lunedì 27 agosto 2012
lunedì 6 agosto 2012
Scienza
Pasadena, 6 agosto 2012 - C'è vita su Marte? Ce lo dirà la sonda Curiosity, atterrata sul Pianeta Rosso in perfetto orario, alle 7,30 italiane, circa sette minuti dopo essere entrata nell’atmosfera marziana. Un atterraggio accolto dal tripudio della folla, riunita davanti al maxi-schemro di Times Square a New York per assistere all'evento. Che lo spazio stia tornando di moda?
UN ROBOT NELLO SPAZIO - Poco prima da Pasadena, in California, il centro di controllo della missione spaziale destinata a durare due anni, forse la più complessa mai tentata con un robot, aveva annunciato di aver ricevuto i primi segnali dalla ‘Curiosity’, rilanciati da un satellite orbitante, indizio che la sonda era riuscita a superare la difficilissima fase dell’approccio a Marte. Subito dopo l’atterraggio la ‘Curiosity’ ha inviato sulla Terra le prime due immagini della superficie del pianeta.
La gigantesca sonda robotica ha seguito una procedura mai sperimentata prima: è entrata nell’atmosfera marziana decelerando velocemente e aprendo il paracadute, che poi è stato espulso andandosi a schiantare a circa 150 metri dalla Curiosity.
COME UNA SMART - Grosso e pesante come un’auto ‘Smart’, il robot ha un reattore nucleare che alimenta, oltre ai laboratori di analisi a bordo, anche un laser capace di vaporizzare la roccia fino a 7 metri di distanza per analizzarne la composizione.
Dispone in tutto di dieci strumenti, per un peso complessivo pari a una tonnellata, che avranno lo scopo di perlustrare fino al 2014 uno dei luoghi più interessanti di Marte: l’inesplorato cratere Gale, una formazione da impatto vecchia almeno 3,5 miliardi di anni abbastanza per poter aver assistito all’eventuale presenza della vita sul Pianeta Rosso. Mostrano un orizzonte piano le immagini già ricevute dalla Nasa.
C'E' VITA SU MARTE? - L’intento consiste appunto nello scoprire se Marte abbia mai offerto un ambiente favorevole allo sviluppo microbico. Il costo della ‘Curiosity’ è di 2,5 miliardi di dollari, equivalenti a oltre 2 miliardi di euro. Delle precedenti diciannove missioni americane su Marte, sei sono fallite.
Cinema
Ravenna è una bambina strappata precocemente all'abbraccio della madre da un re malvagio e affamato di bellezza. Battezzata da un incantesimo e determinata a vendicarsi degli uomini, Ravenna cresce in potere, magia (nera) e beltà, disponendo eserciti di ombre, innamorando sovrani e rovinando regni. Incantato il padre di Biancaneve, vedovo dolente e sconsolato, ne diventa regina e padrona. Assassinato nel talamo nella prima notte d'amore, spegne il suo reame e rinchiude la sua bambina nella torre più fredda del castello. Gli anni passano e Biancaneve matura una bellezza che specchio e regina non possono davvero ignorare. Minaccia e insieme soluzione, il cuore di Biancaneve è una promessa di immortalità per Ravenna che ordina di condurla al suo cospetto. Ma la principessa trova la fuga e infila la via del bosco, vendendosi care pelle e cuore. Assoldato un cacciatore ebbro e impulsivo, la perfida Ravenna lo lancerà all'inseguimento della fuggitiva, perduta in una foresta ostile, dove la soccorreranno nani, fatine, principi pallidi e cervi radiosi.
Un film (Biancaneve), un c'era una volta e una mela avvelenata dopo, arriva in sala la Biancaneve di Rupert Sanders ed è subito sfida tra ‘belle del reame'. Se la bellezza rossa e svettante di Julia Roberts è minacciata da quella minuta e lunare di Lily Collins, quella bionda e folgorante di Charlize Theron è provocata da quella pallida e introversa di Kristen Stewart, di nuovo contesa in un triangolo, di nuovo condivisa nel talamo.
