martedì 31 dicembre 2019
Pensieri
Oggi che è la fine dell'anno il mio pensiero va a chi non c'è più,almeno fisicamente,ma è sempre presente in me.A Mamma,volata in cielo pochi mesi fa,a Papà che mi manca tanto,a mia sorella Cristina chissà come sarebbe stato averne un'altra accanto,a mio figlio Alessandro che proprio in questa giornata se ne andava sorridente steso tra le mie braccia,e poi a tutti gli zii,i nonni,i cugini,gli amici,le amiche,il mio cuore li abbraccia tutti oggi più che mai.
Leggende
Kanō Jigorō[1] (嘉納 治五郎?; Mikage, 28 ottobre 1860 – Mar del Giappone, 5 maggio 1938) è stato un judoka e educatore giapponese, fondatore del judo.
Biografia
Kanō Jigorō nacque a Mikage, un piccolo villaggio di mare nei pressi di Kōbe; fu il terzo figlio di Kanō Jirosaku, produttore di sakè e fornitore della Marina imperiale. Da giovane, essendo di piccola statura e di fisico piuttosto gracile, praticò intensamente attività fisica, unitamente ad alcuni sport occidentali come il baseball, alla scuola Kaisei, successivamente ribattezzata Tōkyō Daigaku, o Università di Tokyo.
Kanō sapeva che nel periodo feudale veniva praticato in Giappone il jujutsu, una disciplina con la quale un uomo poteva battere un avversario anche di gran forza, e comincia a interessarsene. Si procurò perciò numerosi densho, i libri segreti, che ormai si trovavano in vendita nei mercatini, e con un suo compagno di studi tentò di allenarsi da solo. Dopo aver manifestato al padre il desiderio di iscriversi a un dojo (scuola di arti marziali), ricevette da lui un netto rifiuto poiché la disciplina era screditata e in vistoso declino. Nel 1877 si iscrisse all'Università di Tokyo, la prima reimpostata secondo criteri occidentali. Dovette trasferirsi per poter seguire gli studi: ciò gli consentì di sfuggire al controllo del padre e di dedicarsi intensamente allo studio del jujutsu.
Kanō, con molte difficoltà poiché anche in una città come Tokyo era difficile trovare un dojo, riuscì grazie all'aiuto di Teinosuke Yagi, un anziano maestro non più praticante, a iscriversi alla scuola del maestro Fukuda, che insegnava lo stile Tenshin Shin'yō; il maestro rimase ammirato dalla dedizione del suo giovane allievo. Anche Fukuda era molto anziano e, deceduto questi, Kanō dovette cercarsi un nuovo maestro. Lo trovò in Iso Mataemon, anch'egli di Tenshin Shin'yō, con il quale completò lo studio di questa ryū (scuola), ricevendo il grado di Shian (maestro), nonché il libro segreto che gli fu lasciato in eredità. A questo punto Kanō iniziò lo studio di un'altra scuola di jujutsu, questa volta Kito, che apprese sotto la guida di Iikubo Tsunetoshi.
Questa scuola era famosa per le sue tecniche di atterramento dell'avversario e per praticare il randori (controllo del caos), a differenza della quasi totalità delle altre scuole che fondavano l'insegnamento attraverso i kata (vita o morte). La sua dedizione e l'impegno lo portarono a conquistare il grado Shian anche in questo stile, del tutto diverso dal precedente. Lo studio del jujutsu non gli impedì comunque di laurearsi in Scienze Politiche ed Economiche nel 1881. Un anno dopo, nel 1882, a soli 22 anni aprì il suo primo dojo, di soli 12 tatami, in una saletta del tempio di Eisho nel quartiere Shimoya di Tokyo, e con l'aiuto di soli nove discepoli creò il Kodokan judo ("scuola per seguire la via").
