domenica 27 settembre 2009
Egittologia
Storia del Museo Egizio
Il Museo Egizio di Torino è, come quello del Cairo, dedicato esclusivamente all’arte e alla cultura dell’Egitto antico. Molti studiosi di fama internazionale, il primo dei quali fu il decifratore dei geroglifici egizi, Jean-François Champollion, che giunse a Torino nel 1824, si dedicano allo studio delle sue collezioni, confermando così quanto scrisse Champollion: «La strada per Menfi e Tebe passa da Torino».
Il Museo Egizio è costituito da un insieme di collezioni che si sono sovrapposte nel tempo, alle quali si devono aggiungere i reperti acquisiti a seguito degli scavi condotti in Egitto dalla Missione Archeologica Italiana tra il 1900 e il 1935. Il criterio dell’epoca prevedeva che gli oggetti rinvenuti durante gli scavi fossero ripartiti fra l’Egitto e le missioni archeologiche. Il criterio oggi in vigore prevede che i reperti archeologici rimangano in Egitto.
Il primo oggetto giunto a Torino è la Mensa Isiaca, una tavola d’altare in stile egizittizzante, realizzata probabilmente a Roma nel I secolo d.C. per un tempio di Iside e acquistata da Carlo Emanuele I di Savoia nel 1630. Nel 1724 Vittorio Amedeo II di Savoia fonda il Museo della Regia Università di Torino, presso il palazzo dell’Università in Via Po, cui dona una piccola collezione di antichità provenienti dal Piemonte. Nel 1757, Carlo Emanuele III di Savoia, per arricchire il Museo dell’Università, incarica Vitaliano Donati, professore di botanica, di compiere un viaggio in Oriente e di acquistare in Egitto oggetti antichi, mummie e manoscritti che potessero illustrare il significato della tavola stessa. Gli oggetti raccolti dal Donati, tra cui tre grandi statue, giungono a Torino nel 1759 e sono esposti nel Museo della Regia Università, dove dal 1755 è collocata anche la Mensa Isiaca.
Il Regio Museo delle Antichità Egizie è formalmente fondato nel 1824, con l’acquisizione da parte di Carlo Felice di Savoia di un’ampia collezione di opere riunita in Egitto da Bernardino Drovetti. Questi, di origini piemontesi, aveva seguito Napoleone Bonaparte durante alcune delle sue campagne militari e per i suoi meriti l’Imperatore lo aveva nominato Console di Francia in Egitto. Drovetti, grazie alla sua amicizia con il viceré d’Egitto, Mohamed Alì, riuscì a trasportare in Europa gli oggetti raccolti. La collezione venduta dal Drovetti al sovrano Carlo Felice è costituita da 5.268 oggetti (100 statue, 170 papiri, stele, sarcofagi, mummie, bronzi, amuleti e oggetti della vita quotidiana). Giunta a Torino, è depositata presso il palazzo dell’Accademia delle Scienze (dove si trova tuttora) progettato nel XVII secolo dall’architetto Guarino Guarini come scuola gesuita.
Mentre la Collezione Drovetti è disimballata, Champollion arriva a Torino e nell’arco di qualche mese di febbrile attività ne produce un catalogo, nonostante i disaccordi circa la conservazione dei reperti con il primo direttore, Giulio Cordero di San Quintino. Nel 1832, le collezioni raccolte presso il Museo dell’Università sono trasferite nel palazzo dell’Accademia delle Scienze. Alla guida del Museo si succedono Francesco Barucchi e Pier Camillo Orcurti. Dal 1871 al 1893 il direttore è Ariodante Fabretti che, coadiuvato da Francesco Rossi e Ridolfo Vittorio Lanzone, elabora il catalogo delle opere allora conservate. Nel 1894 la guida del Museo passa a Ernesto Schiaparelli che organizza scavi in numerosi siti egiziani, tra cui Eliopoli, Giza, la Valle delle Regine a Tebe, Qau el-Kebir, Asiut, Hammamija, Ermopoli, Deir el-Medina e Gebelein, dove le missioni sono proseguite dal suo successore, Giulio Farina.
L’ultima acquisizione importante del Museo è il tempietto di Ellesija, donato all’Italia dalla Repubblica Araba d’Egitto nel 1970, per il significativo supporto tecnico e scientifico fornito durante la campagna di salvataggio dei monumenti nubiani, minacciati dalla costruzione della grande diga di Assuan.
Nelle sale del Museo delle Antichità Egizie sono oggi esposti circa 6.500 oggetti. Più di 26.000 reperti sono depositati nei magazzini, in alcuni casi per necessità conservative, in altri perché rivestono un interesse unicamente scientifico (vasellame, statue frammentarie, ceste, stele, papiri) e sono oggetto di studi i cui esiti sono regolarmente pubblicati.
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