Ieri erano un vampiro e un licantropo (Twilight), domani saranno uno scrittore e un fedifrago (On the Road), oggi sono un principe e un cacciatore, che ha smesso l'abito di Thor ma ha conservato l'appeal degli dei. Lasciando allo specchio magico e al Paride mitologico giudizio e conferimento di ‘mela' e titolo, sfuggiamo la tentazione di eleggere ‘la più bella' evidenziando l'implacabile sistema competitivo che muove Biancaneve e il cacciatore, film indeciso tra fiaba e fantasy, tra fedeltà e tradimento. Come nelle pagine dei fratelli Grimm, Biancaneve si ‘raccomanda' a Dio ma al contrario dell'originale cade in tentazione una volta sola mordendo la mela, si lascia baciare da due ‘principi', combatte dentro un'armatura e alla maniera di Giovanna d'Arco contro una regina ‘posseduta' e liberata come un nosferatu con una stilettata al cuore.
Seguendo la tendenza di tanto cinema contemporaneo a rinnovare il repertorio dei classici, Sanders pesca nel pozzo fiabesco dei Grimm e realizza un film in costume contraddistinto da modifiche sostanziali nella caratterizzazione dei personaggi e nella struttura stessa dello sviluppo narrativo. Più interessanti degli esiti sono i ‘ritocchi' che nelle recenti riedizioni ‘riformano' l'eroina ‘bianca come la neve e bruna come l'ebano'. Sopravvissuta all'immancabile mela, grazie a un bacio o a un rigetto miracolistico, Biancaneve è una guerriera, laica per Tarsem Singh, cristiana per Rupert Sanders, una fanciulla in fiore che s'inventa una nuova identità, rivolgendosi con determinazione a un pubblico femminile a cui nega (quasi) ogni gratificazione consueta. Perché, che siano nani ‘trampolati' o un cacciatore potente come un ‘tuono', Biancaneve viene addestrata all'arte della guerra, compiendo la sua ascesa sociale a colpi di spada e di (buona) volontà. Nessun principe azzurro canonico spalleggia la principessa di Kristen Stewart, piuttosto un team di natural born losers (sette nani minatori convertiti al furto e un cacciatore vedovo e sbronzo) lanciati contro le ingiustizie e i tempi correnti, quando i ‘cattivi' non basta più sgominarli ma bisogna anche ‘capirli'. Si costruiscono allora psicologie ben definite e background fantasiosi a figure trascurate (ma non trascurabili), attribuendo loro un nome, un passato e un trauma che ne giustifichi la monomania (Ravenna), la cialtroneria (Eric), la furfanteria (i sette nani).
Se convince la final girl forte delle sue debolezze, votata alle scelte estreme, ‘do or die', e proiettata verso lo scontro uno a uno con la strega nera, una ‘superba' Charlize Theron, barbara massacratrice di ‘figlie', l'illustrazione del trascorso traumatico della matrigna, del cacciatore e dei nani (cavatori ripudiati dalla società civile), priva lo spettatore della possibilità di interpretare, producendo ridicolo involontario e profondità dove non se ne sentiva il bisogno. La voglia di piacere troppo spesso rovina la favola e la bella della favola.
Poesie
Guarda le stelle: molte ardono
Nel silenzio della notte
E splendono attorno alla luna
Nell'azzurro del cielo.
Guarda le stelle: tra esse ce n'è una
A me più cara di ogni altra.
Per quale ragione? Si alza per prima
O brilla più vivida?
No! Il suo lume conforta cuori amici
Costretti a separarsi,
e i loro occhi si incontrano in lei,
lassù in alto nell'azzurrità.
Appena la vedi apparire nel cielo,
ti guarda pensosa anch'essa,
e il suo sguardo risponde al tuo
e teneramente riarde.
Nel turchino della notte non stacchiamo
I nostri occhi da lei:
la seguiamo dalla terra al cielo
e dal cielo alla terra.
E tu, hai già scelto la tua stella?
Nel silenzio della notte
Molte splendono e ardono
Nell'azzurro del cielo.
Non affidare il tuo cuore alla prima
Che vedi a te davanti,
non dir tua, futile in amore,
la più fulgida di tutte,
ma chiama invece tua solo la stella
che guarda pensierosa,
e il cui sguardo risponde al tuo
e teneramente riarde.
