mercoledì 28 dicembre 2011

Cinema


Kathy H. è una badante che affianca i pazienti durante le donazioni degli organi. In un lungo flashback ricorda l'infanzia e l'adolescenza trascorse nel college inglese di Hailsham, l'amicizia con Ruth e l'amore per Tommy. Durante quegli anni i protagonisti vennero informati da una tutrice che il loro destino era già stato pianificato. Kathy si presenta con l'iniziale del suo cognome: ‘H'. Questa mutilazione anagrafica (oltre che citazione kafkiana) prefigura già una privazione dell'identità. I tre protagonisti non accenneranno mai ad un'origine o ad un legame di parentela. Vivono questa condizione di orfani, assuefatti alla grigia e silente crudeltà di Hailsham, un college mengheliano che li riduce a polli da batteria per servire il progresso scientifico. Sono creature che non diranno mai ‘io'.
Il film è un thriller soffuso, cadenzato, con tinte fosche e angoscianti. Prevalgono tonalità grigie dalle divise collegiali alle mura degli ospedali. La scenografia firmata da Mark Digby (The Millionaire) è tutt'uno con lo stato d'animo e la condizione larvale della vita. L'unica vibrazione che scuote lo stato emotivo, destando sogni e desideri, è espressa dal ritornello di una canzone :‘Darling, hold me and never never never let me go'. Dalla penna di Kazuo Ishiguro, scrittore nato a Nagasaki e cresciuto nel Paese dove è avvenuta la clonazione della pecora Dolly, non poteva mancare un confronto con le conseguenze del progresso scientifico. Un confronto che diviene interrogativo sulla condizione umana, sull'omologazione, la libertà individuale e la pressione di un potere che vorrebbe livellare il pensiero. Il suo romanzo ‘Never let me go' al quale ha lavorato per quindici anni, anche se descrive un mondo parallelo dominato dalla clonazione, è tragicamente umano. Ci sono dentro gli interrogativi sulla scienza, sul senso dell'amore, dell'amicizia e dell'arte.
La regia di Mark Romanek (celebre autore di video musicali come ‘Bedtimestories' di Madonna o ‘Scream' di Michael Jackson) fedele alle intenzioni di Ishiguro, riesce a condurre l'esperienza reale e ordinaria della vita di un college inglese, verso un piano sempre più astratto e metaforico. La tragedia di questa lenta rassegnazione al destino è tramata con un'eleganza tipicamente nipponica, senza contrasti, atti di forza o ribellione. La scelta degli attori adulti è suggestiva oltre che ispirata. La coppia Ruth – Tommy (interpretata da una metafisica Keyra Knightley e uno stilizzato Andrew Garfield) è lunare e consunta. Entrambi sembrano emergere dal dolore dei dipinti di Munch, Kirchner e Kokoschka. Nessuno di loro metterà al mondo bambini perché ‘generare' è un atto creativo e la ‘creatività' è bandita dalle loro vite. Per questo c'è una sessualità triste, frustrata come quella immortalata dagli espressionisti. Si tratta di una prigionia psichica, più affilata e capillare di quella schiavistica, che non contempla la salvezza.
L'immagine dell'uomo che non può più mettersi in viaggio e cercare, è espressa dalla nave sdraiata sulla sabbia, arrugginita ed in-ferma. Una nave che non può più sperare l'orizzonte. Vale la pena vivere se l'identità è censurata? Cosa resta all'uomo se può fare a meno della creatività per rispondere ad una volontà estranea al cuore? Se perdiamo noi stessi a che vale il progresso scientifico? Veniamo consegnati alla morte se le idee si spengono, sembra svelarci sottovoce questo film esangue e magnifico,intenso e disperato.Pura bellezza.

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