamente, come un'opportunità, un occasione che libera l'uomo dal fardello di un destino imposto.
2. Felicità = assenza di dolore
Per Epicuro il bene supremo, il fine ultimo verso cui tende ogni uomo, è la felicità. L'uomo cerca naturalmente la felicità, il dolore è rifiutato istintivamente, la felicità, per la stessa ragione, è cercata e inseguita. Ma cos'è questa felicità, come si ottiene? Per Epicuro il bene è, innanzitutto, l'assenza nel male, la felicità è l'assenza del dolore: per raggiungere la pienezza del piacere occorre raggiungere l'aponia (=assenza del dolore fisico) e l'atarassia (=assenza del dolore spirituale).
Ma come può l'uomo raggiungere queste due condizioni necessarie alla sua felicità? Epicuro sostiene che se un dolore (fisico) è lieve, questi non può offuscare il piacere di vivere, se è acuto, dura poco e se acutissimo conduce presto alla morte. La stessa morte non è da temere in quanto va vista come separazione degli atomi del corpo, separazione che toglie quindi ogni sensibilità (la massima di Epicuro è finché noi esistiamo la morte non esiste, quando sopraggiunge la morte siamo noi a non esistere più).
Potrà ribattere qualcuno che la morte è da temere in quanto non permette la felicità. Epicuro risolve la questione affermando che la vera felicità (l'assenza del dolore) una volta raggiunta non può aumentare, è già completa in sé, è assoluta. La mancata eternità della vita non è nulla in confronto alla consapevolezza di un piacere assoluto. Una volta provato questo piacere non c'è nessuna ragione di doverlo ripetere in eterno in quanto esso è già compiuto in sé, non ulteriormente perfezionabile.
> Tetrafarmakon
3. La scala dei piaceri
Per raggiungere la felicità dello spirito occorre ritrovare il gusto per le cose vere. Epicuro propone una scala dei piaceri, alcuni naturali, altri del tutto accessori.
I piaceri naturali e necessari, ovvero quelli ai quali non si può rinunciare per ottenere la felicità, sono l'amicizia, la libertà, la consolazione e il conforto derivanti dall'uso del pensiero e della parola, un riparo, del cibo, dei vestiti
I piaceri naturali ma non del tutto necessari sono, ad esempio, una casa enorme, la servitù, i banchetti, le terme, l'abbondanza delle portate, il lusso e la ricercatezza. Epicuro riconosce il piacere che può derivare dalla comodità e dall'abbondanza, ma non per questo lo ritiene strettamente necessario alla felicità (si può essere felici anche solo possedendo lo stretto necessario)
I piaceri del tutto accessori, sono, ad esempio, la fama, il potere, la gloria. Un motto degli epicurei era vivi nascosto. Contrariamente agli stoici, che predicavano la partecipazione attiva alla vita pubblica, gli epicurei preferivano i piaceri individuali o, quantomeno, legati alla pratica della pura e semplice amicizia
Come si noterà, malgrado in epoca moderna il termine epicureo si riferisca ad un modello di vita improntato al lusso, alla ricchezza e ai piaceri fini a se stessi, Epicuro non predicava affatto l'eccesso ma, più ragionevolmente, la ricerca e il conforto del necessario.
4. Tre ingredienti per la felicità
L'amicizia. "Di tutti i beni che la saggezza procura per la completa felicità della vita il più grande di tutti è l'acquisto dell'amicizia." Epicuro teneva in gran conto la vera amicizia. Il vero amico è colui che ci ama e ci rispetta per ciò che siamo e non per ciò che possediamo. Tra veri amici si crea intimità, si condividono malinconie, ci si conforta. L'amicizia è in grado di darci sicurezza nella misura in cui ci sentiamo compresi e accettati
La libertà. La libertà che intendeva Epicuro era sia fisica che mentale. L'uomo libero è già un passo verso la felicità. L'uomo libero dalle opinioni altrui lo è ancora di più. Sfidando il pensiero comune, Epicuro e i suoi seguaci vissero in una grande casa priva di lusso e di decori, tuttavia coltivavano ciò di cui avevano bisogno per mangiare, e, cosa più importante, mangiavano assieme. "...dilaniare carni senza la compagnia di un amico è vita da leone e da lupo". Cercando la vera felicità ci si accorge come le azioni dei più non tendano tanto al piacere vero quanto all'emulazione di una felicità goduta da altri o accettata sulla fiducia
Il pensiero, la parola e la scrittura consolatoria. La comunità epicurea era, dirlo è superfluo, votata alla discussione dei problemi e alla riflessione. Molti degli amici di Epicuro erano scrittori e poeti. Epicuro amava discutere ed esaminare le proprie ansie legate al possesso del denaro, alle preoccupazioni legate salute, alla morte e all'aldilà. Discutere razionalmente della morte avrebbe aiutato, secondo il filosofo, ad alleviarne la paura
"Ciò che presente non ci turba, stoltamente ci addolora quanto è atteso". Questa frase riassume bene tutta la filosofia di Epicuro: la vita è pratica della felicità, conviene poco pensare a ciò che non è alla nostra portata se questo implica la rovina della nostra serenità presente. L'analisi lucida delle ansie e delle paure, sia per mezzo della discussione che della scrittura, se non è il rimedio è tuttavia una consolazione, cosa che, a fini pratici, è tutta altro che da sottovalutare.
5. La natura finita della felicità
Idea centrale di tutta la filosofia di Epicuro, come già accennato, è la convinzione che la felicità, per tanto che sia arricchita dal lusso, dalla denaro e dalle comodità, giunta ad un certo punto non sia ulteriormente aumentabile.
Possedere oggetti, auto, fama, servitù, notorietà, ossia tutta la gamma presente, passata e futura del non strettamente necessario, nella pratica non permetterà l'aumento esponenziale del grado di felicità. Per questo, una volta definita e raggiunta la vera felicità nulla ci impedirà di essere realmente appagati e in perfetta armonia con noi stessi e con gli altri.
Pensieri
Un lento idillio di stelle e luci a far da cornice ad una notte tempestata di desolazione.
La cara sensazione di solitudine, accompagnata da quel vago sapore di alcool.
Anestetizzata la mente, è l'anima ad urlare ciò che il cuore cela. Ricolmo di amore dal retrogusto di rabbia...
La verità è una. Ognuno di noi è solo un guscio che protegge le stesse cose: fragilità, paure e sofferenze.
mercoledì 23 giugno 2010
Cinema
E' un film controverso,per me.Tra tutti i film di Amenabar,che adoro,è il più ambizioso ma forse il meno riuscito.Narra la storia di Ipazia,figura realmente esistita,custode della biblioteca di Alessandria,che vede distrutta a causa della fortissima repressione dei cristiani a danno dei pagani.In effetti è proprio questo secondo me il difetto del film,mettere in secondo piano la figura di Ipazia,interpretata dalla splendida e dolcemente materna Rachel Weisz,per far risaltare questa sanguinosa repressione dei pagani.Lìamore del discepolo di Ipazia che sarà poi il suo uccisore nella sequenza finale è molto bella e girata benissimo,ma la sceneggiatura non è calibrata come di solito succede nei film di questo eccellente regista.Comunque da rivedere.
Accadimenti
Sandokan pentiti, il tuo potere è finito
di ROBERTO SAVIANO
ORA che ti hanno arrestato anche il primo figlio, è giunto il tempo di collaborare con la giustizia, Francesco Schiavone. Sandokan ti chiama ormai la stampa, Cicciò o' barbone i paesani, Schiavone Francesco di Nicola, ti presentano i tuoi avvocati. E Nicola, come tuo padre, hai chiamato tuo figlio a cui hai dato lo stesso destino. Destino di killer. Accusato di aver ucciso tre persone, tre affiliati che avevano deciso di passare con l'altra famiglia, con i Bidognetti. Nessuno si sente sicuro nella tua famiglia, il tuo gruppo ormai non dà sicurezza. Non ti resta che pentirti. Questa mia lettera si apre così, non può iniziare diversamente, non può cominciare con un "caro". Perché caro non mi sei per nulla. Neanche riesco a porgertelo per formale cortesia, perché la cortesia rischia già di divenire una concessione che va oltre la forma. Scrivendo non userò né il "voi" che considereresti doveroso e di rispetto, né il "lei". Chi usa il "lei", lo so bene, per voi camorristi si difende dietro una forma perché non ha sostanza. Allora userò il tu, perché è soltanto a tu per tu che posso parlarti.
Sei in galera da più di dieci anni. Prima ti eri rinchiuso a Casal di Principe in una casa bunker sotterranea. È lì che ti hanno scovato e arrestato. Oggi hanno catturato tuo figlio in un buco analogo, solo più piccolo: stesso luogo, stessi arredi, simboli di un potere sterile - il televisore a cristalli liquidi - , divenuti più dozzinali con il trascorrere degli anni.
Persino stessa passione per la pittura. Cos'hai pensato quando hai saputo che l'hanno stanato, quando ti hanno riferito che a guidare il blitz identico a quello che ha portato alla tua cattura c'era lo stesso uomo, Guido Longo, allora capo della Dia napoletana, oggi questore di Caserta? Cosa hai pensato quando hai visto l'antimafia di Napoli diretta dal Pm Cafiero de Raho combattere ancora lì, non indebolita nonostante le mille difficoltà? Che sensazione ti ha generato scoprire che "Nic'ò barbone" si è arreso con il tuo stesso gesto, l'identico modo di alzare le mani, quasi si trattasse di un tuo clone, non di tuo figlio? Cosa provi ora che la moglie di Nicola subirà le stesse pene che ha subito tua moglie? I tuoi nipoti vivranno come i tuoi figli senza padre, con i soldi mensili versati da qualche tuo vicario e il destino da camorrista già scritto perché intorno tutti vogliono così, perché tu vuoi così. Cosa provi? È a questo che è valsa la tua scalata alla testa dell'organizzazione, con tutti gli ordini di morte che hai impartito, con tutti gli uomini un tempo tuoi sodali che hai ucciso addirittura letteralmente con le tue stesse mani?
Ogni tuo amico ti è divenuto nemico, hai fatto ammazzare Vincenzo De Falco con cui eri cresciuto, hai fatto ammazzare i parenti di Antonio Bardellino, l'uomo che ti aveva dato fiducia, potere e persino amicizia. Vi tradite l'un l'altro e sapete dal primo momento che questo accadrà anche a voi stessi. Perché questa è la vostra vita, uccidere i vostri più cari amici, distruggere coloro con cui siete cresciuti per non essere distrutti. E sarete distrutti da coloro che oggi vi sono amici, che oggi stanno crescendo nei vostri affari. Come ti sei sentito Francesco Schiavone Sandokan quando in una relazione che hai fatto consegnare ai tuoi legali affermi di vedere fantasmi che ti vengono a trovare nella tua cella? Come ti senti quando piangi, quando ti senti impazzire, quando fai il finto pazzo pur di uscire dalla galera? Quando vieni a sapere che l'altro tuo figlio, Emanuele, è stato arrestato come un qualunque tossico che vende hashish per avere soldi? Lui figlio del capo dell'impero del cemento che si fa beccare come un tossico qualsiasi? Quando il tuo ordine era quello di non far spacciare in paese e invece tuo figlio finisce per farlo a Rimini, come ti senti? L'unica speranza che hai è quella di pentirti, non devi continuare a indossare la maschera della tigre feroce, mentre sei diventato un gatto rinchiuso e castrato.