Evgenij Baratynskij
sabato 4 agosto 2012
Libri
Nel dicembre del 1957 un lungo inverno di cenere e ombra avvolge Barcellona e i suoi vicoli oscuri. La città sta ancora cercando di uscire dalla miseria del dopoguerra, e solo per i bambini, e per coloro che hanno imparato a dimenticare, il Natale conserva intatta la sua atmosfera magica, carica di speranza. Daniel Sempere - il memorabile protagonista di "L'ombra del vento" è ormai un uomo sposato e dirige la libreria di famiglia assieme al padre e al fedele Fermín con cui ha stretto una solida amicizia. Una mattina, entra in libreria uno sconosciuto, un uomo torvo, zoppo e privo di una mano, che compra un'edizione di pregio di "Il conte di Montecristo" pagandola il triplo del suo valore, ma restituendola immediatamente a Daniel perché la consegni, con una dedica inquietante, a Fermín. Si aprono così le porte del passato e antichi fantasmi tornano a sconvolgere il presente attraverso i ricordi di Fermín. Per conoscere una dolorosa verità che finora gli è stata tenuta nascosta, Daniel deve addentrarsi in un'epoca maledetta, nelle viscere delle prigioni del Montjuic, e scoprire quale patto subdolo legava David Martín - il narratore di "Il gioco dell'angelo" - al suo carceriere, Mauricio Valls, un uomo infido che incarna il peggio del regime franchista...Un libro entusiasmante primo per la scrittura spumeggiante di Zafòn che sa essere esilarante anche nei momenti topici del romanzo dimostrando una padronanza felice della scrittura e della materia trattata;Secondo per la trama avvincente che non lascia tregua al lettore,bisogna continuare pagina dopo pagina e la storia è talmente scorrevole che vi ritroverete a leggere oltre 300 pagine in due giorni,ma pagine dense come la nebbia d'inverno e profumate o puzzolenti a seconda dell'impressione che l'autore vuole trasmettere.Capisco perchè questo autore abbia cosi tanto successo,perchè pur riprendendo la tradizione del romanzo di lingua spagnola sa aggiungere a questa spezie odorose provenienti dalla letteratura latino-americana,che traspare come fonte ispiratrice dell'autore in ogni pagina.
Cinema
Germania Federale, 1967. Durante una manifestazione pacifica contro la visita di Stato dello Scià di Persia Reza Pahlavi e consorte, la polizia attacca duramente i manifestanti e spara e uccide lo studente Benno Ohnesorg. Ulrike Meinhof, moglie, madre e giornalista militante della sinistra radicale tedesca, scrive articoli di fuoco contro l’intervento americano in Vietnam e in difesa degli studenti liquidati dal governo e dalla stampa come meri teppisti. Dopo l’incendio acceso in un magazzino di Francoforte, Ulrike conosce e intervista in carcere una delle responsabili: Gudrun Ensslin, figlia disinibita di un pastore protestante, madre di un figlio ripudiato e compagna di politica e di cuore di Andreas Baader. Affascinata dalla forza delle loro idee e della loro azione politica, la giornalista aiuta Gudrun a far evadere il suo compagno nella primavera del ‘70. L’evasione di Baader diventa l’atto di nascita della RAF (Rote Armee Fraktion) e avvia la clandestinità della Meinhof. Elaborato il manifesto programmatico del gruppo armato, la Meinhof segue i compagni nei campi militari palestinesi, dove verranno addestrati alle armi e alla guerriglia urbana. Baader, Meinhof e Gudrun, rientrati in patria, rapinano le banche e compiono attentati dinamitardi e omicidi per abbattere il capitalismo e lo “Stato maiale”. Inaugurano in questo modo dieci anni di piombo e sangue che li condurranno dritti all’inferno, condannandoli all’isolationsfolter e al suicidio collettivo nella divisione di massima sicurezza di Stammheim. Dietro di loro resteranno soltanto l’ottusità dogmatica e i troppi caduti incolpevoli.