Qui dalle ceneri del jujutsu fece nascere il suo metodo, chiamato judo (柔道 jūdō?, "via della cedevolezza"), nel quale fece convergere i metodi delle antiche scuole di arti marziali associandoli al concetto di ottenere il miglior risultato col minimo sforzo, formando una disciplina efficace tanto per il fisico quanto per la mente. Kanō ricoprì numerosi incarichi per il governo giapponese, e grazie alla sua influenza riuscì a fare inserire il judo nelle materie scolastiche accanto all'educazione fisica. L'insegnamento del "metodo Kanō" cominciò ad essere praticato nell'Accademia navale e nelle università di Tokyo e Keio. Il nuovo Kodokan judo salì al centro dell'attenzione pubblica grazie ai lodevoli principi ed agli elevati ideali di cui era intriso; nonostante ciò si levarono alcuni sospetti sulla sua efficacia in combattimento. In particolare, il judo veniva disprezzato dai praticanti del vecchio stile jujutsu.
Questa situazione sfociò in un'aperta rivalità tra la scuola del famosissimo Totsuka Hikosuke e il Kōdōkan. Nel 1886 la questura di Tokyo indisse un torneo fra le scuole di jujutsu allo scopo di selezionare il metodo più efficace con il quale sarebbero stati addestrati gli agenti. Il Kodokan su 15 combattimenti ne vinse 13, mentre due finirono in pareggio. La vittoria stabilì la supremazia del judo non solamente nei principi, ma anche nella tecnica. Con i suoi migliori allievi, Kanō nel 1895 stabilì il go-kyō, cioè il metodo di insegnamento diviso in 5 gradi. Sono dello stesso periodo le prime elaborazioni di kata, con le forme delle proiezioni nage no kata e del combattimento reale kime no kata. Successivamente, nel 1921, migliorò il go-kyō, lo stesso dell'attuale, con l'aiuto dei suoi allievi più esperti e con i maestri delle ultime scuole di jujutsu assorbite dal Kodokan.
Negli anni successivi, il maestro compì molti viaggi per diffondere il judo nel mondo; nel 1928 e nel 1934 fu in Italia, e visitò i centri judoistici creati da Carlo Oletti. Nel 1938 venne inviato in rappresentanza del Giappone al 12º Convegno del CIO (Comitato Olimpico Internazionale) al Cairo, che approvò la proposta di far svolgere i Giochi olimpici a Tokyo. Nonostante non considerasse il judo uno sport, si adoperò per portarlo gradualmente verso i giochi olimpici, poiché in questo modo sarebbe stato possibile far conoscere la sua disciplina nel mondo. Nella sua idea educativa il judo era il mezzo di possibile miglioramento dell'uomo, sia sotto il profilo etico quanto in quello fisico.
Il judo mira cioè a compiere la sintesi tra le due tipiche espressioni della cultura giapponese antica, e cioè Bun-Bu, la penna e la spada, la virtù civile e quella guerriera, in ossequio agli antichi samurai. Il suo desiderio si realizzò, però, solamente nel 1964, quando la manifestazione si tenne a Tokyo. Tuttavia, Kanō era deceduto anni prima, il 4 maggio 1938, a bordo della SS Hikawa Maru, mentre era in un viaggio di ritorno verso casa, in un periodo in cui il Giappone, mosso da una nuova spinta imperialista, si stava avviando verso la seconda guerra mondiale.
Dopo la disfatta, la nazione fu posta sotto il controllo degli USA per 10 anni e il judo sottoposto a pesante censura poiché catalogato tra gli aspetti pericolosi della cultura giapponese che spesso esaltava la guerra. Fu perciò proibita la pratica della disciplina e i numerosi libri e filmati sull'argomento vennero in gran parte distrutti. Il judo sarà poi "riabilitato" nel 1950 grazie al CIO, guadagnando ancora in popolarità ma perdendo in qualità tanto che a oggi a ben poche persone è stato riconosciuto il 10' dan (il Kodokan ha promosso al 10' dan solamente 15 judoka di cui 5 postumi); uniche eccezioni l'olandese Anton Gesink e l'inglese Charles Palmer che sono stati promossi dalla Federazione Internazionale Judo e non dal Kodokan.
Nella vita pubblica Kanō Jigorō fu una personalità di spicco in Giappone. Nel 1882, dopo aver terminato gli studi, fu nominato professore e successivamente, nel 1884, addetto alla Casa imperiale, un titolo di grande prestigio. Più tardi, nel 1891, divenne consigliere del Ministero dell'educazione, del quale diverrà direttore nel 1898. Nel 1911 venne eletto presidente della Federazione Sportiva Giapponese. Alla sua morte, avvenuta all'età di settantasette anni per polmonite mentre si trovava nella nave Hikawa Maru, il judo contava già più di 100.000 cinture nere al suo attivo.
