Monaco in riva al mare
Caspar David Friedrich
Il paesaggio è un genere iconografico che nasce e si diffonde a partire dal XVII secolo. Esso ha origini nella tradizione barocca e nel classicismo seicentesco che gli conferisce valenze arcadiche, idilliache o bucoliche, a sottolinearne la natura incorruttibile ed edenica. Nella cultura romantica il paesaggio assume significati psicologici, divenendo proiezione del Sé, visione interiore che incontra e trasforma l’altro da sé, ovvero ciò che è esterno all’uomo. Nell’Ottocento vi sono due modalità per rappresentare il paesaggio che bene si accordano al pensiero kantiano, il quale distingue tra un paesaggio sublime e uno pittoresco. Il sentimento del sublime è infatti il tratto saliente della pittura ottocentesca e nello specifico del paesaggio romantico tedesco di Caspar David Friedrich. E nel sublime vanno rintracciate quelle ascendenze filosofiche che hanno determinato la fisionomia e la risonanza di questa grande opera che ha aperto orizzonti stilistici e culturali ai grandi maestri europei del XIX e XX secolo. Il vero tema di questo dipinto è in realtà il vuoto: la figura umana è minuscola e quasi illeggibile.
Caratteri morfologici del rilievo
Il bassorilievo che traduce tridimensionalmente questo dipinto la cui spazialità evoca l’idea dell’infinito senza però ritrarre in forma mimetica la profondità prospettica, si compone di una sezione inferiore, aggettante, che simula la progressione delle dune di sabbia e successivamente quella delle onde, qui ritratte nelle lievi increspature di un mare autunnale non burrascoso. Oltre la fascia che traduce il lembo di terra e la striscia di mare, il cui confine si percepisce lungo la linea d’orizzonte, percepiamo il cielo nuvoloso, con squarci di sereno collocati vicino al margine superiore del rilievo e quindi, idealmente, sopra l’osservatore, identificabile con il monaco meditativo, visto a figura intera, piccolissimo, posto in piedi e decentrato a sinistra rispetto al lettore. Si consiglia una lettura tattile bimanuale lenta e progressiva che dalla sezione inferiore delle dune di sabbia, avvii alla percezione graduale e analitica dell’ondulazione della sabbia e del mare, fino a permettere un’apertura delle mani e quindi una percezione estesa della difformità delle nubi e degli squarci di cielo sereno.Entro una veduta nordica, la cui ampiezza si dilata e contrae al tempo stesso, un monaco in riva al mare volge il proprio sguardo verso un luogo lontano, oltre la linea d’orizzonte che separa le onde marine dalla vastità del cielo. Quell’uomo, posto a sinistra nella composizione, è infinitamente piccolo rispetto all’ampiezza del paesaggio che lo circonda ma lo spazio sembra sovrastarlo e al tempo stesso accoglierlo, come parte di un tutto. Nel cielo dai toni verde-grigio, lividi, alcuni gabbiani si alzano in volo, nubi affollate, soprattutto in prossimità della linea dell’orizzonte, sembrano stemperarsi gradualmente e lasciare spazio, in alto, a uno squarcio di sereno. Lungo la fascia di spiaggia che occupa la sezione inferiore dell’opera, il giallo oro dell’arena contrasta con il verde scuro del mare che, a sua volta, riflette la cupezza del cielo. L’opera ha una forza evocativa che riconduce alla filosofia kantiana, quindi alla distinzione tra paesaggio pittoresco e sublime e pertanto tra un rapporto conciliato con la natura e un rapporto più complesso e drammatico. Lo scarto generato dalla realtà e dalla sua rappresentazione idealizzata, forte d’una percezione della dimensione vertiginosa dell’infinito come incognito, tragico e inattingibile, è qui perfettamente espresso e testimoniato. Al tempo stesso nell’opera di Caspar David Friedrich esiste una pace acquisita mediante lo sviluppo di una profonda consapevolezza della finitezza umana. La “dimensione astratta del figurativo” presente nella sua pittura piega la compresenza di soggetti riconoscibili, a noi familiari, e di atmosfere e allusioni a contenuti che trascendono il mondo sensibile e inducono a leggere questo paesaggio come metafora di una regione dell’anima, totalmente interiore, coincidente a una visione solo apparentemente esteriore. “Quando un paesaggio è avvolto nella nebbia, sembra più vasto, sublime, anima l’immaginazione e rafforza l’attenzione, come una fanciulla velata”, spiega l’artista. Esiste pertanto un modo di vedere, fortemente intuitivo, allusivo d’altro che l’artista comprende, sente e traduce in immagini poetiche. La spazialità prospettica in Friedrich è sostenuta da un vedere attraverso e oltre la rappresentazione mimetica del mondo e del rapporto dell’uomo con la natura. Non si tratta esattamente di un vedere distintamente, piuttosto di un vedere potenziato dalla coscienza e dall’orientamento dello spirito. Caspar David Friedrich con “Il Monaco in riva al mare” percepisce il significato di un’idea di infinito silenzioso, non muto, e lo ritrae mediante una sua fenomenologia dell’invisibile per vedere, nei dettagli nascosto, il senso delle cose. Nelle celebri riflessioni che accompagnarono la ricerca estetica dell’artista, vi è il ruolo preminente di una facoltà mediana chiamata immaginazione creatrice che “in parte percepisce, in parte crea il mondo” e fa dire “ chiudi il tuo occhio fisico, così che tu possa vedere il quadro con l’occhio dello spirito”. La verità della natura e dell’uomo risiede nella coscienza, l’occhio non ha il solo compito di correre sulla superficie delle cose, passandone in rassegna i motivi e godendo del piacere del riconoscimento, l’occhio è costretto ad andare oltre la sensibilità quando esplora nuovi sentieri della regione del sé. Il 13 ottobre 1810, sui Berliner Abendblätter appare un articolo, rimasto famoso, del grande drammaturgo Heinrich von Kleist il quale, a proposito del dipinto, scrive: "....tutto ciò che avrei dovuto trovare nel quadro, lo trovai tra me e il quadro [...] e così io stesso divenni il monaco, il dipinto divenne una duna, ma ciò su cui doveva spaziare il mio sguardo nostalgico, il mare, mancava del tutto. Nulla può essere più triste [...] e poiché nella sua uniformità sconfinata non ha altro primo piano della cornice, guardandolo si ha l'impressione di avere le palpebre tagliate. E tuttavia il pittore ha indubbiamente aperto un cammino nuovo nel campo della sua arte [...]".
Con lo stesso principio di accorata e partecipe consapevolezza della funzione demiurgica dell’arte, Caspar David Friedrich aveva così spiegato la genesi di un’opera:
"L'unica vera sorgente dell'arte è il nostro cuore, il linguaggio di un animo infallibilmente puro. Un'opera che non sia sgorgata da questa sorgente può essere soltanto artificio. Ogni autentica opera d'arte viene concepita in un'ora santa e partorita in un'ora felice, spesso senza che lo stesso artista ne sia consapevole, per l'impulso interiore del cuore".
"Perché, mi son sovente domandato / scegli sì spesso a oggetto di pittura / la morte, la caducità, la tomba? / Ė perché, per vivere in eterno / bisogna spesso abbandonarsi alla morte".
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