Castrato come Francesco Bidognetti, tuo alleato e allo stesso tempo rivale, ormai sull'orlo del pentimento, che deve per forza mantenere la pace con uomini che gli hanno ucciso parenti e alleati. Che deve vedere le sue donne tradirlo una alla volta. Un uomo che del comando ormai conserva soltanto il ricordo. Oggi ha difficoltà a mantenere il suo gruppo, i sequestri di beni e gli arresti lo stanno divorando. Eppure i tuoi uomini, quelli che tuo figlio avrebbe ucciso, erano disposti a passare con lui pur di non stare sotto il comando del tuo erede. Hai sempre saputo quale fosse il tuo destino. Fatturate miliardi di euro all'anno, il patrimonio del tuo clan è simile a quello di una manovra finanziaria, ma il vostro non è un destino da uomini. È solo un destino da criminali, coloro che si credono re e si ritrovano prigionieri. Con il wc accanto al tavolo dove mangiate, con un secondino che vi ispeziona, con i vostri figli che hanno vergogna di dire chi siete, e un vetro che vi impedisce di toccare finanche le mani delle vostre mogli.
Come sopporti questa ripetizione di un copione che tu stesso hai scritto sulla pelle della tua discendenza, che a sua volta doveva inciderla nella carne altrui? Sei fiero che il tuo primogenito rischi di finire i suoi giorni in carcere? Costretti a vivere come topi. Per mesi, anni. Condannati, già prima di ogni sentenza, a nascondervi, a mentire, a camuffarvi, a pagare uomini dello Stato per aiutarvi, a comprare politici per difendervi, a mercanteggiare promesse e favori in cambio di protezione e sotterfugi. Ma anche a costringere dei poveri vostri compaesani ad accogliervi sotto minacce, mentre alle vostre famiglie tocca farsi svegliare dalla polizia nel cuore della notte o farsi pedinare per giorni e giorni. È questa la sostanza del vostro impero. Hai avuto e hai ancora molti politici in pugno, condizioni gli appalti di molta parte di questo Paese. Proprio perché stai in galera e porti il peso del tuo potere, ti consideri migliore rispetto a imprenditori e parlamentari vicini che valuti codardi. Eppure di questa superiorità cosa ti rimane? Loro stanno fuori e tu sei dentro. Perché continua a difenderli il tuo silenzio? Cosa mai potrà compensare il tuo ergastolo e la distruzione continua della tua famiglia? Non lo vedi? Francesco Schiavone, che cos'hai ottenuto? L'ergastolo e un futuro sepolto in galera. Non hai più alcuna speranza di uscirne fuori finché sei vivo. E allora, che cosa pensi, che ragioni ti dai della tua vita?
Credo, in realtà, di sapere a cosa stai pensando. Che adesso gli affari fuori sono buoni. La crisi economica aumenta il business del clan la tua galera passa in secondo piano. Pensi che hanno anche promulgato leggi favorevoli. La legge sulle intercettazioni sarà d'ora in avanti il vostro scudo, con questa legge non avrebbero mai potuto arrestare tuo figlio, la legge sul processo breve potrà tornarvi utile. Avete politici alleati nei posti chiave, e (se verrà confermato quanto dichiarano le accuse dell'antimafia di Napoli) il sottosegretario allo sviluppo Nicola Cosentino è in diretto rapporto con la tua famiglia. Non perché tuo parente ma perché in affari con te. Quindi pensi di avere un ministero importante dove passano soldi e favori nelle tue mani.
Ma tu sei e rimani in galera però. Ricordi quello che ha detto Domenico Bidognetti su Nicola Ferraro quando si è pentito? L'ha accusato non perché anche Nicola Ferraro sia tuo parente, ma per gli affari che fa con te e tramite te. Ricordi? Dovresti saperlo. Lui ha dichiarato che "Nicola Ferraro prelevava i rifiuti speciali delle officine meccaniche, anzi fingeva di prelevare i rifiuti ma in realtà faceva delle false certificazioni e venivano smaltiti illegalmente". Lui leader casertano dell'Udeur molto legato a Clemente Mastella è stato arrestato nella retata che azzerò il partito. "Era un imprenditore molto vicino al clan dei casalesi. Prima era più vicino alla famiglia Schiavone, poi deve essersi avvicinato a Antonio Iovine". E poi - continua Domenico Bidognetti che conosci bene e tu stesso l'hai in qualche modo allevato - "a testimonianza dei buoni rapporti fra il Ferraro ed il clan, un anno fa Cicciariello (Francesco Schiavone, cugino omonimo di Sandokan n. d. r.) mi disse che voleva mandare a dire a Ferraro di intercedere presso il suo 'comparè Clemente Mastella Ministro della Giustizia, per fare revocare, un po' per volta, i 41 bis applicati a noi casalesi. Non so dire se poi Cicciariello attuò questo proposito".
Ecco prima o poi, supponi, qualche politico amico attenuerà la tua pena e tornerai come quando eri giovane a vivere in carcere come in un hotel. Se non toccherà a te stesso, magari a Nicola, tuo figlio. Ti è stato consentito di incontrare un boss di Cosa Nostra, Giuseppe Graviano, mandante dell'uccisione di Don Puglisi, responsabile della morte di Falcone e Borsellino e delle stragi che nel '93 colpirono Firenze, Milano e Roma. Chissà cosa vi siete detti nei vostri colloqui durante l'ora d'aria al carcere di Opera, dove entrambi scontate il regime del 41 bis? Avete stretto alleanze, avete escogitato nuove strategie? Avete messo a punto degli strumenti per rivalervi su coloro che vi hanno punito, nel caso non fossero disposti a venire a patti? Avete vagheggiato di avere in mano, pur dal cortile di un carcere di massima sicurezza, il destino dell'Italia? Pensate che il vostro silenzio o una vostra mezza parola possa delegittimare i vertici del potere politico? Mettergli paura? Ingenuità, Schiavone. Non ti rendi conto che siete divenuti burattini pensando di essere burattinai. Ma non vedi quello che sta accadendo?
Ciclicamente appoggiate politici che vi fanno promesse, vi usano per ottenere ciò che gli torna utile, vi scaricano quando non servite più, quando intravedono delle alternative. Perché in questo Paese in cui il potere è sempre in mano a pochi e soliti, i soli di cui è certo che verranno prima o poi rimpiazzati da qualche rivale emergente siete voi.
La camorra è potente ma la sua forza si basa sul fatto che i camorristi continuamente cambiano, sono interscambiabili. I cimiteri sono pieni di camorristi indispensabili. Non stai vedendo che stanno eliminando il tuo gruppo? E quello di Bidognetti? E i fedeli Iovine e Zagaria? I due latitanti? Ancora liberi. Liberi di fare affari, di dirigerli. I tuoi reggenti diventati re nei fatti, perché non esiste nessuna incoronazione, mentre le detronizzazioni, quelle esistono, e prima o poi vengono scritte con il sangue, se non quello del sovrano decaduto, almeno quello dei suoi ultimi fedeli. È questo ciò che ti attende e lo sai. Loro ti tradiranno (se non lo stanno già facendo) proprio come tu hai tradito Antonio Bardellino e Mario Iovine.
Quattro anni fa feci un invito nella piazza di Casal di Principe. Lo feci alle persone, soprattutto ai ragazzi che erano lì presenti. Li invitai a cacciarvi dai nostri paesi, a disconoscervi la cittadinanza, a togliere il saluto alle vostre famiglie. "Michele Zagaria, Antonio Iovine, Francesco Schiavone, non valete niente". Urlai con lo stomaco e con la volontà di dimostrare che si potevano fare i vostri nomi, in quella piazza. Che non succede proprio nulla se si fanno. Che non sono impronunciabili, neanche quando si chiede non a una, due, o cinque persone, ma a molte, moltissime, di denunciarvi, di spingervi ad andarvene da Casal di Principe, San Cipriano d'Aversa, Casapesenna. A liberare queste terre. Tuo padre mi ha definito un buffone, non è l'unico a pensarla così. Tu stesso hai fatto scrivere dai tuoi avvocati che racconto menzogne. Sulle pareti di Casal di Principe mai è apparso un insulto a te, neanche dopo la strage di Casapesenna che avevi ordinato. Invece decine e decine le scritte contro di me, e appena si pronuncia il mio nome, i giovani delle mie zone mi riempiono di insulti. E quando vedono i tuoi figli, cosa fanno? Che cosa rappresentano questi ragazzi senza madre, senza padre, con gli occhi delle polizie sempre puntati addosso? Ti credi un uomo a far vivere così i tuoi figli? Tua moglie in prigione, i figli mollati ai parenti. È da uomo di onore, questo? Da uomo di rispetto?
Non è un uomo una persona che fa vivere così la propria famiglia. Questo lo sai nel profondo di te stesso. Una vecchia espressione napoletana identifica con un'espressione molto efficace un potere fatto solo di sbruffoneria: "guappi di cartone". Voi la usate per definire un uomo che parla e poi non agisce e ha paura. Io la uso per mostrare quanto sia codardo il vostro potere di morte, corrotto il vostro business, e che il vostro silenzio difende tutti quei colletti bianchi, imprenditori, editori, commercialisti, onorevoli, ingegneri che lavorando per voi pensando soltanto di lavorare per delle imprese di cui non vogliono conoscere l'origine. Guappo di cartone sei perché ordini esecuzioni di persone disarmate, fai sparare alle spalle a innocenti. Guappo di cartone perché temi ogni mossa che possa compromettere le tue entrate di danaro, perché sei disposto a perdere faccia e dignità per un versamento in euro. Guappo di cartone che costringi al silenzio della paura tutti i tuoi paesani se vogliono lavorare nelle tue imprese. Guappo di cartone perché non fai crescere nessuna impresa che con te e con i tuoi non faccia affari. Guappo di cartone perché avveleni la terra dove i tuoi avi avevano piantato le pesche, i meli, e ora la terra avvelenata non produce nulla se non cancro.
Può sembrarti assurdo ma siccome nessuno te lo chiede, te lo ripeto io un'altra volta. Collabora con la giustizia. Prima che tutti i tuoi figli finiscano in galera o ammazzati. Prima che le tue figlie siano costrette a matrimoni combinati per farti ancora contare qualcosa, prima che i tuoi nipoti debbano tutti legarsi attraverso matrimoni agli imprenditori locali per cercare di controllarli, sempre, ovunque, in ogni momento. Invita a pentirsi anche tuo fratello Walter. Fuori dal carcere si sentiva il protagonista di Scarface. Non c'era assessore, sindaco, segretario di partito o imprenditore che non volesse fare patti e affari con lui. E ora? Ora in galera lo divora una malattia, ha perso un figlio, è divenuto uno scheletro che cammina e implora ai giudici clemenza, lui che non l'ha mai data alla sua terra e ai suoi nemici. Per cosa taci ancora? Pensi che ti renda onore tutto questo? Pensi che ti rispettino coloro che il tuo silenzio difende? Tutti coloro che avete reso potenti, sensali con la coscienza pulita perché non sparavano, ma costruivano, smaltivano, votavano, governavano. Tutti questi non sono lì con voi. E andranno con chi comanda. Ieri eravate voi oggi sono altri, e domani altri ancora. Loro saranno amici di chi conta. Come sempre. E voi morirete in carcere.
