domenica 11 settembre 2022

Leggende

Raimondo di Sangro,Principe di Sansevero
Raimondo di Sangro, principe di Sansever (Torremaggiore, 30 gennaio 1710 – Napoli, 22 marzo 1771), è stato un nobile, esoterista, inventore, anatomista, militare, alchimista, massone, mecenate, scrittore, letterato e accademico italiano, originale esponente del primo Illuminismo europeo. Personalità estremamente eclettica e poliedrica, Raimondo si dedicò a sperimentazioni nei più disparati campi delle scienze e delle arti, dalla chimica all'idrostatica, dalla tipografia alla meccanica, raggiungendo risultati che apparvero "prodigiosi" ai contemporanei. Conosciuto anche per antonomasia come "il Principe", il nome di Raimondo è indissolubilmente legato alla Cappella Sansevero, il mausoleo di famiglia che riorganizzò e abbellì, in cui l'opera d'arte più significativa è certamente il celebre Cristo velato di Giuseppe Sanmartino. Raimondo di Sangro alimentò un vero e proprio mito intorno alla propria persona, destinato a durare nei secoli.[3] Con la sua poliedrica attività, ancor oggi avvolta da un alone di mistero, egli incarnò i fermenti culturali e i sogni di grandezza della sua generazione. Raimondo dedicò le statue della Pudicizia e del Disinganno, rispettivamente, alla madre Cecilia e al padre Antonio Rampollo d'un casato discendente da Carlo Magno Raimondo di Sangro nacque il 30 gennaio 1710 nel castello di Torremaggiore, nelle Puglie, dove la famiglia possedeva diversi feudi. L'«incomparabile madre» Cecilia Gaetani dell'Aquila d'Aragona, figlia della principessa Aurora Sanseverino, morì il 26 dicembre dello stesso anno; il padre Antonio di Sangro, duca di Torremaggiore, fu invece costretto ad allontanarsi varie volte dall'Italia per vicende personali. Per questi motivi Raimondo venne affidato, ancora bambino, alle cure del nonno Paolo, sesto principe di Sansevero e cavaliere del Toson d'Oro, residente a Napoli, nel palazzo di famiglia a piazza San Domenico Maggiore. Fu battezzato il 2 febbraio successivo nel Castello di Torremaggiore dal vescovo di San Severo, Mons. Carlo Francesco Giocoli, principe di Jadera. Fu dunque a Napoli - allora capitale del Viceregno austriaco - che il giovane Raimondo trascorse gran parte dell'infanzia e ricevette una prima educazione, venendo avviato allo studio della letteratura, della geografia e delle arti cavalleresche. Sin dalla più tenera infanzia diede prova di vivace intelligenza, tanto che l'Origlia ci narra che «la soverchia vivacità del suo spirito, e la troppa prontezza» indussero il nonno e il padre (appena tornato da Vienna intorno al 1720) ad accompagnare l'enfant prodige presso il Collegio dei Gesuiti, a Roma. Qui Raimondo compì un ragguardevole iter scolastico, dedicandosi allo studio della filosofia, delle lingue (arriverà a padroneggiarne almeno otto), della pirotecnica e delle scienze naturali, dell'idrostatica e all'architettura militare; su quest'ultima disciplina stese pure un saggio, purtroppo rimasto inedito. Negli anni trascorsi a Roma, inoltre, ebbe modo di conoscere e apprezzare il fondo museale di Athanasius Kircher, pregno di allusioni all'ermetismo. Il suo esordio come inventore si data nel 1729 quando, ancora allievo presso i Gesuiti (terminerà gli studi nel 1730), dimostrò il proprio «maraviglioso intelletto» con l'invenzione di un palco pieghevole per le rappresentazioni teatrali, con il quale si guadagnò la stima di Nicola Michetti, ingegnere dello zar Pietro il Grande. Intanto, morto il nonno Paolo, grazie alla rinuncia paterna ne successe nel titolo e nei beni, divenendo a soli sedici anni settimo principe di Sansevero; ereditò anche il Palazzo di Sangro, la romantica dimora degli avi, nella quale si stabilì nel 1737. Fu questa anche l'epoca del primo amore. Il principe, infatti, s'invaghì di una lontana cugina quattordicenne: era costei Carlotta Gaetani dell'Aquila d'Aragona, una ricca ereditiera di molti feudi nelle Fiandre che sposò nel 