È incredibile come due film distanti anni luce per concezione di linguaggio e per intenzioni artistiche, come La banda Baader Meinhof di Uli Edel e Buongiorno, notte di Marco Bellocchio, attraversino lo stesso territorio (la ribellione collettiva delle lotte sociali confluita e seppellita definitivamente dalla lotta armata) legati da innumerevoli interferenze e da sorprendenti contiguità. Concepiti in una libertà di ispirazione completa e disinteressata a dimostrare una tesi, le due opere si muovono dentro il sogno o dentro l’action a partire dai dati di realtà, dalla cronaca e dalle testimonianze di eventi cruciali che hanno generato infinite storie e mitologie. È evidente che combinati i due aspetti finiscano col rimandare e alludere a questioni politiche ancora brucianti, generando nello spettatore rimproveri o encomi secondo le differenti sensibilità chiamate in causa dai film. Innestando immagini documentarie nel fluire di un racconto di finzione, Edel, come Bellocchio, non vuole tanto restituire all’epoca la sua verità in termini di “costume” ad uso della verosimiglianza dell’assunto, quanto creare il contrappunto della Storia con cui finiscono per interagire i personaggi in una sorta di montaggio delle attrazioni fra gli eccidi legittimati dai governi (Vietnam, Cambogia, Palestina) e le esecuzioni dell’uomo politico (o economico), segnalando l’equivalenza fra gli atti criminali statali e quelli dei combattenti della RAF. Chi ha accusato Edel di aver fallito l’obiettivo dichiarato di smontare il mito della RAF o di essersi magari soltanto limitato a questo, non ha intuito l’insistenza su una prospettiva altra, più profondamente umana e lucida. Non ha avvertito il dolore costante che attraversa il film e che pesa sulle spalle dei suoi straordinari interpreti, sulla morte “per fame” di Holger Meins e sull’epilogo, l’omicidio a sangue freddo dell’industriale Hanns Martin Schleyer eseguito dalla “seconda generazione”.
In quelle due immagini c’è l’impatto dell’emozione, il dolore per la perdita di una vita, il rimpianto per tutto quello che avrebbe potuto essere e non è stato, per il funerale dell’essere umano lasciato senza consolazione in un bosco o nel corridoio di un penitenziario. La banda Baader Mainhof ci rammenta che se gli anni Sessanta furono quelli del rinnovamento e dei movimenti, gli anni Settanta furono quelli del dolore e del rimpianto. Furono la strana normalità di tre ragazzi chiusi in casa e scesi in strada per godere della libertà come violenza, saltando da una finestra in un vuoto allucinatorio, nell’utopia della distruzione e del suo potere salvifico. Nella velocità dell’action Edel coglie e abita fino in fondo la dimensione sospesa della decennale esperienza terrorista, ostaggio del proprio delirio. Se la notte di Bellocchio riscopriva il (buon)giorno, quella di Edel non sa sognare albe né può offrire fughe immaginarie ai prigionieri di questa tragedia.
Pensieri
Oggi, un bimbo mi chiede:
"Ma il cuore sta sempre nello stesso posto,
oppure, ogni tanto, si sposta?
Va a destra e a sinistra?"
Io: "No, il cuore resta sempre nello stesso posto.
A sinistra .. "
Ed intanto penso...
Poi, un giorno, crescerai.
Ed allora capirai che il cuore vive in mille posti diversi,
senza abitare, davvero, nessun luogo.
Ti sale in gola, quando sei emozionato....
O precipita nello stomaco, quando hai paura, o sei ferito.
Ci sono volte in cui accelera i suoi battiti
e sembra volerti uscire dal petto.
Altre volte, invece, fa cambio col cervello.
Crescendo, imparerai a prendere il tuo cuore
per posarlo in altre mani.
E, il più delle volte, ti tornerà indietro un po' ammaccato.
Ma tu non preoccupartene.
Sarà bello uguale.
O, forse, sarà più bello ancora.
Questo, però, lo capirai solo dopo molto, molto tempo.
Ci saranno giorni in cui crederai di non averlo più, un cuore.
Di averlo perso.
E ti affannerai a cercarlo in un ricordo,
in un profumo,
nello sguardo di un passante,
nelle vecchie tasche di un cappotto malandato.
Poi, ci sarà un altro giorno.....
Un giorno un po' diverso.....
Un po' speciale.....
Un po' importante....
Quel giorno capirai ...
che non tutti hanno un cuore..
giovedì 2 agosto 2012
Poesie
I miei incantesimi sono infranti
“I miei incantesimi sono infranti. / La penna mi cade, impotente, dalla mano tremante. / Se il mio libro é il tuo caro nome, per quanto mi preghi, / non posso più scrivere.