Tu cosa vuoi, Francesco Schiavone? La tua morte? Rimpiangi di non essere finito ammazzato? Come tuo nipote Mario Schiavone "Menelik"? Facesti uccidere per vendicare la sua morte un carabiniere innocente Salvatore Nuvoletta, aveva vent'anni quando il clan dei casalesi chiese la sua testa, non fu lui ad uccidere in un conflitto a fuoco tuo nipote. E l'hai fatto ammazzare lo stesso. Tu e i tuoi uomini. Uccidendolo mentre era disarmato, mentre giocava con un bambino. Questo è onore?
Io sono cresciuto in terra di camorra e so come ragioni. Consideri smidollato chi ha paura di morire, chi ha paura del carcere. Sai che se vuoi davvero comandare sulla vita delle persone, devi pagarlo questo potere. Tu e i tuoi amici vincete perché sapete sacrificarvi mentre i politici e gli imprenditori di questo paese non sanno farlo. Quante volte ho sentito pronunciare queste parole dai miei conterranei. Ma non per tutti è così.
Prima o poi vi schiacceranno. Prima o poi tutti i vostri affari, il vostro cemento, i vostri voti, i vostri rifiuti tossici, tutto questo sarà destinato a finire. Non è la volontà che muta il destino delle cose, e tu, Schiavone, non sei che l'ennesimo di una catena infinita. Ma forse potresti fare un gesto, una scelta che compensi almeno in parte tutto quanto hai fatto. Mostra tutto. Sollevati dal tuo potere, dal potere dei tuoi affari, sottosegretari, sindaci, presidenti di provincia, sollevati dai veleni, dai morti, dalle dannate famiglie che credono di disporre di cose, persone, e animali come sovrani. Collabora con la giustizia, Schiavone. Invita a consegnarsi Antonio Iovine e Michele Zagaria. Sarebbe un gesto che ridarebbe a te e ai tuoi dignità di uomini. Provate ad essere uomini e non utili bestie feroci da business e accordi. Collabora con la giustizia, mostra che sei ancora un essere umano e non solo un agglomerato di cellule capace solo con rancore e avidità di strisciare di covo in covo, o di cella in cella.
©2010 Roberto Saviano
(16 giugno 2010)
di ROBERTO SAVIANO
ORA che ti hanno arrestato anche il primo figlio, è giunto il tempo di collaborare con la giustizia, Francesco Schiavone. Sandokan ti chiama ormai la stampa, Cicciò o' barbone i paesani, Schiavone Francesco di Nicola, ti presentano i tuoi avvocati. E Nicola, come tuo padre, hai chiamato tuo figlio a cui hai dato lo stesso destino. Destino di killer. Accusato di aver ucciso tre persone, tre affiliati che avevano deciso di passare con l'altra famiglia, con i Bidognetti. Nessuno si sente sicuro nella tua famiglia, il tuo gruppo ormai non dà sicurezza. Non ti resta che pentirti. Questa mia lettera si apre così, non può iniziare diversamente, non può cominciare con un "caro". Perché caro non mi sei per nulla. Neanche riesco a porgertelo per formale cortesia, perché la cortesia rischia già di divenire una concessione che va oltre la forma. Scrivendo non userò né il "voi" che considereresti doveroso e di rispetto, né il "lei". Chi usa il "lei", lo so bene, per voi camorristi si difende dietro una forma perché non ha sostanza. Allora userò il tu, perché è soltanto a tu per tu che posso parlarti.
Sei in galera da più di dieci anni. Prima ti eri rinchiuso a Casal di Principe in una casa bunker sotterranea. È lì che ti hanno scovato e arrestato. Oggi hanno catturato tuo figlio in un buco analogo, solo più piccolo: stesso luogo, stessi arredi, simboli di un potere sterile - il televisore a cristalli liquidi - , divenuti più dozzinali con il trascorrere degli anni.
Persino stessa passione per la pittura. Cos'hai pensato quando hai saputo che l'hanno stanato, quando ti hanno riferito che a guidare il blitz identico a quello che ha portato alla tua cattura c'era lo stesso uomo, Guido Longo, allora capo della Dia napoletana, oggi questore di Caserta? Cosa hai pensato quando hai visto l'antimafia di Napoli diretta dal Pm Cafiero de Raho combattere ancora lì, non indebolita nonostante le mille difficoltà? Che sensazione ti ha generato scoprire che "Nic'ò barbone" si è arreso con il tuo stesso gesto, l'identico modo di alzare le mani, quasi si trattasse di un tuo clone, non di tuo figlio? Cosa provi ora che la moglie di Nicola subirà le stesse pene che ha subito tua moglie? I tuoi nipoti vivranno come i tuoi figli senza padre, con i soldi mensili versati da qualche tuo vicario e il destino da camorrista già scritto perché intorno tutti vogliono così, perché tu vuoi così. Cosa provi? È a questo che è valsa la tua scalata alla testa dell'organizzazione, con tutti gli ordini di morte che hai impartito, con tutti gli uomini un tempo tuoi sodali che hai ucciso addirittura letteralmente con le tue stesse mani?
Ogni tuo amico ti è divenuto nemico, hai fatto ammazzare Vincenzo De Falco con cui eri cresciuto, hai fatto ammazzare i parenti di Antonio Bardellino, l'uomo che ti aveva dato fiducia, potere e persino amicizia. Vi tradite l'un l'altro e sapete dal primo momento che questo accadrà anche a voi stessi. Perché questa è la vostra vita, uccidere i vostri più cari amici, distruggere coloro con cui siete cresciuti per non essere distrutti. E sarete distrutti da coloro che oggi vi sono amici, che oggi stanno crescendo nei vostri affari. Come ti sei sentito Francesco Schiavone Sandokan quando in una relazione che hai fatto consegnare ai tuoi legali affermi di vedere fantasmi che ti vengono a trovare nella tua cella? Come ti senti quando piangi, quando ti senti impazzire, quando fai il finto pazzo pur di uscire dalla galera? Quando vieni a sapere che l'altro tuo figlio, Emanuele, è stato arrestato come un qualunque tossico che vende hashish per avere soldi? Lui figlio del capo dell'impero del cemento che si fa beccare come un tossico qualsiasi? Quando il tuo ordine era quello di non far spacciare in paese e invece tuo figlio finisce per farlo a Rimini, come ti senti? L'unica speranza che hai è quella di pentirti, non devi continuare a indossare la maschera della tigre feroce, mentre sei diventato un gatto rinchiuso e castrato.
Castrato come Francesco Bidognetti, tuo alleato e allo stesso tempo rivale, ormai sull'orlo del pentimento, che deve per forza mantenere la pace con uomini che gli hanno ucciso parenti e alleati. Che deve vedere le sue donne tradirlo una alla volta. Un uomo che del comando ormai conserva soltanto il ricordo. Oggi ha difficoltà a mantenere il suo gruppo, i sequestri di beni e gli arresti lo stanno divorando. Eppure i tuoi uomini, quelli che tuo figlio avrebbe ucciso, erano disposti a passare con lui pur di non stare sotto il comando del tuo erede. Hai sempre saputo quale fosse il tuo destino. Fatturate miliardi di euro all'anno, il patrimonio del tuo clan è simile a quello di una manovra finanziaria, ma il vostro non è un destino da uomini. È solo un destino da criminali, coloro che si credono re e si ritrovano prigionieri. Con il wc accanto al tavolo dove mangiate, con un secondino che vi ispeziona, con i vostri figli che hanno vergogna di dire chi siete, e un vetro che vi impedisce di toccare finanche le mani delle vostre mogli.
Come sopporti questa ripetizione di un copione che tu stesso hai scritto sulla pelle della tua discendenza, che a sua volta doveva inciderla nella carne altrui? Sei fiero che il tuo primogenito rischi di finire i suoi giorni in carcere? Costretti a vivere come topi. Per mesi, anni. Condannati, già prima di ogni sentenza, a nascondervi, a mentire, a camuffarvi, a pagare uomini dello Stato per aiutarvi, a comprare politici per difendervi, a mercanteggiare promesse e favori in cambio di protezione e sotterfugi. Ma anche a costringere dei poveri vostri compaesani ad accogliervi sotto minacce, mentre alle vostre famiglie tocca farsi svegliare dalla polizia nel cuore della notte o farsi pedinare per giorni e giorni. È questa la sostanza del vostro impero. Hai avuto e hai ancora molti politici in pugno, condizioni gli appalti di molta parte di questo Paese. Proprio perché stai in galera e porti il peso del tuo potere, ti consideri migliore rispetto a imprenditori e parlamentari vicini che valuti codardi. Eppure di questa superiorità cosa ti rimane? Loro stanno fuori e tu sei dentro. Perché continua a difenderli il tuo silenzio? Cosa mai potrà compensare il tuo ergastolo e la distruzione continua della tua famiglia? Non lo vedi? Francesco Schiavone, che cos'hai ottenuto? L'ergastolo e un futuro sepolto in galera. Non hai più alcuna speranza di uscirne fuori finché sei vivo. E allora, che cosa pensi, che ragioni ti dai della tua vita?
Credo, in realtà, di sapere a cosa stai pensando. Che adesso gli affari fuori sono buoni. La crisi economica aumenta il business del clan la tua galera passa in secondo piano. Pensi che hanno anche promulgato leggi favorevoli. La legge sulle intercettazioni sarà d'ora in avanti il vostro scudo, con questa legge non avrebbero mai potuto arrestare tuo figlio, la legge sul processo breve potrà tornarvi utile. Avete politici alleati nei posti chiave, e (se verrà confermato quanto dichiarano le accuse dell'antimafia di Napoli) il sottosegretario allo sviluppo Nicola Cosentino è in diretto rapporto con la tua famiglia. Non perché tuo parente ma perché in affari con te. Quindi pensi di avere un ministero importante dove passano soldi e favori nelle tue mani.
Ma tu sei e rimani in galera però. Ricordi quello che ha detto Domenico Bidognetti su Nicola Ferraro quando si è pentito? L'ha accusato non perché anche Nicola Ferraro sia tuo parente, ma per gli affari che fa con te e tramite te. Ricordi? Dovresti saperlo. Lui ha dichiarato che "Nicola Ferraro prelevava i rifiuti speciali delle officine meccaniche, anzi fingeva di prelevare i rifiuti ma in realtà faceva delle false certificazioni e venivano smaltiti illegalmente". Lui leader casertano dell'Udeur molto legato a Clemente Mastella è stato arrestato nella retata che azzerò il partito. "Era un imprenditore molto vicino al clan dei casalesi. Prima era più vicino alla famiglia Schiavone, poi deve essersi avvicinato a Antonio Iovine". E poi - continua Domenico Bidognetti che conosci bene e tu stesso l'hai in qualche modo allevato - "a testimonianza dei buoni rapporti fra il Ferraro ed il clan, un anno fa Cicciariello (Francesco Schiavone, cugino omonimo di Sandokan n. d. r.) mi disse che voleva mandare a dire a Ferraro di intercedere presso il suo 'comparè Clemente Mastella Ministro della Giustizia, per fare revocare, un po' per volta, i 41 bis applicati a noi casalesi. Non so dire se poi Cicciariello attuò questo proposito".
