lunedì 7 marzo 2011

Racconti


Ella poi gli andò incontro ed insieme con lei andava un’ancella con il figlio sul seno, ingenuo, così piccolo, l’amabile figlio di Ettore, simile ad una bella stella, che Ettore soleva chiamare Scamandrio, ma gli altri Astianatte; perché Ettore era il solo che salvava Ilio. In verità egli volgendo lo sguardo verso il figlio, sorrise in silenzio; Ma Andromaca si accostava vicino a lui versando lacrime, gli strinse la mano, gli parlò e lo chiamò per nome: “Infelice, il tuo coraggio ti distruggerà e non hai pietà del figlio piccolo e di me sventurata che presto sarò vedova di te: presto infatti ti uccideranno gli Achei avventandosi tutti (contro di te); per me sarebbe preferibile, rimasta priva di te, discendere sottoterra; poiché per me non ci sarà più altro conforto, quando tu abbia seguito il (tuo) destino, ma (solo) dolori; né ho io mio padre e la veneranda madre. Certamente l’illustre Achille uccise nostro padre, distrusse la città dei Cilici, Tebe dalle alte mura ben abitate: ed uccise Eezione, e non lo spogliò delle armi, ma tenne ritegno di ciò in cuore ma lo bruciò con le armi artisticamente lavorate e gli eresse un tumulo, e piantarono intorno olmi le ninfe dei monti (Oreadi), figlie di Zeus egioco. Ed i miei sette fratelli che erano nelle sale (case), essi tutti in un sol giorno andarono nell’Ade; infatti Achille dai piedi veloci li uccise tutti presso i buoi che trascinano i piedi e le bianche pecore. (Mia) madre che regnava sotto il selvoso Placo, dopo che l’ebbe condotta qui con gli altri bottini, poi la liberò con innumerevoli doni di riscatto, ma nelle case del padre la colpì Artemide saettatrice; O Ettore, tu per me sei padre, veneranda madre e fratello, tu per me sei florido sposo; Suvvia ora abbi pietà e resta qui sulla torre e non rendere il figlio orfano e la moglie vedova; Ferma l’esercito presso il caprificio dove la città è sommamente accessibile ed il muro scalabile. Infatti per tre volte venendo in questo luogo lo tentarono i migliori compagni dei due Aiaci, del molto illustre Idomeneo, compagni degli Atridi e del forte figlio di Tideo; o forse l’ha detto qualcuno che sa bene i responsi, oppure l’animo loro li spinge e li comanda.”
Di rimando il grande Ettore agitator dell’elmo le rispose: “Certamente tutto ciò anche a me sta a cuore, o (cara) consorte; ma in maniera assai tremenda ho vergogna dei Troiani e delle Troiane dai lunghi pepli qualora sfugga come un vile lontano dalla guerra; né l’animo mi invita (a ciò), poiché io ho imparato ad essere valoroso sempre ed a combattere fra i Troiani in prima fila, cercando di conseguire la grande gloria di mio padre e di me stesso. Infatti so bene questo nella mente e nel cuore: verrà un giorno in cui la sacra Ilio perirà e Priamo ed il popolo di Priamo dalla bella lancia; ma non mi sta a cuore tanto per i Troiani in avvenire, né per la stessa Ecuba per Priamo signore né per i fratelli i quali molti e valorosi potrebbero cadere nella polvere per mano dei nemici quanto per te, quando ti conduca via in lacrime uno degli Achei dalle tuniche di bronzo togliendoti la libertà, ed essendo in Argo tesseresti la tela sotto il comando di un’altra e potresti portare l’acqua di Messeide o di Iperea molto controvoglia, e una dura necessità ti sovrasterà. Ed un giorno qualcuno, vedendoti versare una lacrima, dirà “questa è la moglie di Ettore che era solito primeggiare nel combattere fra i Troiani domatori di cavalli, quando combattevano intorno ad Ilio.” Così un giorno qualcuno dirà: “per te poi sarà nuovo il dolore per la mancanza di un uomo siffatto ad allontanare da te il giorno servile; ma me morto la terra versatami sopra mi nasconda, prima che io venga a sapere il tuo grido e la tua cattura.”
Così dicendo l’illustre Ettore tese le mani al suo bambino; a sua volta il bambino, gridando, si piegò indietro al seno della nutrice dalla bella cintura, spaventato alla vista di suo padre, tremando per le armi di bronzo e del cimiero dalla chioma equina, vedendolo ondeggiare terribilmente dalla parte più alta dell’elmo. Suo padre e la veneranda madre risero; subito l’insigne Ettore si tolse dal capo l’elmo e lo depose a terra, tutto splendente; e poi egli, dopo che ebbe baciato ed agitato fra le braccia il suo caro figliuolo, disse pregando Zeus e gli altri dei: “O Zeus e voi altri dei, concedete che anche questo mio figlio sia come realmente sono io, illustre fra i Troiani e così valente nel vigore e che regni con potere su Ilio; e qualcuno un giorno dica ritornando dalla guerra, costui è di gran lunga superiore al padre; e, dopo aver ucciso il guerriero nemico, porti le spoglie insanguinate, e la madre gioisca nell’animo.”
Così dicendo pose il suo bimbo nelle braccia della cara consorte; ed ella lo accolse nel seno profumato sorridendo fra le lacrime; lo sposo vedendola ne ebbe pietà, indi l’accarezzò con la mano, le parlò e la chiamò per nome: “Misera, non addolorarti troppo nell’animo per me; poiché nessun guerriero mi getterà nell’Ade contro il volere del fato; io dico che nessuno degli uomini è sfuggito al destino, non il vile, né il valoroso, da quando per la prima volta sia venuto alla luce. Orsù, và a casa ed attendi ai tuoi lavori, al telaio e alla conocchia ed ordina alle ancelle di affrontare il lavoro; la guerra starà a cuore, e particolarmente a me, a tutti gli uomini, che sono nati in Ilio.”
Dunque l’illustre Ettore, avendo parlato in tal modo, prese l’elmo dalla coda equina; la cara sposa era andata a casa voltandosi indietro ripetutamente e versando abbondanti lacrime.

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