Simon, che lavora in una prestigiosa casa d'aste, si unisce a una banda criminale per trafugare un capolavoro di Goya. Durante il furto, però, viene colpito duramente alla testa e il trauma gli impedisce di ricordare dove ha nascosto il preziosissimo bottino. Poiché nemmeno le torture fisiche sortiscono alcun effetto, il capo della banda, Franck, decide di provare con l'ipnosi. Simon sceglie di farsi curare dall'affascinante dottoressa Elisabeth Lamb, ma più la donna si addentra nella mente dell'uomo più il mistero, anziché dipanarsi, s'infittisce.
Dopo la prova di resistenza fisica di 127 ore, Danny Boyle torna ad esplorare le alterazioni degli stati mentali, in un film-puzzle la cui maggior verità riguarda la straordinaria abilità che possediamo di mentire a noi stessi. Pur non risultando incomprensibile, In trance tira decisamente troppo la corda quando, complice il triangolo sentimentale, le versioni e le visioni della coscienza si moltiplicano, s'intrecciano, esuberano. La tensione c'è e, come in ogni film di Boyle, è costruita sul binomio impossibile nervi saldi/psiche esplosa, così come non mancano le immagini ricercate, colorate dal digitale e dal richiamo alla pittura. Ma l'eleganza è un'altra cosa. Non bastano gli interni di lusso e design, l'abito sartoriale di McAvoy né la bellezza superlativa di Rosario Dawson a spogliare il film di una patina di grossolanità che poco gli giova. È un problema di verosimiglianza, che concerne l'aspetto per quel che riguarda McAvoy e il comportamento, nel caso della Dawson (che regge invece bene il ruolo psicologico di protagonista assoluta del film, oltre che l'impegno fisico, ça va sans dire). Ed è un problema di misura, perché gli spunti d'interesse del film rimangono sotterranei, come sul fondo di una cornice da cui è stato asportato il dipinto e il film sembra inseguire esattamente e per tutto il tempo la chimera del dipinto, dimenticando l'importante. Come l'analogia tra la forza occulta della stregoneria evocata dal quadro di Goya, Streghe Nell'Aria, e la forza occulta, sempre femminile, di cui si serve l'ipnotista per vendicarsi del male subito e convertitsi da vittima (Lamb) in artefice del proprio interesse.
Boyle, dunque, si fa prendere dal gioco dei colpi di scena, dall'esercizio dell'art for art's sake e spreca l'occasione del film di genere per consegnarcene uno di puro intrattenimento.
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