Vita privata
Kanō Jigorō si sposò con Sumako Takezoe ed ebbe tre figli, due femmine Noriko e Atsuko e un maschio Risei, in seguito direttore del Kodokan e della Federazione Internazionale di Judo (1952-1965). Tutti i membri della famiglia Kanō praticarono judo.
Onorificenze
Cavaliere di III Classe dell'Ordine del Sol Levante - nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere di III Classe dell'Ordine del Sol Levante
— 4 maggio 1938.[2]
Fotografia
Il fascino del mimetismo.
Volpe artica. Baie-D’Urfé, Quebec, Canada
FOTOGRAFIA DI CHRISTOPHER DORMOY
Haiku
Ciliegi in fiore sul far della sera
anche quest’oggi
è diventato ieri.
Kobayashi Issa
(1763-1827)
Libri
Una storia che ci riguarda tutti, perché è lì che l'Italia "ha perduto l'innocenza". Di fronte a quei morti e feriti del 12 dicembre 1969. Quando i processi non possono più darci la verità giudiziaria, la parola passa alla Storia e alla memoria. Per scoprire una vicenda che coinvolge molto più di una fiction. Una vicenda assolutamente, scrupolosamente vera. Il libro: Milano, 12 dicembre 1969. Una bomba esplode nella sede della Banca nazionale dell'agricoltura, in piazza Fontana. È una strage. L'obiettivo: condurre a un colpo di Stato autoritario. Lucarelli ricostruisce uno degli eventi più efferati che hanno segnato la storia italiana. In appendice, a cura di Nicola Biondo: la cronologia essenziale degli avvenimenti, la sintesi delle fasi processuali, le biografie dei protagonisti e altro. Il Dvd: lo speciale di "Blu notte. Misteri italiani" andato in onda nel 2005.
Cucina
Le lasagne alla Bolognese sono un piatto tipico della gastronomia dell’Emilia Romagna e, nello specifico, della città di Bologna. Nonostante la paternità di questa ricetta sia Emiliana, le lasagne sono conosciute a tal punto da diventare uno dei simboli della cucina italiana nel mondo e conosce numerose e prelibate varianti. Dalla preparazione agli ingredienti, questa ricetta è la quintessenza della "ricchezza" della cucina tradizionale bolognese, celebre anche per molte altre ricette di pasta fresca e non solo, basti pensare allo gnocco fritto. Per preparare una buona lasagna alla Bolognese la cosa fondamentale è la giusta scelta degli ingredienti: per prima cosa la carne, che deve essere rigorosamente mista: di manzo e di maiale per dare sapore alla ricetta, poi la polpa di pomodoro che deve essere di buona qualità, ed infine, ma non per ultime, le lasagne vere e proprie, che devono essere tra le migliori, con la sfoglia porosa adatta a trattenere il condimento per ottenere una consistenza perfetta!
Serie Tv
La seconda stagione si colloca due anni dopo l’invasione dei Romani. La profezia che potrebbe salvare la Britannia verrà messa a rischio quando i due fratelli Veran e Harka inizieranno un’epica battaglia che spaccherà i Druidi in due fazioni contrapposte.
Sono passati ormai due anni dall’invasione della Britannia ad opera dei Romani. Con l’aiuto di Amena (Annabel Schole), regina dei Celti, il generale Aulo (David Morrissey) sta tentando di romanizzare le tribù locali, procedendo alla soppressione violenta di qualsiasi tentativo di opporsi al processo. Non pochi dubbi sorgono però sul comportamento di Aulo, che sembra avere un piano oscuro e segreto. Un piano che risveglia i fantasmi del passato di Amena e rende ben più pericolosa la sua minaccia nei confronti dei Druidi.
Cait (Eleanor Worthington Cox), una giovane ragazza addestrata dal Druido Divis (Nikolaj Lie Kaas), è la sola speranza per i Celti. Il suo destino è quello di portare a compimento la profezia che libererebbe la Britannia dall’invasione romana. Il corso degli eventi sarà messo a rischio quando i due fratelli Veran e Harka scatenano una vera e propria guerra civile che spaccherà i Druidi in due fazioni contrapposte.