Ecco prima o poi, supponi, qualche politico amico attenuerà la tua pena e tornerai come quando eri giovane a vivere in carcere come in un hotel. Se non toccherà a te stesso, magari a Nicola, tuo figlio. Ti è stato consentito di incontrare un boss di Cosa Nostra, Giuseppe Graviano, mandante dell'uccisione di Don Puglisi, responsabile della morte di Falcone e Borsellino e delle stragi che nel '93 colpirono Firenze, Milano e Roma. Chissà cosa vi siete detti nei vostri colloqui durante l'ora d'aria al carcere di Opera, dove entrambi scontate il regime del 41 bis? Avete stretto alleanze, avete escogitato nuove strategie? Avete messo a punto degli strumenti per rivalervi su coloro che vi hanno punito, nel caso non fossero disposti a venire a patti? Avete vagheggiato di avere in mano, pur dal cortile di un carcere di massima sicurezza, il destino dell'Italia? Pensate che il vostro silenzio o una vostra mezza parola possa delegittimare i vertici del potere politico? Mettergli paura? Ingenuità, Schiavone. Non ti rendi conto che siete divenuti burattini pensando di essere burattinai. Ma non vedi quello che sta accadendo?
Ciclicamente appoggiate politici che vi fanno promesse, vi usano per ottenere ciò che gli torna utile, vi scaricano quando non servite più, quando intravedono delle alternative. Perché in questo Paese in cui il potere è sempre in mano a pochi e soliti, i soli di cui è certo che verranno prima o poi rimpiazzati da qualche rivale emergente siete voi.
La camorra è potente ma la sua forza si basa sul fatto che i camorristi continuamente cambiano, sono interscambiabili. I cimiteri sono pieni di camorristi indispensabili. Non stai vedendo che stanno eliminando il tuo gruppo? E quello di Bidognetti? E i fedeli Iovine e Zagaria? I due latitanti? Ancora liberi. Liberi di fare affari, di dirigerli. I tuoi reggenti diventati re nei fatti, perché non esiste nessuna incoronazione, mentre le detronizzazioni, quelle esistono, e prima o poi vengono scritte con il sangue, se non quello del sovrano decaduto, almeno quello dei suoi ultimi fedeli. È questo ciò che ti attende e lo sai. Loro ti tradiranno (se non lo stanno già facendo) proprio come tu hai tradito Antonio Bardellino e Mario Iovine.
Quattro anni fa feci un invito nella piazza di Casal di Principe. Lo feci alle persone, soprattutto ai ragazzi che erano lì presenti. Li invitai a cacciarvi dai nostri paesi, a disconoscervi la cittadinanza, a togliere il saluto alle vostre famiglie. "Michele Zagaria, Antonio Iovine, Francesco Schiavone, non valete niente". Urlai con lo stomaco e con la volontà di dimostrare che si potevano fare i vostri nomi, in quella piazza. Che non succede proprio nulla se si fanno. Che non sono impronunciabili, neanche quando si chiede non a una, due, o cinque persone, ma a molte, moltissime, di denunciarvi, di spingervi ad andarvene da Casal di Principe, San Cipriano d'Aversa, Casapesenna. A liberare queste terre. Tuo padre mi ha definito un buffone, non è l'unico a pensarla così. Tu stesso hai fatto scrivere dai tuoi avvocati che racconto menzogne. Sulle pareti di Casal di Principe mai è apparso un insulto a te, neanche dopo la strage di Casapesenna che avevi ordinato. Invece decine e decine le scritte contro di me, e appena si pronuncia il mio nome, i giovani delle mie zone mi riempiono di insulti. E quando vedono i tuoi figli, cosa fanno? Che cosa rappresentano questi ragazzi senza madre, senza padre, con gli occhi delle polizie sempre puntati addosso? Ti credi un uomo a far vivere così i tuoi figli? Tua moglie in prigione, i figli mollati ai parenti. È da uomo di onore, questo? Da uomo di rispetto?
Non è un uomo una persona che fa vivere così la propria famiglia. Questo lo sai nel profondo di te stesso. Una vecchia espressione napoletana identifica con un'espressione molto efficace un potere fatto solo di sbruffoneria: "guappi di cartone". Voi la usate per definire un uomo che parla e poi non agisce e ha paura. Io la uso per mostrare quanto sia codardo il vostro potere di morte, corrotto il vostro business, e che il vostro silenzio difende tutti quei colletti bianchi, imprenditori, editori, commercialisti, onorevoli, ingegneri che lavorando per voi pensando soltanto di lavorare per delle imprese di cui non vogliono conoscere l'origine. Guappo di cartone sei perché ordini esecuzioni di persone disarmate, fai sparare alle spalle a innocenti. Guappo di cartone perché temi ogni mossa che possa compromettere le tue entrate di danaro, perché sei disposto a perdere faccia e dignità per un versamento in euro. Guappo di cartone che costringi al silenzio della paura tutti i tuoi paesani se vogliono lavorare nelle tue imprese. Guappo di cartone perché non fai crescere nessuna impresa che con te e con i tuoi non faccia affari. Guappo di cartone perché avveleni la terra dove i tuoi avi avevano piantato le pesche, i meli, e ora la terra avvelenata non produce nulla se non cancro.
Può sembrarti assurdo ma siccome nessuno te lo chiede, te lo ripeto io un'altra volta. Collabora con la giustizia. Prima che tutti i tuoi figli finiscano in galera o ammazzati. Prima che le tue figlie siano costrette a matrimoni combinati per farti ancora contare qualcosa, prima che i tuoi nipoti debbano tutti legarsi attraverso matrimoni agli imprenditori locali per cercare di controllarli, sempre, ovunque, in ogni momento. Invita a pentirsi anche tuo fratello Walter. Fuori dal carcere si sentiva il protagonista di Scarface. Non c'era assessore, sindaco, segretario di partito o imprenditore che non volesse fare patti e affari con lui. E ora? Ora in galera lo divora una malattia, ha perso un figlio, è divenuto uno scheletro che cammina e implora ai giudici clemenza, lui che non l'ha mai data alla sua terra e ai suoi nemici. Per cosa taci ancora? Pensi che ti renda onore tutto questo? Pensi che ti rispettino coloro che il tuo silenzio difende? Tutti coloro che avete reso potenti, sensali con la coscienza pulita perché non sparavano, ma costruivano, smaltivano, votavano, governavano. Tutti questi non sono lì con voi. E andranno con chi comanda. Ieri eravate voi oggi sono altri, e domani altri ancora. Loro saranno amici di chi conta. Come sempre. E voi morirete in carcere.
Tu cosa vuoi, Francesco Schiavone? La tua morte? Rimpiangi di non essere finito ammazzato? Come tuo nipote Mario Schiavone "Menelik"? Facesti uccidere per vendicare la sua morte un carabiniere innocente Salvatore Nuvoletta, aveva vent'anni quando il clan dei casalesi chiese la sua testa, non fu lui ad uccidere in un conflitto a fuoco tuo nipote. E l'hai fatto ammazzare lo stesso. Tu e i tuoi uomini. Uccidendolo mentre era disarmato, mentre giocava con un bambino. Questo è onore?
Io sono cresciuto in terra di camorra e so come ragioni. Consideri smidollato chi ha paura di morire, chi ha paura del carcere. Sai che se vuoi davvero comandare sulla vita delle persone, devi pagarlo questo potere. Tu e i tuoi amici vincete perché sapete sacrificarvi mentre i politici e gli imprenditori di questo paese non sanno farlo. Quante volte ho sentito pronunciare queste parole dai miei conterranei. Ma non per tutti è così.
Prima o poi vi schiacceranno. Prima o poi tutti i vostri affari, il vostro cemento, i vostri voti, i vostri rifiuti tossici, tutto questo sarà destinato a finire. Non è la volontà che muta il destino delle cose, e tu, Schiavone, non sei che l'ennesimo di una catena infinita. Ma forse potresti fare un gesto, una scelta che compensi almeno in parte tutto quanto hai fatto. Mostra tutto. Sollevati dal tuo potere, dal potere dei tuoi affari, sottosegretari, sindaci, presidenti di provincia, sollevati dai veleni, dai morti, dalle dannate famiglie che credono di disporre di cose, persone, e animali come sovrani. Collabora con la giustizia, Schiavone. Invita a consegnarsi Antonio Iovine e Michele Zagaria. Sarebbe un gesto che ridarebbe a te e ai tuoi dignità di uomini. Provate ad essere uomini e non utili bestie feroci da business e accordi. Collabora con la giustizia, mostra che sei ancora un essere umano e non solo un agglomerato di cellule capace solo con rancore e avidità di strisciare di covo in covo, o di cella in cella.
©2010 Roberto Saviano
(16 giugno 2010)
Poesie
lunedì 21 giugno 2010
domenica 6 giugno 2010
Poesie
Rubami il cuore
prima che venga sera
e che l'imbrunire
col suo nero mantello
inghiotta il nodo che sento in gola
nel guardarti rapito
aggrappato
ad una corda di lacrime
sull'orlo del precipizio
dei miei pensieri
Rubami il cuore
ma fallo in fretta
perché non c'è tempo.
Fallo prima che le foglie
cadano all'affacciarsi
dell'autunno della nostra esistenza
e che la curva del tempo
con la sua sfera
disegni una ruga più profonda
e incancellabile
sui nostri volti
Rubami il cuore
senza far rumore
dolcemente
senza scassinare...
...hai le chiavi.
mercoledì 2 giugno 2010
Accadimenti
E NEI LAGER NAZISTI PRESE SADICA
FORMA L'ODIO CONTRO LA DONNA
di STEFANIA MAFFEO
Cancellare dal mondo gli ebrei, questo era l'obiettivo dei nazisti, uomini o donne che fossero e tutti, nell'indicibile orrore dello sterminio, seguirono lo stesso percorso di fame, sfruttamento e morte. Tuttavia riflettere sulla peculiarità delle sofferenze e delle sopraffazioni patite da uomini e donne può aiutarci a superare il neutro della testimonianza ed a comprendere le differenti traiettorie esistenziali di individui segnati da una diversa educazione
da diversi ruoli sociali, da diversi modi di percepire ed affrontare la separazione,
l'umiliazione, la perdita. L'intento è di esplorare gli aspetti della specificità della deportazione femminile, sia in Italia che in Europa: non per affermare un di più di dolore e di sofferenze, ma per dare conto di un'esperienza in parte diversa, risolutiva, per ampliare la conoscenza dei percorsi di sopravvivenza e di morte possibili nell'universo concentrazionario, paradigma compiuto del totalitarismo nazista. Sono percorsi molteplici e sfaccettati: le madri separate dai figli; le figlie deportate insieme alle madri, con cui condividono le sofferenze del lager e l'impossibilità di aiutarsi; le articolazioni della solidarietà e la durezza dei rapporti anche fra prigioniere; le donne che divengono madri in lager e vedono assassinare o far morire di stenti i figli; le vittime degli esperimenti chirurgici; i mille modi per sopravvivere e resistere affermando con ogni strumento culturale la propria dignità di esseri umani, anche in forme apparentemente minime; le difficoltà e l'importanza delle testimonianze delle deportate.
