Ciro di Marzio non muore. Spunta fuori da un terremoto, orfano attraversa il mondo in cui vive, vive indossando abiti non suoi (da sottolineare la grande trovata di riprendere Ciro da ragazzo sempre con magliette enormi: provate a contrapporre tutto questo ai giubbini alla moda del Ciro adulto), entra nel mondo della malavita.
Sul piano immaginario (poi vedremo quello simbolico) Ciro non muore mai perché non riesce a morire. Ciro è un predestinato. Viene da lontano, spunta dal nulla e poi ritorna nel nulla, in paesi lontani.
Ciro ritorna perché è condannato a vivere, è condannato a ripetere in eterno la sua recita. Che si snoda su tre registri.
Il primo. Mai credere ad un complimento, mai cedere ad una lusinga. La vita non è altro che conquista del potere e suo mantenimento. Ciro dedica se stesso al potere che si alimenta anche a costo della sua vita individuale. E il potere ha bisogno di Ciro, ha bisogno di qualcuno che crede nella sua esistenza e a quella esistenza è votato al di là di se stesso.
Il secondo. Mai dubitare della propria analisi e del proprio intuito. Ciro sa subito cosa si nasconde dietro ogni parola, ogni gesto. E si muove immediatamente di conseguenza. Anticipazione. Ciro anticipa l’altro, segue conseguenze di conseguenze in modo lineare. La vita diviene logica della vita. E la logica prevede un solo atteggiamento una sola azione, necessaria in quel momento. L’immortalità è quella della logica che continua ad esistere anche in un mondo senza umani..
Il terzo. Ogni sentimento non è altro che vita nel futuro prossimo. Il rapporto con l’altro è o adesione al progetto nell’immediato futuro o è lotta per la sopravvivenza. L’amore compare come sentimento forte per quello che ci si appresta a fare. E l’amore è al pari del potere immortale. Esso vive proiettato in avanti senza posa senza tregua. Nella scena del film la moglie di Virgilio lo incontra per dirgli che lo ama. Ma lo dice senza dirlo, lo dice dicendo che è con lui nella sua guerra. I due non si baciano, non dicono quasi nulla. Tutto è risucchiato in quello che sta per succedere.
La figura di Ciro Di Marzio è sul piano simbolico, una figura soglia. Tra la vita e la non vita. La soglia che Ciro attraversa è quella della finzione scenica. Viene richiamato in vita per rendere possibile che il grande dramma umano si consumi e si svolga. Ritorna in vita da agguati e prove terribili per far vivere e morire Pietro Savastano e Salvatore Conte. Quando la storia deve prendere una piega diversa egli torna dal regno dell’impossibile (la sua immortalità) e diventa uomo. Si incarna tante volte e ritorna sempre lì con la sua fede e la sua lucidità. Ciro Di Marzio si incarna e rende possibile la storia umana. Gomorra è la storia di un male senza redenzione che aspetta la redenzione finale nel cuore dello spettatore. La fine di Gomorra sarà la fine della Storia, la fine del gioco di rispecchiamento tra attore e spettatore, la fine di ogni possibile fraitendimento: davanti al potere cosa opponi, davanti alla lotta per conquistarlo quanto vale la tua esistenza? E questa storia che scorre verso il suo annullamento è resa possibile da colui che è volte uomo a volte dio, sembra morire ma poi risorge, che ritorna sempre immutabile. L’immortalità di Ciro è l’orizzonte delle nostre paure e miserie umane. È colui che torna per portarci avanti lungo il percorso di dolore e affanno che è la nostra vita. Lui sta là, senza promettere alcun paradiso, e ci attende alla fine dei giorni.
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