Libri
Tanti anni prima Lorenza era una ragazza bella e insopportabile, dal fascino abbagliante. La donna che un pomeriggio di fine inverno Guido Guerrieri si trova di fronte nello studio non le assomiglia. Non ha nulla della lucentezza di allora, è diventata una donna opaca. Gli anni hanno infierito su di lei e, come se non bastasse, il figlio Iacopo è in carcere per omicidio volontario. Guido è tutt'altro che convinto, ma accetta lo stesso il caso; forse anche per rendere un malinconico omaggio ai fantasmi, ai privilegi perduti della giovinezza. Comincia così, quasi controvoglia, una sfida processuale ricca di colpi di scena, un appassionante viaggio nei meandri della giustizia, insidiosi e a volte letali. Una scrittura inesorabile e piena di compassione, in equilibrio fra il racconto giudiziario - distillato purissimo della vicenda umana - e le note dolenti del tempo che trascorre e si consuma.
Serie Tv
Alla fine degli Anni '70, l'ambizioso agente dell'FBI Holden Ford intraprendere un'odissea investigativa sinistra e misteriosa alla scoperta di verità brutali, quelle che si celano nelle menti degli assassini assicurati alla legge, così da poter impiegare tali conoscenze per catturarne altri. Ford su inisce con Bill Tench, un agente esperto ma a volte riluttante, nell'Unità di Scienze Comportamentali, scoprendo nuovi validi metodi d'indagine. Insieme, Ford e Tench si confrontano con alcuni dei criminali più pericolosi d'America, affrontando al tempo stesso il cinismo e la diffidenza di molti dei loro colleghi e superiori.Tratta dai libri reali del famoso John Douglas la serie resta fedele ai casi realmente accaduti e alle tecniche realmente studiate per arrivare a delineare dei profili dei serial killer,termine che proprio Douglas coniò trovandosi davanti i primi veri omicidi seriali.
Libri
Chi è davvero Matteo Salvini? Ce lo racconta Andrea Scanzi, col suo stile ironico e irriverente, in questo libro che segue a ruota i bestseller Renzusconi e Salvimaio. Salvini appare qui non come il “nuovo fascista”, bensì – per dirla con Montanelli – come uno sbilenco “guappo di cartone”. E i guappi, spesso, li smascheri col sorriso. Scanzi tratteggia le caratteristiche salienti di un politico tutto chiacchiere e distintivo. C’è la critica seria: le incongruenze politiche, la malandata classe dirigente leghista, la “ferocia” nel gestire i migranti durante il governo giallo-verde, le parole sulla famiglia Cucchi, il clamoroso autogol estivo che gli è costato il Viminale. E c’è la satira, che colpisce uno statista che si definì da solo “nullafacente” e vive ancora il dramma di quando da bambino gli rubarono Zorro. Il Salvini di Scanzi è un leader bislacco che vive in tivù e fa “disobbedienza civile” con le merendine. Beve mojito al Papeete. Posta foto mentre si ingozza. Cita De André senza averci capito nulla. E ha l’ardire di definirsi “nuovo”, quando in realtà è il politico più vecchio della cosiddetta Terza Repubblica."
Cinema
Proseguendo sulla scia di "Quei bravi ragazzi"e "Casinò",Scorsese ai addentra di nuovo nel territorio della mafia italo-americana.Stavolta lo fa prendendo spunto dal libro confessione di Charles Brandt dedicato a Frank Sheeran,il presunto assassino del famoso sindacalista Jimmy Hoffa.Attraverso le storie di Sheeran,di Hoffa e di tutti i personaggi famosi della mafia americana,da Sam Giancana a Fat Tony Salerno,ad Anastasia,si rivive un po' la storia di parte di quell'America dedita all'uso della violenza pur di fare soldi.Il film è una scia lunghissima di sangue,e alla fine vedere questi poveri vecchietti su sedie a rotelle quando in gioventù furono degli spietati killer sembra quasi irreale.La sapienza di Scorsese oltre che nell'abilità del racconto con le immagini,e nella direzione degli attori,sta proprio nel darci i messaggi che dove c'è colpa c'è o ci può essere anche redenzione,che dove c'è stata spietatezza ci può essere anche pentimento.A mio avviso un capolavoro.
domenica 22 settembre 2019
Cucina
La pasta al forno è una ricetta classica solitamente preparata con sugo di pomodoro, mozzarella o scamorza e besciamella. Un piatto decisamente ricco di gusto ma semplice e veloce da preparare. Potete addirittura cucinarlo in anticipo, anche la sera prima se necessario, in modo da permettere alla pasta di assorbire meglio i profumi del sugo ed essere ancora più gustosa.
