venerdì 22 dicembre 2017
Cinema
Estate 1980. Sta per prendere il via il Torneo di Wimbledon e i due giocatori più quotati per la vittoria sono lo svedese Bjorn Borg e l'americano John McEnroe. Due tennisti, e due giovani uomini, che non potrebbero essere più diversi, almeno secondo lo storytelling dell'epoca. Borg, già quattro volte vincitore a Wimbledon, è soprannominato "Uomo di ghiaccio": algido, apparentemente privo di emozioni, una macchina segnapunti con un rovescio a due mani che è una fucilata. McEnroe, di tre anni più giovane, è detto invece "Superbrat" perché sul campo impreca, dà in escandescenze e si accapiglia con gli arbitri.
La loro rivalità, in occasione del confronto a Wimbledon, è alimentata ad arte dal circo mediatico: il dio scandinavo e il ribelle di origine irlandese, il martello pneumatico dall'ipnotica oscillazione sulla linea di fondo e il coltello a serramanico dalla lama affilata da sfoderare all'improvviso, come un gangster in uno speakeasy.
Il pubblico sta dalla parte del compassato Borg ma ama anche detestare il collerico McEnroe. E in vista dell'incontro i due campioni si studiano a vicenda, riconoscendo nell'altro la propria stessa voglia di vincere.
Il regista danese Janus Metz Pedersen mette in scena uno dei match più importanti del secolo scorso e ne sottolinea le valenze metaforiche con l'aiuto di una sceneggiatura, firmata dal regista-autore svedese Ronnie Sandhal, estremamente accessibile anche a chi non conosce la storia di quell'evento. La finale di Wimbledon '80 è rappresentata come una partita in cui il match point, se vincesse McEnroe, sarebbe in realtà uno scacco al re, e Metz Pedersen e Sandhal mostrano il percorso obbligato dei due contendenti che, per indole o per pressioni esterne, sono entrambi condannati all'eccellenza. E al contempo fotografano efficacemente la trasformazione epocale del tennis da sport di gentiluomini a spettacolo di rockstar.
Paola Casella
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