giovedì 14 maggio 2015

Cinema







 Kai è un mezzosangue dalla natura poco chiara, indesiderato da tutti ma benvoluto dal signore locale, Asano. Davanti ai suoi occhi si svolgerà una lotta tra umano e disumano la cui prima vittima sarà proprio Asano, accusato di tentato omicidio dello shogun e quindi obbligato ad un suicidio per riparare il proprio onore. L'uomo in realtà era posseduto da un demone che trama nell'ombra. I 47 samurai rimasti orfani del proprio padrone (e quindi "ronin") decideranno di vendicarsi contro lo shogun e tutta la corte demoniaca che gira intorno a lui, ben consci che questo significherà una condanna a morte. A loro non potrà che unirsi nonostante le ritrosie iniziali anche Kai, che da anni è segretamente innamorato della figlia di Asano.
Tali e tanti sono gli adattamenti ai dettami del cinema hollywoodiano che si stenta a riconoscere la struttura dell'opera teatrale 47 ronin, ma del resto anche il vero contorno storico. Perchè il 47 ronin americano non ambisce a fare quel che le altre arti ricercavano (il racconto di quanto la realtà dei fatti abbia messo in scena i massimi valori nazionali giapponesi) ma ad usare quel tipo di parabola per creare una storia fantastica, prendere il racconto dei samurai senza padrone che cercano una vendetta mortale e inserirlo in un contesto di mostri e demoni in pessima computer grafica, al limite con il fantastico contemporaneo (quello di Biancaneve e il cacciatore o Il cacciatore di vampiri, che rilegge la storia e i racconti tradizionali contaminandoli di mostruosità) e asservito al medesimo schema narrativo di 300.
Se nel film di Zack Snyder tratto da Frank Miller si celebrava la morte in guerra come forma massima di sacrificio e rispetto del proprio onore battagliero, il 47 ronin di Hollywood celebra la morte in battaglia come forma estrema di fedeltà ad un ideale e un padrone, in un mondo dominato da tutto tranne che dall'onore. Quel che sembra di capire però è che c'era bisogno di un eroe unico per poter penetrare nelle maglie degli studios americani (e della loro percezione del pubblico statunitense), così viene aggiunto oltre alla mitologia demoniaca e ad uno strato superiore di ordine (uno fantastico che si sovrappone agli schieramenti reali, prendendo le parti di padroni e schiavi, eremiti e shogun) anche un protagonista per metà occidentale e una storia d'amore molto posticcia.
In una storia che fin dal titolo porta impresso il marchio del collettivismo il cinema americano inserisce quindi il proprio individualismo, in questo modo i 47 ronin finiscono stranamente sullo sfondo, la loro vicenda è il contesto in cui si muove Kai (Keanu Reeves), il mezzosangue che non può ambire al ruolo di samurai ma che finisce per lottare con i ronin ed essere da loro accettato per il proprio valore. E' una specie di guerriero delle foreste simile al Kikuchiyo che Toshiro Mifune interpretava in I sette samurai ma con in più una gravitas abbastanza ridicola che indica il grado minimo di impegno cinematografico nel rendere complesso un personaggio.
I tratti principali del protagonista sono solo alcuni tra i molti riferimento all'acqua di rose che questo film fa al cinema e alla cultura giapponese, dopo averne stravolto una delle storie più importanti e violentato l'etica. Specie inizialmente si distinguono scene di massa che ricordano Ran e alcuni movimenti eccessivi ed enfatizzati da teatro kabuki (più in là nella storia il teatro si vedrà anche). Ma è solo fumo, ossi gettati per decenza e rispetto della apparenze (anche i demoni hanno un design che sembra la versione mostruosa di alcune creature di Miyazaki), perchè in 47 ronin batte forte un cuore fieramente hollywoodiano che non si lascia scalfire da nulla e ciecamente procede dritto verso la celebrazione dell'individualismo eccezionale con contorno di amor proibito.



Gabriele Niola

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