giovedì 15 settembre 2016

Cinema







Paul Shepherdson, un agente CIA in pensione, viene richiamato in servizio in seguito all'uccisione di un senatore che aveva rapporti con la Russia. Le modalità dell'omicidio fanno pensare al ritorno sulla scena di un killer sovietico da tempo inattivo il cui nome in codice era Cassio. 'Era' perché Shepherdson, che gli aveva dato la caccia per anni, a un certo punto aveva comunicato di averlo ucciso. Chi non è convinto che Cassio sia morto è il giovane agente FBI Ben Geary che ha dedicato i suoi studi proprio alla figura dell'assassino. Per quanto riluttante Shepherdson gli si deve affiancare in una nuova ricerca di cui è certo di conoscere l'esito.
Il problema di The Double è che allo spettatore viene comunicato l'esito di cui sopra (cioè l'identità di Cassio) trenta minuti dopo l'inizio del film. Una scelta del genere se la poteva permettere Alfred Hitchcock non certo Michael Brandt, qui al suo esordio come regista. Brandt, che scrive la sceneggiatura in coppia con Derek Haas, ha steso, sempre con Haas nel recente passato, le apprezzabili sceneggiature di Quel treno per Yuma, Fast & Furious e Wanted - Scegli il tuo destino.
Questa volta però il gioco non riesce. Perché da quel momento la storia si trasforma in un susseguirsi di colpi di scena per tenere desta un'attenzione che risulta priva di sostegno. Anche perché se Gere ha l'understatement (che ormai gli conosciamo da tempo quasi immemorabile) che è utile al personaggio, Topher Grace non possiede sufficiente appeal per tenergli testa e quindi anche il gioco di coppia si squilibra. Le spy story post guerra fredda come questa debbono essere sufficientemente intricate per stimolare chi guarda a cercare di decodificarne l'intreccio ma debbono anche autogiustificarsi. Qui tutto viene semplificato ritenendo forse che sia sufficiente alzare il volume della colonna sonora musicale per ottenere l'effetto desiderato.
Oltre all'interessante prima mezzora c'è anche un elemento che trasforma il film in una specie di sensore. Hollywood torna a guardare all'Est come a un non solo potenziale pericolo. Richard Gere, che già nel 1997 con L'angolo rosso - Colpevole fino a prova contraria aveva segnalato la non democraticità della nuova Cina, risponde ancora una volta all'appello.



Giancarlo Zappoli

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