Giuliana Fiorentino Tedeschi ci ricorda che "la letteratura di testimonianza è stata prodotta quasi tutta da uomini, mentre le donne hanno parlato poco delle proprie esperienze. Forse per questo motivo si è ingenerata e diffusa l'opinione che le deportazioni maschili e femminili possano combaciare e anzi addirittura sovrapporsi"1. Di alcune, la loro storia ci è giunta postuma, mentre altre sono riuscite a trasmettere di persona la loro esperienza. Racconti al femminile dunque, perché ci aiutano a immaginare i diversi modi nei quali gli uomini e le donne risposero all'assalto nazista. Perché l'esperienza di donne in condizioni di estrema vulnerabilità rivela il loro coraggio, il loro apporto alla resistenza armata nei ghetti, la peculiarità delle loro sofferenze. Perché fu una donna che dal campo di Westerbork, prima di entrare "per sempre" ad Auschwitz, scrisse "Trovo bella la vita e mi sento libera"2. Sulla memorialistica della deportazione dall'Italia, soltanto venti su centoquarantanove sono opere di donne. Ad una lettura superficiale, le testimonianze delle donne sopravvissute alla deportazione potrebbero sembrare del tutto uguali o molto simili a quelle maschili. Tuttavia ciò non è assolutamente, in quanto la natura stessa delle donne è diversa da quella degli uomini, soprattutto perché si parla di generazioni che sono cresciute nella società fortemente patriarcale del regime fascista.
Il riconoscimento della diversità delle due nature è testimoniato da un Convegno Internazionale tenutosi a Torino, il 20 e 21 ottobre 1994, dal Consiglio regionale del Piemonte e dall'Aned, seguiti poi da altri simili in altre città italiane. Nella relazione introduttiva di Anna Bravo si legge: "Essere prigioniere vuole dire dover esporre in pubblico, a sguardi aguzzini, corpi abituati dal costume di cinquanta anni fa ad un pudore rigoroso; vedere quelli di altre, magari anziane e restarne turbate, subire la violenza per poter sopravvivere, non potersi più riconoscere nella propria immagine fisica. Vuol dire vivere con bambini destinati a sparire, con compagne che arrivano incinte in lager e si affannano per nutrire un figlio che verrà ucciso appena nato; scoprire nelle donne ed anche in se stesse una distruttività che non si sarebbe mai immaginata; subire, spinta all'estremo, una vita promiscua di cui non si ha alcuna esperienza, neppure quella che agli uomini viene dall'aver fatto il servizio militare e la guerra"3. Va sottolineato che, a quel tempo, una donna teneva più di oggi alla propria riservatezza fisica, alla cura del proprio corpo, perfino alla ricerca
estetica di armonia nel vestiario e non esibiva senza traumi la propria nudità.
E per tutte le donne ugualmente vittime, la disinfestazione (che avveniva, il più delle volte, con uno straccio imbevuto di petrolio) era uno degli eventi più umilianti; tutte nude in fila tremanti diventavano bersagli di sguardi sprezzanti, risate sfrenate, gara di sputi tra i soldati sui capezzoli, e, non di rado, oggetto di scherni con dei bastoni che frugavano i loro corpi. A tutto ciò si aggiungeva il rischio di essere messe da parte per una macchia sulla pelle, per un foruncolo, per l'età più visibile senza gli abiti, cose che all'arrivo, o durante le successive selezioni, comprese quelle del famigerato dott. Mengele, erano sfuggite agli sguardi affrettati. A parte la lotta per non morire, le donne, le più belle, le più giovani, rischiavano di essere selezionate per i bordelli. Qualcuna, le più disprezzate ed invidiate allo stesso tempo, sui luoghi di lavoro scomparivano all'improvviso e tornavano con uno scialle al collo, un paio di calzini di lana sui piedi congelati, o un paio di vecchi guanti sulle mani gonfie di gelo. La sopravvissuta Lina Saba Navarro, in un'intervista rilasciata per la Shoah Foundation di Steven Spielberg, accenna allo sfruttamento sessuale delle prigioniere ricordando che, durante il tragitto per andare al lavoro, vedeva dei blocchi che voci di campo dicevano essere la casa delle bambole, che servivano ai tedeschi per le donne.
Tutti possiamo immaginare la Donna, che ha appena subito sul suo corpo la violenza di mani estranee, a cui, con rasoi poco affilati, sono state depilate le parti intime, a cui è stato impresso un marchio sul braccio sinistro, che ha provato l'orrore del freddo metallico della macchinetta tosatrice sulla cute, ha visto le ciocche della sua capigliatura cadere morbidamente ai suoi piedi. Le mutande maschili non hanno elastici e cadono, le calze si ripiegano sulle gambe. Per la donna non c'è tregua, perché il flusso mestruale si ripropone e non esiste materiale per difendersi. Chi è fortunata trova in terra uno straccio, se è costretta a lavare le mutande, deve indossarle bagnate. Proprio l'apparato genitale femminile attraeva l'interesse dei criminali nazisti che si spacciavano per scienziati. Da giovani prigioniere (anche diciottenni) e donne maritate si prelevavano campioni di tessuto dell'utero per essere in grado di giungere a diagnosi tempestive di eventuali tumori, con raggi X si sterilizzavano le ovaie, si praticava l'isterectomia, si iniettava nell'utero un liquido, a detta dei medici sterilizzante, pratiche queste che dovevano servire a sterilizzare le razze inferiori. La sperimentazione disponeva di un numero inesorabile di "cavie" ebree, costrette a sottoporsi a dolorosi interventi chirurgici, prive di anestesia, o con anestesia insufficiente.
Ad Auschwitz uno dei più grandi "esperti" del campo, il professor Clauberg inventò un nuovo metodo per sterilizzare le donne senza sottoporle ad intervento chirurgico o all'azione dei raggi X,praticando una spruzzatina di un liquido sterilizzante, forse a base di nitrato d'argento commisto ad una sostanza radiologica di contrasto. A tutte le donne, infatti, dopo la sterilizzazione. veniva praticata una radiografia. Questa "spruzzatina" veniva operata direttamente sul collo dell'utero, nel corso di una visita ginecologica apparentemente innocua. Questo metodo provocava dolori intensissimi ed emorragie diffuse ai genitali. Le detenute gridavano diperatamente. Una volta scese dal lettino dove avevano subito il piccolo intervento sterilizzante, le donne, sotto la minaccia di venire uccise all'istante, dovevano camminare diritte e uscire cantando dalla baracca. Avevano l'ordine categorico di non parlare di quanto accaduto con le compagne. Il giorno seguente, sempre perdendo sangue, queste donne erano costrette ad essere presenti agli appelli, ciascuno dei quali durava due/tre ore, all'alba e al tramonto, durante i quali, erano obbligate a rimanere in piedi. Molte morivano e venivano subito cremate. Le più gravi prima di partire, presagendo il loro destino, cercavano di lasciare qualche messaggio o almeno il loro nome alle compagne anziane ed a quelle che non dovranno essere sterilizzate.
Il metodo di Clauberg è senz'altro doloroso e per indurre una sterilizzazione definitiva deve essere praticato tre volte. Clauberg sembrava provare un vero e proprio piacere sadico quando sentiva le donne urlare, come emerso dalle testimonianze delle sopravvissute. Ma ad Auschwitz gli esperimenti di sterilizzazione non venivano condotti soltanto con il metodo ideato da Clauberg. Questo mostrava numerosi inconvenienti: i medici SS dovevano trattare numerosissime detenute che presentavano gravi infezioni. C'era una sezione nella quale la sterilizzazione veniva praticata con i raggi X. Le cellule germinative sono particolarmente sensibili ai raggi X. Basta infatti un'esposizione relativamente breve delle ovaie alle radiazioni per rendere una donna sterile. Le dosi devono essere però sufficientemente forti affinché la
funzione riproduttiva non sia bloccata solo temporaneamente.
Per assicurare una
sterilizzazione totale sono necessarie radiazioni notevolmente intense. Queste dosi naturalmente portarono alle donne reazioni collaterali, rappresentate da scomparsa di mestruazioni, disturbi metabolici, psichici, caduta di peli e capelli, ustioni cutanee. Ma ai medici SS poco importava: l'obbiettivo finale era stato raggiunto. Un altro esperimento, praticato sempre ad Auschwitz era quello per rallentare l'evoluzione del cancro e degli stadi precancerosi del collo uterino.
Ad ogni detenuta sospetta venivano fatti numerosi esami istologici e del sangue, radiografie e esami citologici della secrezione vaginale. Ad ognuna di esse poi, senza criteri ben precisi, veniva asportato il collo dell'utero. Altri chirurghi si "divertivano" a provocare aborti al sesto/settimo mese di gravidanza ed a praticare esperimenti per l'innesto di tessuto testicolare nelle donne. A Ravensbrück, con l'aiuto di controlli radiografici, si effettuavano esperimenti mediante: frattura delle ossa, prelievo di tessuto osseo sano o precedentemente infettato, innesto di tessuto sano o infettato, sia nelle mammelle che nelle gambe, per studiare gli effetti dei sulfamidici. Per quanto riguarda le ricerche sulle fratture ossee, i medici SS spezzavano con uno o più colpi di martello le ossa delle gambe della paziente. Riunivano poi i frammenti ossei all'osso cui appartenevano. Per quanto riguarda invece i prelievi di tessuto osseo, questi venivano eseguiti secondo il metodo abituale, solo che non di rado venivano asportati per esempio interi frammenti ossei dal perone5. Ben presto le donne si resero conto che quelle che andavano al revier (infermeria) venivano sottoposte a strane operazioni e che era difficile tornare alla baracca vive o totalmente sane. Le donne selezionate per gli esperimenti venivano ingannate dicendo loro che non andavano solamente a lavorare in una fabbrica. Quelle che si ribellavano venivano picchiate o direttamente gassate.
La categoria speciale di prigioniere su cui venivano compiute operazioni chirurgiche ed esperimenti cominciavano dal n° 5.000. Venivano designate nel lager col nome polacco di Krouki, che significava cavie umane. La loro baracca era designata con la sigla NN (Nacht und Nebel, ossia notte e nebbia). Questa sigla segreta compare nei documenti della Gestapo e delle SS accanto al nome di persone che dovevano essere eliminate e sulla cui sorte nessuno doveva sapere nulla. Dovevano scomparire dalla faccia della terra ed ogni loro traccia essere cancellata. Dovevano scomparire nella notte e nella nebbia. Ed ecco l'alimentazione: al mattino c'erano solo due bidoni di caffè per 800 persone, cosicché pochissimi riuscivano a prenderne. A mezzogiorno v'era una specie d'appello per poter distribuire la zuppa. Il rancio arrivava alle ore più disparate, dalle nove del mattino alle cinque del pomeriggio, quindi non sapevano mai a che ora sarebbe avvenuta la distribuzione. Ogni cinque persone veniva data una gamella con un litro di minestra. Nessuno aveva un cucchiaio e così dovevano bere nella stessa ciotola, a sorsi. La zuppa era talmente disgustosa che i primi giorni molte donne non mangiarono.