Non posso pensare, né parlare, / ahimé non posso sentire più nulla, / poiché non é nemmeno un’emozione, / questo immobile arrestarsi sulla dorata / soglia del cancello spalancato dei sogni, / fissando in estasi lo splendido scorcio, / e fremendo nel vedere, a destra / e a sinistra, e per tutto il viale, / fra purpurei vapori, lontano / dove termina il panorama nient’altro che Te. ” //
Edgar Allan Poe
Accadimenti
Bologna - Erano in 8.000, le persone che questa mattina hanno sfilato da piazza del Nettuno fino alla stazione di Bologna per commemorare le strage del 2 agosto 1980. Molte le autorità presenti tra cui il Sindaco di Bologna Virginio Merola e il presidente della Regione Vasco Errani oltre a consiglieri locali, politici, forze dell'ordine e tantissimi comuni cittadini. Al corteo anche Salvatore Borsellino, fratello del magistrato ucciso dalla mafia: "Sono qui per far sentire la mia vicinanza ai familiari delle vittime di Bologna perché la nostra sia una lotta comune”, ha dichiarato. Molti anche i gonfaloni degli enti locali, non solo emiliano-romagnoli. Presenti quelli della Provincia di Prato, di Trento, Bari, Milano, Firenze, Fucecchio (Pistoia), Castelfiorentino (Arezzo), Verona (il sindaco Flavio Tosi ha inviato anche una targa commemorativa), la Regione Toscana e la Puglia.
II Ministro degli Interni. In rappresentanza del Governo il Ministro degli Interni Anna Maria Cancellieri che torna a Bologna dopo esserne stata il commissario prefettizio in seguito alle dimissioni del sindaco Flavio Delbono.
"Considero un onore poter essere qua, non e' la prima volta. Sono onorata di poterlo fare oggi come rappresentante del Governo". E aggiunge. "Per troppo tempo abbiamo assistito all'indecoroso esibizionismo dei carnefici, che ha prevaricato i diritti delle vittime. E' una stortura della nostra democrazia, e' un prezzo altissimo che dobbiamo pagare per la conquista e il consolidamento dei valori di liberta' che proprio il terrorismo vuole negare". Cancellieri assicura: "Io sono con voi, pronta a percorrere tutte le strade che possono portarci a comprendere quello che accadde in quegli anni". Il ministro ricorda le parole del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e invita a una ricerca della verita' fatta con "rigore di metodo e giusto distacco, senza pregiudizi di sorta e con spirito laico". E poi scherza una volta scesa dal palco delle commemorazioni ricordando le contestazioni che si susseguono negli anni: "Io, il primo ministro applaudito in 32 anni? C'e' sempre una prima volta...".
Il capo dello Stato. Giorgio Napolitano, come ogni anno ha inviato una lettera alla città e ai familiari delle vittime. "Nel trentaduesimo anniversario della strage rivolgo il mio pensiero commosso alle ottantacinque vittime di quel vile atto terroristico e agli oltre duecento feriti, rimasti indelebilmente segnati dall'orrore di quella mattina, e sono vicino ai famigliari delle vittime e dei feriti. Il decorrere del tempo non lenisce il loro dolore e rinsalda in essi l'impegno nel perpetuare la memoria di uno dei più tragici fatti della storia del nostro paese". “In questa ottica, assumono particolare importanza sia le iniziative intraprese per ricostruire ogni aspetto delle inchieste giudiziarie e parlamentari sulla strage sia quelle, umanamente toccanti, che ripercorrono quel drammatico 2 agosto 1980 attraverso i volti e le storie delle vittime e di tutti coloro che hanno visto violentemente interrotti sogni, speranze...”
La Curia di Bologna. “Chi sa parli!” ha detto anche il numero due della Curia, monsignor Giovanni Silvagni, questa mattina nell'omelia durante la messa di suffragio in ricordo delle vittime. Ed ha aggiunto: "alla luce di Cristo dobbiamo aggiungere anche che nessuna giustificazione potra' mai approvare quelle stragi, l'operato dei mandanti e degli esecutori, ma neppure potra' approvare i silenzi, le omissioni, le verita' di comodo e quelle precostituite, gli insabbiamenti, i depistaggi a cui tutti i regimi fanno ricorso".
La polemica. A margine del discorso del presidente dell'Associazione delle vittime Paolo Bolognesi le polemiche con il deputato di Fli Enzo Raisi che non crede alla matrice neofascista e a Mambro e Fioravanti come esecutori materiali (i due sono stati condannati per il delitto) ma avvalla una pista teutonico-palestinese. Secondo il deputato bisogna cercare la traccia che porta a un carico di esplosivo palestinese transitato a Bologna ed esploso in seguito a decisioni ancora da accertare. Dopo un attacco ricevuto da Raisi in merito alla sua legittimità a rappresentare le vittime il presidente dell'Associazione stragi Paolo Bolognesi accusa il deputato di voler confondere le acque e che ci siano“altissime protezioni a livello istituzionale per difendere chi commise la strage”.
mercoledì 1 agosto 2012
Scienza
NEW YORK – La fine della Terra non è proprio dietro l'angolo, ma due scienziati sono riusciti a fissarne la data. Tra 7,59 miliardi di anni il nostro pianeta morirà, inghiottito da un sole sempre più infiammato e rosso che lo attrarrà inesorabilmente fuori della sua orbita, condannandolo alla fine. È la catastrofica tesi che emerge da uno studio condotto da due astronomi, Klaus-Peter Schroeder dell'Università di Guanajuato in Messico e Robert Connon Smith dell'Università di Sussex in Inghilterra, pubblicato sulla prima pagina del New York Times.