Come preparare la pasta rossa al forno.
Preparate il sugo al pomodoro. Tritate finemente la cipolla (1) e mettetela a soffriggere in padella per qualche minuto (2). Aggiungete il pomodoro e uno spicchio d’aglio, aggiustate di sale, e lasciate andare sul fuoco per circa 45 minuti (3).
Una volta che il sugo è pronto lessate la pasta in abbondante acqua salata e scolatela al dente (4). Condite la pasta con il sugo di pomodoro (5) e aggiungete basilico tritato finemente e origano a piacere (6). Aggiungete anche un paio di cucchiai di parmigiano e mescolate bene.
Versate la pasta condita in una pirofila (7) e sulla superficie mettete qualche cucchiaio di besciamella (8). Spolverate con il parmigiano grattugiato (9). Infornate la pasta per circa 15 minuti a 200° e durante gli ultimi 5 minuti azionate la funzione grill in modo che si formi una deliziosa crosticina. Servite la pasta al forno rossa ancora fumante.
Fotografia
Giorno di neve
Fotografia di Weimin Chu, National Geographic Your Shot
Upernavik è un villaggio di pescatori su una piccola isola nella Groenlandia occidentale. Storicamente, gli edifici della Groenlandia sono stati dipinti di colori diversi per indicare funzioni diverse, dalle vetrine rosse alle case dei pescatori blu - una distinzione utile quando il paesaggio è ricoperto di neve.
Libri
Questo libro narra la storia di quaranta anni della nostra repubblica,dagli anni 60 a inizio duemila,forse gli anni più bui da noi vissuti.Tra tentativi di golpe,logge segrete,stragi,depistaggi,omicidi,mafie,servizi segreti,un panorama inquietante descrivo da un magistrato di prima linea che ci delinea una scia di sangue orribile compiuta da veri criminali e rimasta impunita,da faccendieri divenuti miliardari con i soldi pubblici,da politici corrotti,insomma un quadro disarmante dell'agonia raggiunta dal nostro Stato.Ci rincuora,dopo la lettura,sapere che quel periodo,almeno si spera,sia alle nostre spalle,e che un po' per fortuna,un po' per uomini coraggiosi legati alla Costituzione ed incorruttibili come Pertini,non siamo diventati un altro Cile fascista o una altra Grecia militare.malgrado la corposità,per chi è veramente interessato all'argomento,si legge tutto d'un fiato.
sabato 21 settembre 2019
Leggende
Piero Gobetti (Torino, 19 giugno 1901 – Neuilly-sur-Seine, 15 febbraio 1926) è stato un giornalista, filosofo, editore, traduttore ed antifascista italiano.
Considerato un degno erede della tradizione post-illuminista e liberale che aveva guidato l'Italia dal Risorgimento fino a poco tempo prima[1], tuttavia di stampo profondamente sociale e particolarmente sensibile alle istanze del socialismo e, di conseguenza, alle rivendicazioni del movimento operaio, fondò e diresse le riviste Energie Nove, La Rivoluzione liberale e Il Baretti, dando fondamentali contributi alla vita politica e culturale, prima che le sue condizioni di salute, aggravate dalle aggressioni subite, ne provocassero la morte prematura a nemmeno 25 anni durante l'esilio francese.
Gobetti nacque a Torino il 19 giugno del 1901, figlio unico di Giovanni Battista Gobetti, di professione commerciante,
e di Angela Canuto, una «piccola donna bruna e tonda, gentile e
modesta, capace tuttavia non solo di grande abnegazione per il figlio
unico che adorava, ma anche di strenuo lavoro e di sagace giudizio».[2] I suoi genitori, originari entrambi di Andezeno (in provincia di Torino),
avevano aperto nel capoluogo piemontese una drogheria nella centrale
via XX Settembre: «Mio padre e mia madre avevano un piccolo commercio.