Tutte le donne sopravvissute ad Auschwitz che lavoravano in cucina hanno affermato che una dottoressa SS metteva nelle caldaie un prodotto chimico, che dava alla zuppa un sapore acidulo e provocava nella bocca e poi nello stomaco e nei visceri un vivo senso di bruciore, prurito esterno al ventre, gonfiore e macchiette rosse, che avevano l'apparenza di piccole abrasioni rettilinee. A tutte si manifestò un arresto immediato delle mestruazioni5. Cercarono di sottrarsi perciò a questo tentativo di sterilizzazione operato da parte dei medici SS a scopo di esperimento, mangiando la minor possibile quantità di minestra, preferendo piuttosto alimentarsi di patate crude che riuscivano a sottrarre ai carri che le portavano in cucina. Le malattie più comuni nel lager erano: diarrea e dissenteria, in forme gravissime e spesso mortali. Quasi tutte avevano la bocca piena di sfoghi e la lingua crepata e solcata da tagli profondi, che impedivano perfino di mangiare. Tutte le donne sopravvissute sono concordi nel dichiarare che ciò era provocato dai prodotti chimici che venivano messi nella zuppa, perché mai in altri campi di concentramento il fenomeno si ripeté, per quanto malnutrite fossero. Le donne riuscivano però a tenersi più o meno pulite perché acquistavano il sapone, in cambio di pane, dagli uomini, i quali perciò erano molto più sporchi e pieni di pidocchi.
Nel lager femminile di Birkenau, dove erano rinchiuse sessantamila donne, c'erano tutte le gerarchie femminili. Le altre categorie di prigioniere - delinquenti comuni, prostitute, non parliamo delle politiche - avevano qualunque diritto sulle donne ebree. Le kapò erano prese tra le assassine delle carceri, tra quelle che avevano fatto le cose più atroci, in modo che potessero tranquillamente bastonare a morte una prigioniera che non obbedisse ciecamente agli ordini.
Al di sopra delle kapò c'erano le SS donne (ma solo poche di loro sono state
condannate dopo la guerra), che avevano stivaloni con un puntale di ferro, ufficialmente per non consumare la suola, ma, in realtà, per sferrare calci più violenti. Sarà stato terribile vedere che le efferatezze più straordinarie venivano compiute da donne su altre donne. A volte c'erano lager esclusivamente maschili o femminili. Un esempio di quest'ultimo tipo di campo è il lager di Ravensbrück, un villaggio prussiano posto in prossimità dell'antico luogo di cura di Fürstenberg, nel Mecklenburgo, a ottanta chilometri a nord-est di Berlino, zona fredda e paludosa, in riva al lago Schwed. A Ravensbrück, le SS, a partire dal Novembre 1938, fecero costruire il campo di concentramento femminile, impiegando per la costruzione i deportati del KZ (Konzentration lager) di Sachsenhausen. Esso fu l'unico grande lager in territorio tedesco destinato alla "detenzione preventiva" femminile.
Infatti, il lager, unico nell'universo concentrazionario ad essere popolato da sole donne e bambini, nasce come campo di rieducazione per l'isolamento delle "diverse", politiche, asociali, zingare, ladre, assassine, religiose. Ravensbrück è stato aperto ufficialmente il 18 maggio 1939 con 867 prigioniere di cui 860 tedesche e 7 austriache: politiche e testimoni di Geova e subito dopo arrivarono le zingare con i loro bambini. A ognuno di questi tre gruppi venne assegnato un blocco e furono contraddistinte con un triangolo colorato. Nella primavera del 1939 le prime 1000 detenute vennero trasferite dal KZ di Lichtenburg a quello di Ravensbrück, a cui nell'Aprile 1941 venne aggiunto anche un campo maschile. Alla fine di settembre, poco dopo l'invasione della Polonia, giunsero le prime prigioniere politiche polacche. Nell'aprile del 1940 le detenute sono già 3114 e ad agosto 4433; in questo periodo arrivarono anche i primi trasporti dalla Cecoslovacchia. Dal 1939 al 1945 vi furono imprigionate da centodieci a centoventimila donne di ogni nazionalità, spesso solo temporaneamente, in attesa di ripartire per destinazioni più lontane, in Kommando esterni. A partire dall'estate 1942, molto vicino a Ravensbrück, entrò in funzione il campo di concentramento giovanile di Uckermark. Il lager femminile stesso venne costantemente ingrandito aggiungendovi baracche su baracche ed anche una "sezione industriale", comprendente dei centri di produzione per attività propriamente femminili.
Nella zona adiacente al lager, la ditta Siemens & Halske nel 1942 fece costruire 20 capannoni industriali destinati al lavoro coatto delle detenute. Con il perdurare della guerra, da Ravensbrück derivarono più di 70 campi aggregati, diffusi in tutto il Reich. In essi le detenute prestavano la loro opera essenzialmente a profitto dell'industria bellica. Nel periodo 1939/1945, 132.000 donne e bambini, 20.000 uomini e 1.000 giovani del lager di Uckermark vi vennero registrati come detenuti. Decine di migliaia di donne vennero uccise, morirono di fame o furono vittime di esperimenti medici. Con l'avvenuta costruzione di una camera a gas nell'Aprile 1944, a Ravensbrück le SS uccisero in essa da 5.000 a 6.000 persone. Poco prima della fine della guerra, circa 7.500 detenute vennero portate in salvo in Svizzera ed in Svezia grazie all'intervento della Croce Rossa Internazionale e di quelle Svedese e Danese. Le decine di migliaia di donne rimaste vennero costrette dalle SS ad una "marcia della morte" verso nord-ovest. Il 30 Aprile 1945 l'Armata Rossa liberò le 3.000 detenute rimaste al campo per le gravi condizioni di salute. La liberazione non mise purtroppo termine alle sofferenze di donne, uomini e bambini; molti di loro morirono nelle settimane successive alla liberazione stessa. Ravensbrück era un campo di livello 1, cioè sottomesso ad un regolamento paragonabile a quello di Buchenwald e Dachau, molto meno micidiali di quello dei campi di livello 3, come Mauthausen, Auschwitz o Flossenburg.
A Ravensbrück, gli omicidi con il gas furono molto più limitati (del milione ad Auschwitz), circa diecimila vittime in tutto4. È vero, Ravensbrück era un campo di livello "basso", e per fortuna, vi fu "limitato" l'uso del gas, ma, secondo le testimonianze di persone che scrutarono i lager nazisti potendo abbracciarne globalmente la vista, i campi femminili non erano proprio da "basso" livello. A Ravensbrück, gli omicidi con il gas furono circa 10.000: da un lato le donne "pazze", poi, in due brevi serie ,le donne malate, quelle sfinite, le anziane e le ebree. La prima serie nel 1941-42 fece circa 1.600 vittime e la seconda all'inizio del 1945, 6.000. Le pazze erano rinchiuse nude in una stanzetta con il numero dipinto in viola sulla schiena. Periodicamente, quando arrivavano ad essere 50 o 60 venivano portate di notte fuori del campo ed uccise nella piccola camera a gas dello stabilimento psichiatrico del castello di Hartheim, in Austria, dove venivano gasati i malati civili del Reich. Alla fine del 1941 ed all'inizio del 1942, a Ravensbrück la selezione e le esecuzioni coinvolsero un ventaglio di donne molto più ampio, non più limitato alle malate mentali. Himmler aveva deciso di includere i suoi campi nell'Aktion T4 che consisteva nella selezione e soppressione di numerosi malati di mente degli ospedali psichiatrici del Reich. Queste vittime civili erano liquidate in piccole camere a gas installate in sei grandi ospedali psichiatrici ed istituti di eutanasia.
Il castello di Hertheim era uno di questi. Il gas utilizzato era l'ossido di carbonio. I medici psichiatrici furono inviati ad andare a fare il loro lavoro di smistamento nei campi di concentramento. Questa nuova Aktion portava il nome in codice di Aktion 14f13. Himmler esigeva 2.000 vittime per campo. A Ravensbrück, dove alla fine del 1941 c'erano solo circa 8.000 donne, il medico psichiatrico scelto per fare la selezione delle detenute da sopprimere ignorava che la centrale di Berlino aveva richiesto 2.000 vittime per campo e fu sorpreso quando gli fu imposta questa cifra, dal momento che aveva trovato solo 259 donne affette da disturbi mentali che comparivano sul formulario che gli era stato dato: "minorate mentali", "epilettiche", "invalide", "incurabili", "incontinenti". Egli aggiunse tranquillamente le tubercolotiche, le sifilitiche e, per raggiungere il numero, numerose ebree. Visto che la guerra all'est si prolungava, l'Aktion 14f13 fu interrotta nell'aprile 1943 per la richiesta di nuova manodopera. Solo le malate di mente continuarono ad essere soppresse. Da questa data numerosi furono i trasporti di donne e bambine che, da Ravensbrück, raggiungevano altri campi. Nell'estate del 1944 i campi sono sovrappopolati e nel lager femminile si diffuse il disordine, la liberazione sembrava vicina, la vigilanza delle prigioniere si allentò. Dal gennaio del 1945 numerose furono le selezioni generali nelle quali le donne dovettero passare davanti al gruppo delle autorità del campo, il comandante, il lagerfuhrer, i medici SS e la capo infermiera.
Alla fine di ogni selezione, la "misera colonna del camino", come venivano chiamate le selezionate, si avviava verso lo Jugendlager dove venivano uccise. La sorvegliante dello Jugendlager, Ruth Meudeck, di 22 anni, saliva sui camion con le due infermiere SS che vi caricavano le donne da trasportare al crematorio. C'erano gli uccisori a dare il cambio. Erano sei o sette SS venute espressamente da Auschwitz. Il capitano SS di Ravensbrück Schwarzuber ha dichiarato al suo processo che era stata allestita una piccola camera a gas in una baracca degli attrezzi che si trovava a pochi metri dall'edificio del crematorio e che poteva contenere 150 persone. La gasazione si faceva con il Cyclon B, che era riversato nella camera a gas da un buco del tetto. Questo veleno era acido cianidrico fissato su alcune pietre porose contenute in barattoli metallici. Con il calore il gas si liberava. I corpi venivano poi bruciati. Da alcune testimonianze sappiamo che a Ravensbrück era stata installata un'altra camera a gas, costruita in muratura, nuova e moderna, dai segnali acustici e ottici, fatta poi saltare all'inizio di aprile dalle SS. Questa camera a gas era doppia, aveva una sala dove si spogliavano le vittime, il disimpegno in cui dovevano passare, la sala di dissezione per i medici ed il piano inclinato per far scivolare i corpi in uscita. Era situata all'esterno del campo, lungo il muro nord, dietro il Revier ed aveva il nome mimetizzato di neue Cascherei (nuova lavanderia).