FUORI ORBITA - La loro ricerca che sta per essere pubblicata sull'inglese Monthly Notices of the Royal Astronomical Society giunge ad una conclusione sconcertante: la terra uscirà dall'orbita tra 7,59 miliardi di anni a causa della incontenibile attrazione magnetica del sole, sempre più "congestionato e rosso", e morirà di una morte "rapida e vaporosa". «Del pianeta, alla fine, non rimarrà neppure un frammento», scrive il New York Times che descrive lo studio come «l'ultima e la più pessimista puntata di un dibattito sul futuro del nostro pianeta». Soltanto l'anno scorso gli scienziati teorizzarono la sopravivenza della Terra, anche dopo il decesso del sole, quando lo scienziato italiano Roberto Silviotti dell'osservatorio di Capodimonte, scoprì un pianeta gigante che orbitava attorno ad una stella morta nella costellazione di Pegaso.
COLONIZZARE LA GALASSIA - «È una scoperta un po' deprimente - ha commentato il professor Connon Smith - Ma la possiamo interpretare anche in un altro modo: può essere un incentivo per l'umanità a cercare il metodo per lasciare il pianeta e colonizzare altre aree nella galassia». Per quanto riguarda l'attaccamento sentimentale a certe bellezze geografiche della Terra, ha precisato: «È bene ricordare che l'impatto dell’India con il continente asiatico che ha dato vita alla catena dell'Himalaya risale a una sessantina di milioni di anni fa. Un battito di ciglia – afferma – se paragonato ai miliardi di anni di cui stiamo parlando».
ESPANSIONE - A condannare la Terra, secondo la teoria dell'evoluzione stellare, è il fatto che il sole si sta espandendo gradualmente, diventando più grande e luminoso. Basta pensare che il suo bagliore nei primi 4 miliardi e mezzo di anni di vita è cresciuto del 40%. «Tra un miliardo di anni il sole sarà almeno 10 volte più ampio e lucente di quanto non sia oggi», teorizza lo studio, «Facendo evaporare oceani e continenti. Persino Mercurio e Venere saranno inghiottiti e scompariranno».
GIGANTE ROSSO - Proprio in quel periodo terminerà il «carburante» del sole, cioè l'idrogeno del suo nucleo e per questo motivo comincerà ad alimentarsi con l'idrogeno dei suoi raggi. Questo comporterà una espansione gassosa di incredibili proporzioni. Mentre il nucleo si contrarrà, riducendo la massa, i raggi esterni si espanderanno fino a trasformare l'attuale motore del sistema solare in un gigante rosso 250 volte più grande di oggi.
L’unica via di salvezza per gli androidi, gli scarafaggi o chiunque abiti la terra tra un miliardo d’anni? «Spostare l’orbita della Terra, per allontanarla dal sole», rispondono Don Korycansky e Gregory Laughlin, autori di uno studio realizzato nel 2001 che teorizza l'insolita scappatoia per la sopravvivenza del Pianeta. Ma i rischi sono enormi. «Basterebbe un piccolo errore di calcolo per farla scontrare accidentalmente con un asteroide o cometa», è costretto ad ammettere Laughlin, «E se si dovesse allontanare troppo dal sole, potrebbe cadere in un inverno senza fine e morire comunque».
Poesie
Ma nell’aldilà
nessuno nessuno ci separerà:
saremo due gocce di pioggia uguali
o saremo due moscerini con le ali
saremo due lumachine lente liete
o due puntini splendenti di stelle comete
saremo due granelli di terra rotondi
o saremo due insettini vagabondi
uno davanti l’altra dietro
cammineremo cammineremo
circumnavigheremo il vetro
della finestra chiusa ma se aperta
via via per l’alto del cielo punteremo
di tanto in tanto Lei si girerà
controllerà che anche io ci sia
ci sarò ci sarò anima mia.
Vivian Lamarque
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