Lavoravano diciotto ore al giorno. Il mio avvenire era il loro pensiero
dominante [...] L'impegno del loro lavoro era di arricchire [...]
permettersi e permettermi una vita dignitosa. In quanto a me pensavano
di dovermi dare un'istruzione, quella che essi non avevano potuto avere».[3]
Dopo gli studi elementari presso la scuola Giacinto Pacchiotti, s'iscrive al ginnasio Cesare Balbo: scriverà di sé di quegli anni, in terza persona, che «gli pesava un'amarezza, uno sconforto, che nei ragazzi di dodici anni segnano inquietudini fruttuose. Si vedeva troppo poco stimato, troppo solo, troppo malsicuro del domani. Aveva dei dubbi strani sulle sue stesse attitudini [...] Un'adolescenza che s'ispirava a motivi così integrali doveva dargli una tragica forza».[4]
Trasferitosi poi, nel 1916, presso il liceo classico Vincenzo Gioberti, dove conosce Ada Prospero, sua futura moglie, ha per professore d'italiano Umberto Cosmo e per insegnante di filosofia Balbino Giuliano, un gentiliano che collabora alla rivista L'Unità di Gaetano Salvemini. Questi gli ispira quei sentimenti di patriottismo e di interventismo democratico che sono propri del Salvemini, spingendolo ad anticipare di un anno l'esame di maturità, superato nell'estate del 1918, per poter così andare, libero da impegni, volontario nella prima guerra mondiale.
La guerra è ormai conclusa quando Piero, ad ottobre, s'iscrive presso la facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Torino, la stessa che egli aveva già frequentato, ancora liceale, per seguirvi alcuni corsi di suo interesse: letteratura, arte, filosofia. Tra i suoi insegnanti vi sono Luigi Einaudi, da cui «rafforza il suo primitivo, spontaneo antistatalismo, in cui s'incontrano liberalismo, liberismo e quello stesso libertarismo che gli è congeniale»[5] Luigi Farinelli, Gaetano Mosca, Giuseppe Prato, Francesco Ruffini e Gioele Solari, con il quale nel giugno del 1922 sosterrà la tesi di laurea, ottenuta a pieni voti, su La filosofia politica di Vittorio Alfieri.
Non solo: a settembre aveva scritto all'amica Ada di aver «deciso di fondare un periodico studentesco di cultura che s'occuperà di arte, letteratura, filosofia, questioni sociali [...] è fatto di soli giovani [...] si tratta di opera di intensificazione di cultura e di azione [...] e tutti i giovani devono aiutarla».[6] E così, il 1º novembre del 1918, esce il primo numero del quindicinale Energie Nove, nel quale scrive di voler «portare una fresca onda di spiritualità nella gretta cultura di oggi [...] non c'è mai momento inopportuno per lavorare seriamente».
Ispirata alle idee liberali di Einaudi, è vicina all'Unità di Salvemini, del quale riporta, nel secondo numero, l'aspra critica alla classe dirigente italiana: «L'Italia ha vinto. Ma se avesse avuto una classe dirigente meno incolta, più consapevole delle sue tradizioni e dei suoi doveri, meno avida moralmente, l'Italia avrebbe vinto assai prima e assai meglio [...] È finita o sta per finire una guerra. Ne comincia un'altra. Più lunga, più aspra, più spietata». L'altra «guerra più lunga e spietata» è quella della riforma del Paese, una riforma che dev'essere, nelle intenzioni di Gobetti, innanzi tutto culturale e morale, e per la quale occorre «serietà e intensità al lavoro» secondo i motivi di quell'«idealismo militante che ha animato La Voce»[7] di Giuseppe Prezzolini, altro nume ispiratore del giovanissimo Gobetti.
