mercoledì 1 febbraio 2012

Cinema


Alice e Mattia. Coetanei a Torino. Bambini le cui coscienze sono attraversate da un trauma profondo che non li abbandonerà mai. Alice e Mattia. Si conoscono. Potrebbero amarsi. Si separano (lui accetta un incarico in Germania e lei si sposa). Potrebbero ritrovarsi se consentissero a se stessi ciò che si sono sempre in qualche modo vietati.
Saverio Costanzo alla sua terza prova si assume il non facile compito di rileggere un best seller quale è il romanzo omonimo di Paolo Giordano (con il quale scrive la sceneggiatura). Lo fa con grande coraggio a partire dal nuovo mutamento di stile. Nessuno dei tre film del regista è simile all'altro nello sguardo e nelle modalità di ripresa perché Costanzo adatta il proprio fare cinema (che resta coerente in quanto a scelta di tematiche di base) alla storia che racconta. Questo può spiazzare chi preferisce che un regista rimanga sempre fedele ad elementi linguistici che lo rendano facilmente identificabile e collocabile.
Costanzo destruttura la linearità narrativa del romanzo avvertendoci sin dall'inizio (grazie anche alla musica di Mike Patton e a una grafica di forte impatto) che ci troviamo dinanzi ad un horror. Perché l'orrore della sofferenza attraversa corpi ed anime dei due protagonisti. Alice, la cui lesione fisica verrà spiegata solo molto più avanti ma che da subito determina il suo rapporto con il mondo e Mattia, che ha un vulnus che lo tormenta nel profondo spingendolo all'autolesionismo. Due corpi che potrebbero fondersi ma che restano murati in una solitudine che si presenta come ineluttabile perché il senso di colpa e il sentirsi fuori posto (in una società sempre più spietata sin dalle età più giovani) finiscono con lo spingere a costruire muri in cui si possono aprire solo piccole brecce che sembrano sempre pronte a richiudersi.
I flashback inseguono i flashforward perché il dolore non conosce percorsi canonici e gli eventi che hanno segnato una vita non chiedono il permesso per riemergere. Costanzo ricostruisce la sofferenza del vivere di Alice e Mattia quasi fosse il puzzle che quest'ultimo portò alla festa di compleanno di un compagno di classe che costituì l'atroce punto di non ritorno della sua vita. I pezzi di un puzzle si combinano per associazioni che ogni appassionato al gioco individua in modo diverso e finiscono con il determinare solo alla fine una struttura che origina dal caos di una miriade di pezzi. Così come le vite dei due protagonisti. Così come le vite di molti. Numeri primi divisibili solo per uno e per sé stessi in disperata e talvolta contraddittoria ricerca di una possibilità diversa.Assolutamente perfetta Alba Rohrwacher.

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