1736. Il matrimonio, che si rivelerà molto felice e sarà coronato dalla nascita di otto figli, venne celebrato da Giambattista Vico in un sonetto e pure da Giambattista Pergolesi, che musicò la prima parte di un preludio scenico a loro dedicato. In questi anni si moltiplicarono anche le cariche ufficiali, allorché Raimondo venne nominato gentiluomo di camera con esercizio di Sua Maestà dall'amico Carlo III di Borbone, che dal 1734 aveva assunto la guida del Regno di Napoli, mentre nel 1740 gli venne conferito il titolo di cavaliere dell'Ordine di San Gennaro, destinato ad un ristretto gruppo di persone prescelto dalla Corona borbonica. Parallela alle onorificenze, l'attività inventiva: con l'animo sempre «applicato a nuove scoverte», infatti, in questo giro d'anni licenziò un'ingegnosa macchina idraulica e un archibugio in grado di sparare sia a polvere che ad aria compressa, che destinò come attestato di stima all'amico monarca. Negli anni '40 e '50 del XVIII secolo Raimondo vide la propria fama farsi sempre più solida. Nel 1741 ideò un cannone leggerissimo (pesava centonovanta libbre in meno rispetto ad esemplari della stessa specie) e con una gittata molto elevata; nel 1744, ammesso tra i colonnelli di uno dei reggimenti di Carlo III di Borbone, combatté valorosamente a Velletri contro gli Austriaci, distinguendosi per la destrezza e il coraggio. Frutto di quest'esperienza militare fu la Pratica di Esercizj Militari per l'Infanteria, data alle stampe nel 1747: l'opera rifletteva conoscenze esperte nell'ambito dell'arte militare, tanto che fu altamente lodata da Luigi XV di Francia e Federico II di Prussia, e tutte le truppe spagnole adottarono gli esercizi suggeriti dal Principe. Intanto, dopo esser divenuto accademico della Crusca con il nome di Esercitato, Raimondo ottenne il consenso di Benedetto XIV per poter leggere i libri proibiti: gli furono quindi aperte le porte di numerose biblioteche, dove divorò gli scritti di Pierre Bayle, le opere degli illuministi radicali e dei philosophes francesi, testi fitti di suggestioni alchemiche e massoniche e i trattati scientifici più disparati. Ma se da un lato Raimondo in questi anni ebbe fame insaziabile di letture, dall'altro non trascurò l'attività inventiva, ideando coloratissimi teatri pirotecnici e tecniche di stampa simultanea a più colori, preparando farmaci considerati portentosi e realizzando panni completamente impermeabili, che pure regalò a Carlo di Borbone. Nel 1737 Raimondo aderì pure alla Massoneria, un'associazione che provvedeva al riverbero degli ideali dell'Illuminismo europeo, venendo iniziato nella Loggia del duca di Villeroy a Parigi; in breve la cosa si seppe, suscitando un «intrigo» che parve «il maggior del mondo». Nel 1744 divenne venerabile maestro della Loggia la Perfetta Unione, ed il 10 dicembre del 1747 fondò nel suo Palazzo di Famiglia un "Cerchio Interno" alla sua Loggia, che definì Rosa d'Ordine Magno, dalla quale prese vita il Rito Egizio Tradizionale. Nel 1750 divenne gran maestro della Massoneria napoletana. Neanche un anno dopo, infatti, Carlo III - indotto dalla pubblicazione della bolla Providas Romanorum di Benedetto XIV - promulgò un editto con il quale condannò i membri della «rispettabile Società» e chi li frequentasse: a Raimondo non restò che rinunciare, sotto la fede del giuramento, all'appartenenza alla Massoneria, il che non gli impedì di continuare ad essere con il massimo riserbo dovuto, Gran Maestro della Rito Egizio Tradizionale. I rapporti con la Santa Sede, tuttavia, s'inasprirono ulteriormente quando il Principe pubblicò nel 1751 la Lettera Apologetica dell'Esercitato Accademico della Crusca contenente la Difesa del libro intitolato Lettere d'una Peruana per rispetto alla supposizione de' Quipu scritta alla Duchessa di S**** e dalla medesima fatta pubblicare. L'opera, nel tessere le lodi di un antico sistema comunicativo peruviano, trattava tuttavia temi giudicati pericolosi, con