Lord Russell ricorda che il campo fu meritatamente conosciuto dappertutto come "l'inferno delle donne"5; Hermann Langbein osserva: "Conformemente alla legge di Auschwitz - riservare ai più deboli la sorte più dura - le condizioni peggiori si trovavano nel lager femminile di Birkenau"6; e Rudolf Höss, comandante ad Auschwitz tra il 1940 e il 1943, scrisse: " per le donne ogni cosa era assai più dura, più oppressiva e più tremenda, perché le condizioni generali di vita erano assai peggiori nel campo femminile. Quei cadaveri ambulanti erano una visione orribile"7. Dalla testimonianza di una donna, Margarete Bober Neumann, una delle fonti più importanti ed attendibili per la conoscenza della storia di Ravensbrück, sappiamo che, inizialmente, il lager appariva come un luogo tranquillo, verde, quasi un "luogo di villeggiatura": il lagerplat ornato di aiuole fiorite, in direzione della porta del campo una baracca di legno, una grande gabbia con due pavoni, delle scimmie che facevano l'altalena sopra un portico e un pappagallo che ripeteva ininterrottamente "mamma" e poi dappertutto fiori, cascate di fiori. Ma, di fronte allo zoo, dopo un grande prato verde e seminascosto da pini argentati, vi era l'unica costruzione in muratura del campo: il bunker, l'inferno del lager, mimetizzato agli occhi dei visitatori e, oltre questo, l'alto muro di cinta con la corrente ad alta tensione.
Il campo non era così come sembrava: nel campo vigeva una disciplina ferrea, la vita si snodava all'insegna dell'ordine perfetto all'interno ed all'esterno delle baracche. Gli sgabelli ordinati a soldatini, i pavimenti puliti più volte al giorno, asciugamani piegati a regola, stoviglie riposte secondo l'ordinamento, letti rifatti a cubo, abbigliamento impeccabile con il vestito a righe grigio e blu, il fazzoletto bianco legato in un certo modo senza la fuoriuscita di un capello,un
grembiule blu che copre completamente il vestito blu perfettamente stirato,
andatura scattante, le braccia stese lungo il corpo durante gli appelli interminabili. Questo fu il periodo della rieducazione in cui ordine, lavoro, disciplina erano alla base di un buon processo rieducativo. Le detenute uscivano al lavoro dopo l'appello del mattino con la pala sulle spalle, allineate per cinque, con sorveglianti che urlavano ed i cani che abbaiavano, e tornavano alla sera ancora allineate per cinque dopo molte ore di lavoro nel bosco o nella sabbia a passo di marcia, cantando a squarciagola le canzoni idiote imposte dalle sorveglianti. Il tempo era scandito dalla sirena del lager: non un minuto era concesso per intrattenersi con le compagne, anche se, fin dal primo periodo, le detenute, quando in lager era suonato il silenzio, si raccoglievano e si riunivano per discutere. Ben presto però il lavoro rieducativo dei primi due anni si trasformò in lavoro produttivo: le detenute diventavano schiave e venivano vendute dalle SS alle industrie che ne facevano richiesta.
Nel giugno del '41 venne costruito all'interno del campo il primo stabilimento industriale per la confezione di divise militari destinate all'esercito tedesco: le industrie Hof. Lo stabilimento era di proprietà delle SS, che iniziarono a speculare e trarre profitto dalle detenute. Nello stesso periodo le detenute politiche tedesche iniziarono ad essere utilizzate negli uffici, per economizzare materiale umano utile in altri settori. In agosto scoppiò un'epidemia di poliomielite e le SS abbandonarono il campo lasciando le detenute sole ad autoamministrarsi: Ravensbrück venne messo in quarantena con la proibizione di entrare o uscire per chiunque. Centinaia di ammalate vennero isolate in blocchi circondati da filo spinato ed affidate alla cura di altre detenute. Il lavoro si bloccò per alcune settimane e le detenute godettero quasi di una semilibertà senza appelli, lavoro, fatiche, botte. A dicembre iniziarono, però, le prime selezioni di anziane, malate e invalide, che furono inviate a Buch ed a Bernburg per essere eliminate. In ottobre arrivò il primo grande trasporto di sovietiche. Nel gennaio del 1942 fu immatricolato il n 9643. Durante tutto quell'anno ci furono numerose esecuzioni capitali e cominciarono trasporti verso altri campi. Con la circolare Poul del 30 aprile i comandanti dei campi furono invitati ad aumentare la produzione senza tener conto degli orari e delle condizioni fisiche delle detenute.
Era il momento in cui Ravensbrück conobbe il maggior sviluppo. Il lager venne ingrandito con nuovi blocchi più grandi. Constava di 32 baracche, bunker, infermerie, alloggiamenti per le guardie, caserme, capannoni di stoccaggio, lavoratori vari; la ferrovia arrivava fino all'esterno del lager. Le deportate arrivavano da tutti i paesi europei occupati: Russia, Ucraina, Jugoslavia, Grecia, Francia, Belgio, Olanda, Danimarca e Norvegia. A ottobre immatricolarono il n 24588: oltre alle industrie presenti sul posto e nei vari Kommando dislocati nei dintorni, forniva manodopera a fabbriche dipendenti da altri campi, dove le condizioni di vita delle detenute erano veramente incredibili. È sufficiente ricordare a questo proposito la miniera di sale di Beemoore dove le donne lavoravano alla produzione di pezzi di aeroplani in una fabbrica sotterranea installata a 600 m sottoterra in una vecchia miniera di sale. I rappresentanti delle ditte che dovevano fornire materiale bellico entrarono nel campo e contrattarono con le SS il numero delle prigioniere che necessitavano alla loro fabbrica, controllarono sommariamente la salute fisica delle donne che furono fatte sfilare nude davanti a loro. Una volta stipulato il contratto, le "schiave" venivano avviate ai diversi sottocampi per essere più vicine alle fabbriche nelle quali avrebbero lavorato. La sistemazione nei campi più piccoli, anche se era quasi identica alla prima, creò un certo sollievo; non c'era più la torre del forno crematorio che, minaccioso e terribile, sovrastava il grande campo.
Per la maggior parte furono occupate nell'industria pesante, quindi era necessario che avessero mani e braccia forti e fossero in grado di maneggiare lamiere d'acciaio e di lavorare il ferro. E così per i primi giorni vennero inviate a tagliare legna nei boschi vicini in modo che le mani e le braccia si abituassero prima al lavoro ingrato che le attendeva. Chi era destinata ad usare attrezzi pesanti avrebbe dovuto, invece, reggere sulle braccia un certo numero di mattoni per ore e se il fisico non avesse retto, altre sarebbero subentrate a chi soccombeva. Le donne non conoscevano la lingua dei mestieri, non erano capaci di reggere gli attrezzi che venivano loro messi in mano, non ne conoscevano l'uso, eppure dovevano cercare di capire che cosa veniva loro assegnato. Il lavoro, di solito, veniva suddiviso in due turni, uno diurno di 10 o 12 ore e l'altro notturno, sempre di 12 ore. Prima di uscire dal campo le donne dovevano sottostare all'appello, poi spesso occorreva camminare per cinque in perfetto allineamento per tre o quattro km sotto la neve o l'acqua, perché non sempre la fabbrica era Nel corso del '44
il numero
di immatricolazione
crebbe a dismisura
fino ad arrivare,
nel mese
di dicembre,
al n. 91748
Malgrado tutto, queste donne
sapevano ritrovare la loro più completa umanità e malgrado sia per loro difficile capirsi per la diversità della lingua, riuscirono a coniare un linguaggio fatto di cenni e di parole astratte.
Si formò in questi lager una società pregna di solidarietà e pian piano si affermò una voglia mai sopita di ribellarsi e si ricorse al sabotaggio. Una testimone racconta: "Il sabotaggio l'abbiamo fatto un po' tutte per il gusto di farlo, per il gusto di andare contro la legge concentrazionaria. Si sabotavano le macchine rompendo un pedale, o tirando via una vite, poi magari si nascondeva il pezzo. Una volta lo facevo io, magari due ore dopo lo faceva un'altra e così minimo erano sempre tre macchine ferme per turno". Se queste donne fossero state sorprese sarebbero state accusate di sabotaggio e per loro era morte certa, ma lassù la vita aveva poco valore. Nell'ultimo anno le fabbriche, con l'avanzare dell'Armata Rossa dovettero cessare a poco a poco la loro attività e perciò non vi fu più alcuna necessità di operai, ma nei grandi campi il flusso di arrivi non cessò. C'era perciò una massa di donne che non lavorava, ma costava, che non poteva essere lasciata chiusa nei blocchi, ma doveva essere occupata e quanto più il lavoro era pesante, tanto più facilmente venivano eliminate. Il lavoro duro, la mancanza di sonno, la fame, la sporcizia, l'avitaminosi, il terrore annientò ben presto lo spirito ed il fisico di queste donne ed i monti di cadaveri davanti ai forni aumentarono, l'aria diventò irrespirabile per il fetore. Nel solo campo di Ravensbrück furono immatricolate 125.000 donne e di esse 92.000 perirono. Eppure il grande cancello di accesso al campo era sovrastato dalla scritta Arbeit macht frei, (il lavoro rende liberi).
Durante il corso del '44 il numero di immatricolazione crebbe a dismisura fino ad arrivare, nel mese di dicembre, al n 91748. Le donne erano schiacciate in uno spazio sovraffollato ed invivibile, perché le strutture, i servizi, i posti letto, rimasero quelli del 1942 al momento dell'ampliamento del lager. La percentuale delle prigioniere presenti in appello andava sempre più diminuendo a causa della grande mortalità. Le italiane furono l'ultima nazionalità ad arrivare: il primo trasporto formato da 14 donne giunse il 30 giugno 1944 da Torino; ad esse, al momento della partenza, fu detto che "sarebbero andate a lavorare in Germania". Questo costituì il momento in cui il campo esplose e l'ordine, la disciplina, la perfezione tedesca saltarono di fronte alla deportazione in massa ed alla limitata capacità di ricezione delle strutture. In campo le italiane non avevano compagne che potevano informarle sulle regole, sui pericoli ed anche sulle tecniche di sopravvivenza. Non conoscevano le lingue del lager: tedesco e polacco. Nessuno capiva l'italiano ma, soprattutto, nessuno voleva rispondere ad un'italiana che non si sa bene perché, per quale oscura ragione, fosse finita a Ravensbrück. Al primo trasporto di italiane fece seguito un secondo che arrivò il 5 agosto, proveniente da Verona con 50 deportate. Un terzo trasporto arrivò l'11 ottobre da Bolzano con circa 110 donne.
Le impressioni delle donne di tutti e tre i trasporti corrispondevano: lo smarrimento, lo sconforto di sentirsi non solo sottospecie umana, merce di proprietà esclusiva dei padroni SS, ma in più rifiutate all'inizio anche delle altre deportate, disperate come le italiane, ma senza l'etichetta vergognosa di essere state alleate e quindi complici dei nazisti. Le notizie sull'Italia, la caduta del fascismo, il capovolgersi della guerra non arrivarono fino a Ravensbrück, almeno non alla massa. A questo va aggiunto che le italiane arrivate a Ravensbrück non erano personaggi dell'antifascismo conosciuti a livello internazionale, con un nome da esibire come biglietto da visita, come successe, ad esempio, ad alcuni deportati in certi lager maschili. Ad eccezione di Teresa Noce, nessuna aveva un passato eroico per essere accolta fra le grandi politiche del campo, quelle che avevano potere, godevano rispetto e fiducia. Le italiane appartenevano agli strati sociali più diversi: c'erano antifasciste con anni di militanza clandestina alle spalle, partigiane arrestate durante i rastrellamenti, staffette denunciate dalle spie, ma c'erano anche moltissime donne prese in ostaggio al posto dei fratelli, dei mariti, dei figli, ricercati per attività clandestina.
C'erano interi nuclei familiari: madri e figlie, sorelle, anche donne arrestate senza motivo; c'erano ebree, operaie, insegnanti, poche borghesi, molte casalinghe. Erano per la maggioranza donne robuste, ben sfruttabili per lavorare. Queste italiane che provenivano da estrazioni sociali e culturali diverse, che raramente avevano una formazione politica alle spalle, ma soltanto come unico elemento di coesione l'avversione, l'odio nei confronti dei nazisti e dei fascisti che le avevano arrestate e spesso torturate, queste italiane trovarono forza di reagire, di non lasciarsi andare, di resistere alla disumanizzazione. Impararono il numero a memoria, gli ordini in tedesco ed in polacco, impararono a muoversi, a difendersi, svilupparono le tecniche di sopravvivenza, si passarono i consigli e le informazioni necessarie per non cadere nelle trappole delle corvées più pesanti o dei Kommando più faticosi, impararono a sfuggire alle sorveglianti, si strinsero insieme, svilupparono un rapporto di grande solidarietà, tipico delle piccole minoranze, e non si lasciarono schiacciare.
nei blocchi,
ci furono
dei parti
clandestini
fino all'autunno
del 1944
Nessuna di loro
arriverà ad avere in campo un posto buono, un posto importante, ma, nonostante la loro condizione, resistettero. Ci fu, in quella situazione estrema, una grande solidarietà. Maturarono nel lager una coscienza democratica. Altri cinque trasporti arrivarono tra il novembre del '44 ed il gennaio del '45, ma di quelli non abbiamo molte notizie.
Questo fu anche il periodo in cui nel lager ormai regnava il caos; iniziò la terza fase: Ravensbrück divenne campo di sterminio. Le anziane furono selezionate e mandate in un campo esterno per essere eliminate. Venne costruito un secondo forno crematorio e allestita la camera a gas. La popolazione femminile diminuì sempre più: in marzo all'appello risultavano 37699 donne, a metà aprile solo 11.000. E, mentre la macchine di morte funzionavano a pieno ritmo, le SS vennero a patti con i vincitori, liberarono le norvegesi, danesi, alcune francesi, poi le belghe e le olandesi. Il 26 aprile, ad eccezione di alcune centinaia di donne gravemente malate, le ultime deportate rimaste in lager (russe, jugoslave, ungheresi, italiane, polacche) nella notte dovettero affrontare l'evacuazione. Nessuna aveva più la forza di gioire della liberazione dopo quegli ultimi giorni d'inferno. Ravensbrück fu liberato il 30 aprile dai Russi. Dopo la liberazione, le italiane rimasero sul territorio tedesco per più di quattro mesi prima di rientrare in Patria6. I capi della polizia il 6 maggio 1943 avevano decretato che nei campi di concentramento femminili non dovevano esserci donne incinte, né parti. Ciononostante, diverse testimonianze attestano che nei campi dell'est molti neonati furono uccisi alla nascita a Ravensbrück.
Le donne tedesche non ebree andavano a partorire nelle maternità all'esterno del campo. Negli altri casi, o i medici SS del Revier procedevano a degli aborti, anche in casi di gravidanze avanzate, senza la minima norma igienica, oppure i neonati venivano strangolati o annegati appena nati. A Ravensbrück ci furono dei parti clandestini nei blocchi fino all'autunno del 1944, ma i bambini non avevano alcuna possibilità di sopravvivere. A partire dal settembre '44 Marie Josè de Lauwe, deportata francese, si occupò dei neonati, che dovevano essere mantenuti in vita. La Kinderzimmer, la camera dei bambini, era una piccola stanza situata in un blocco per le ammalate. I bambini erano molto sporchi perché potevano essere cambiati raramente. Assumevano in fretta l'aspetto di vecchi. Ogni giorno il loro numero aumentava perché numerosi convogli di donne e bambini arrivavano per l'evacuazione di campi e prigioni a causa dell'avanzata degli Alleati. In mezzo a loro si trovavano le donne incinte che partorivano in una stanzetta del revier in condizioni disumane. I neonati venivano subito portati alla Kinderzimmer, vestiti con un camicino, un pannolino ed avvolti in uno scialle. Avevano un solo pannolino di ricambio. Molte donne organizzavano la solidarietà nel campo raccogliendo stracci e panni per poter cambiare i neonati.
Alcune madri cercavano di rubare un po' di carbone dal lavoro perché il calore nella stanza era totalmente insufficiente. Per le madri la vita quotidiana e la morte dei loro bambini furono atroci. La giornata iniziava molto presto con una poppata prima dell'appello. Quelle che non avevano latte, ed i casi erano molto frequenti vista la loro alimentazione, nutrivano i loro figli con una miscela di latte e semola, accettabile solo dai più grandi. Quasi tutti i bambini morivano però prima di raggiungere i tre mesi. La solidarietà nel campo aiutò a procurare nuove bottigliette da utilizzare come biberon e molte madri che avevano ancora latte dopo la morte dei loro bimbi allattavano altri neonati. Quando le madri morivano, le infermiere adottavano i loro bambini. Le nascite e le morti dei bambini erano annotate in un Geburtenbuch, registro delle nascite. Alla liberazione, in base alla mortalità media e ai posti occupati dai neonati alla Kinderzimmer la dr. Marie Josè Gombart de Lauwe dice di aver stimato più di 800 bambini nati e quasi tutti morti a Ravensbrück. La cifra, presa dal registro delle nascite, è di 509 nomi di madri che hanno partorito al campo dal 19 settembre 1944 al 22 aprile 1945. Ogni bambino riceveva un numero.
A Birkenau, negli anni '42-'43, le donne incinte venivano ammazzate, mentre, in seguito, potevano partorire e continuare a lavorare: il bimbo veniva soppresso con iniezioni di fenolo o soffocato in una tinozza d'acqua e quindi bruciato in una stufa. Più di una volta le SS mettevano i bambini dentro dei sacchi per lanciarli in aria e colpirli con bastoni o per tirare al bersaglio con le pistole. Chi partoriva segretamente era costretta a soffocare o avvelenare il proprio figlio. A questo punto risulta evidente quanto possano essere differenti le terrificanti esperienze di uomini e donne. La percentuale di mortalità era circa il 74,8%, ma questa non rende conto di tutta la realtà, dal momento che 1/4 dei bambini è morto a Bergen Belsen, vero campo di sterminio, dove regnava il tifo e dove furono spedite le bocche inutili, le ammalate, le donne anziane, le madri e i bambini7. Dalle testimonianze finora raccolte emerge un importante aspetto della deportazione, soprattutto femminile, sovente I terribili
traumi riportati
nei campi
di concentramento
durano
ancora oggi
L'incredulità e
l'indifferenza di chi non ha conosciuto i lager si evidenziano in una totale mancanza di interesse per la tragica esperienza della donna; ciò ha condotto molte deportate ad un graduale isolamento, ad un dannoso ripiegamento su se stesse, mentre diverse patologie s'impadroniscono e turbano ancora oggi il loro stato fisico e psichico.
Ad esempio, un'anziana deportata ebrea è tormentata da musiche e suoni che aveva udito nel lager e che improvvisamente le rimbombano nelle orecchie, come se ancora oggi si trovasse rinchiusa ad Auschwitz. Di altre sappiamo che trascorrono periodi più o meno lunghi in ospedali e luoghi di soggiorno climatico, per forme di tubercolosi, gravi disturbi cardiaci, forme acute di insufficienze respiratorie e affette da arteriosclerosi precoce che degenera in stati depressivi e di rifiuto della vita. E per alcune donne non è mai cessata la sofferenza indicibile di essere state violentate; quindi doppiamente annullate, nella dignità e nella libertà. Dalle testimonianze raccolte si manifesta una specificità della deportazione femminile che coinvolse anche donne che in quel tempo erano prive di qualsiasi consapevolezza politica. In generale si può dire che coloro che, nell'ambito della famiglia, hanno potuto parlare della loro esperienza, sono quelle che meglio si sono inserite nella vita sociale. Resta difficile dire in quale misura l'esperienza del lager abbia influito sulle deportate e sul loro rapporto con la società. La raccolta di notizie di tutto quel vissuto, che è stato il lager, deve essere seguita dalla conoscenza dell'atteggiamento che ogni donna deportata ha avuto, in seguito, nell'inserimento nella vita comune e nell'affrontare lo svolgersi delle vicende quotidiane. Molte donne parteciparono alla Resistenza assicurando il collegamento fra i centri abitati e le formazioni partigiane, portando armi e viveri, curando feriti, aiutando gli ebrei a nascondersi.
La stragrande maggioranza delle donne deportate, ebree e non ebree, fossero esse state partecipi della lotta politica o no, è accomunata dall'aver provato traumi laceranti per gli orrori che conobbero fin dall'arrivo nei campi, tanto che ancora oggi, in molte, rimane l'incapacità di darsi ragione di ciò che pure hanno vissuto. Ciò che ha accomunato tutte le donne che abbiamo intervistato, fossero esse deportate politiche, ebree o zingare, era il sentimento di solidarietà verso le loro compagne di sventura, tra le quali non esisteva discriminazione per differenze di religione, tradizioni, lingue, costumi, educazione. Questa stessa solidarietà ha permesso a molte di loro di fare ritorno nelle proprie case. Tutte vissero tragicamente la perdita dell'identità individuale; traumatico fu denudarsi tra le brutalità degli aguzzini, vedersi un numero tatuato sul braccio, vedersi rasate a zero. Non erano più donne, non erano più individui. "E' rilevante constatare come in tutte le testimonianze non ci sia assolutamente odio, ma solo volontà e speranza che certe esperienze non debbano più ripetersi. Tutte desiderano la Pace, anche se tutte, e sottolineo tutte, si pongono e ci pongono una sofferta domanda: è questo il mondo, è questa la società che speravano di costruire, coloro che sono sopravvissute ai lager?"8
Vorrei concludere con una canzone. Sì, proprio con una canzone. Nell'estate del '44 ad Auschwitz, un gruppo di deportate, quasi tutte molto giovani, compose una canzone, sull'aria di un motivo allora in voga, "Piemontesina bella". Facevano parte dei gruppo le 5 sorelle Szörenyi (di cui solo la più piccola, Arianna, scampò allo sterminio) e forse altre 5 o 6 ragazze, alcune romane, altre forse venete. Anche comporre una canzone sulla propria drammatica condizione era un modo di resistere in quel campo di morte. La canzone cominciava così:
"Svegliamoci presto ragazze, il tedesco è venuto, ci deve contar, svelte andiamo all'appello, formiamo un drappello, laggiù nel piazzal. Perché a lavorar bisogna andar, poco mangiare e il baston. I camerati nemici ci son! Non ti potrò scordare, o prigionia di guerra la pena, il cuor ci serra ci rende triste ognor. Ma poi pensando a casa ritorna l'allegria, la speranza si ravviva Si presto ritornar!"
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