frequenti rimandi alla cabala e - secondo le malelingue - all'esoterismo e con fitte citazioni a diversi autori eterodossi che animavano l'Illuminismo radicale dell'epoca. Queste caratteristiche non dovettero piacere ai censori dell'Inquisizione romana che, nel 1752, misero la Lettera all'Indice dei libri proibiti dall'autorità ecclesiastica; neanche l'invio di una Supplica (1753) scritta per mano di Raimondo al pontefice servì per far derubricare l'opera dall'Indice. Disilluso, Raimondo si dedicò con assoluta e piena dedizione all'attività inventiva, installando nei sotterranei del proprio palazzo un laboratorio «con ogni sorta di fornelli», grazie ai quali generò un misterioso lume perpetuo. Ciò malgrado, l'attività che più tenne impegnato il Principe in questi anni fu la realizzazione del progetto iconografico della Cappella, posto in essere dai vari artisti che assunse alle proprie dipendenze: fu così che vennero alla luce sculture dal ricco simbolismo, quali il Cristo velato, della Pudicizia e del Disinganno, oggi considerate capolavori dell'arte mondiale. Intanto, l'estro creativo di Raimondo di Sangro, cui era «impossibile restringersi nell'occupazione di un solo oggetto» continuava a fabbricare straordinarie invenzioni: fu così che il suo laboratorio divenne una tappa indispensabile del grand tour, quel viaggio d'istruzione sul continente giudicato allora quasi d'obbligo per le persone del gran mondo. In questo modo patrizi provenienti da tutta Europa ebbero modo di prendere atto del fervido ingegno del Principe, che proprio in quegli anni creò gemme artificiali e vetri colorati, sperimentò la palingenesi e una tecnica di desalinizzazione dell'acqua di mare, arrivando a fabbricare con la collaborazione del medico Giuseppe Salerno delle sconcertanti macchine anatomiche, ovvero degli scheletri in posizione eretta, totalmente scarnificati, nei quali è possibile osservare molto dettagliatamente l'intero sistema artero-venoso. Nel frattempo, scrisse e pubblicò nel 1765 la Dissertation sur une lampe antique, dove ritornò a discutere su alcuni meccanismi che già affrontò per la realizzazione del lume perpetuo. D'ora innanzi Raimondo, per evitare di incorrere in ulteriori censure, fu assolutamente improduttivo dal punto di vista letterario; ciò malgrado, la sua attività intellettuale non si spense. Molti erano gli esponenti del mondo della cultura che Raimondo si attirava col fascino irresistibile della sua personalità e con la sua brillante erudizione: primo fra di essi Antonio Genovesi, col quale ebbe un denso carteggio, ma anche Fortunato Bartolomeo De Felice, Giovanni Lami, Lorenzo Ganganelli (il futuro papa Clemente XIV), Jean-Antoine Nollet, Charles Marie de la Condamine furono tutti tra i suoi intimi e corrispondenti. Addirittura, l'astronomo Joseph Jérôme de Lalande, affascinato dalla personalità e dalla sterminata cultura del Principe, asserì che «non era un accademico, ma un'accademia intera». In ogni caso, gli ultimi quindici anni di vita di Raimondo furono segnati dalle pesanti difficoltà economiche, che per fortuna non compromisero il completamento della Cappella, e dai contrasti che sorsero con la Corte in seguito alla partenza di Carlo di Borbone (1759); questi dissapori vennero inaspriti essendosi il Principe inviso l'influente ministro Bernardo Tanucci, memore delle vicende massoniche e fiero detrattore dell'eterodossia intellettuale e dell'orgoglio aristocratico che lo caratterizzavano. L'ultima sua uscita pubblica avvenne infine nel luglio 1770, quando un'elegante «carrozza marittima» solcò i flutti del golfo di Napoli, apparentemente trainata da cavalli ma in realtà mossa da un ingegnoso sistema di pale a foggia di ruote. Da lì a poco, infatti, Raimondo esaurì le proprie energie creative, per poi spegnersi il 22 marzo 1771 nel proprio palazzo di Napoli, a causa di una malattia dovuta alle sue «chimiche preparazioni».

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