Nell'aprile del 1918, Gobetti sospende la pubblicazione della rivista per poter partecipare, a Firenze,
al I Congresso degli Unitari, i sostenitori della rivista di Salvemini,
della quale egli è fondatore e rappresentante del Gruppo torinese. Può
così conoscere di persona l'intellettuale pugliese
e ne è entusiasta: «Salvemini è un genio. Me lo immaginavo proprio
così. L'uomo che sviscera le questioni, che la fa smettere agli
importuni e ti presenta tutte le soluzioni in due minuti, definitive […]
Un'altra persona di cui sono entusiasta è Prezzolini, franco, semplice,
pratico. Editore propriamente come lo pensavo io. L'editore più
intelligente d'Italia».[8] A seguito del Congresso, gli Unitari fondano la Lega democratica per il rinnovamento della politica nazionale, una formazione politica che non riuscirà nemmeno a presentarsi alle elezioni e avrà vita breve. Alle elezioni politiche dell'anno seguente, infatti, Salvemini si candiderà - con successo - in una formazione di ex-combattenti.
Salvemini deve aver compreso le qualità di Gobetti se arriva a offrirgli la direzione de L'Unità, una proposta che il giovane torinese, però, lascia cadere. Non si sente pronto per tanto impegno, come scrive nel suo diario, il 23 agosto: «Com'è vasta la cultura che devo conquistare! E non basta conquistare il vecchio. Sono giovane e devo anche produrre, creare quel po' che si può creare. […] Ho tutta la vita davanti per sedermi in campagna, davanti al camino, a mangiare pane e noci. Ho una responsabilità. Devo espormi in prima persona. Perciò faccio la rivista. […] Voglio impormi nel lavoro»[9]. E s'impone un piano di studi: «Gentile, ciò che non conosco ancora, rileggerò Croce […] avvierò lo studio del Marxismo: per ora non mi preme. Basta che mi formi un'idea generale di Marx e della critica marxista (Sorel, Labriola, ecc.). D'altra parte studio il bolscevismo, minutamente».[10] Un suo grande ispiratore fu certamente il politico socialista francese Jean Jaurès.[11]
Queste note sembrano riflettere anche la polemica che, appena riprese le pubblicazioni il 5 maggio, Energie Nove aveva avuto con L'Ordine Nuovo - al tempo sprezzantemente definito dallo stesso Gobetti un «giornaletto torinese di propaganda» - di Togliatti, che aveva accusato Gobetti di idealismo astratto, e di Gramsci, che aveva definito velleitaria la Lega democratica, un «ricettario per cucinare la lepre alla cacciatora senza la lepre».[12] Ora in Gobetti vi è il segno di un'inquietudine nuova, provocatagli dall'esperienza della rivoluzione russa
e dallo sviluppo del movimento operaio, molto attivo a Torino. Pubblica
due numeri unici sul socialismo, conosce personalmente Gramsci,
stimandolo e venendone apprezzato, del quale pubblica un articolo,
studia il russo con la fidanzata Ada - insieme traducono Il figlio dell'uomo di Leonid Andreev, pubblicato dall'editore Sonzogno - ed a settembre scrive, criticando la politica sviluppata da d'Annunzio in forma di retorica, che «la politica oggi deve essere realizzata come forma di educazione. La simpatia che io provo per Trotzchi [sic] e Lenin sta nel fatto che essi in un certo modo sono riusciti a realizzare questo valore».[13]
Sebbene restio a sposarla (emblematica fu la risposta «Grazie, non fumo…»)[14], nella considerazione del rapporto con la fidanzata si rivela anche la sua profonda maturità e serietà morale: «Ho dovuto rifarmi un senso morale, un senso della vita forte a sedici anni, in gran parte a diciassette, e siccome me lo son fatto pensando a lei, gliene sarò grato sempre. Una fanciulla come io la sognavo sola poteva darmi un senso immediato di elevazione. Ho creduto in lei e la amo tanto perché mi fa credere ancora adesso».[15]
Il 12 febbraio del 1920, la rivista Energie Nove cessa le pubblicazioni: «sentivo bisogno di maggiore raccoglimento e pensavo una elaborazione politica assolutamente nuova, le cui linee mi apparvero di fatto nel settembre al tempo dell'occupazione delle fabbriche. Devo la mia rinnovazione dell'esperienza salveminiana al movimento dei comunisti torinesi da una parte (vivi di un concreto spirito marxista) e dall'altra agli studi sul Risorgimento e sulla rivoluzione russa che ero venuto compiendo in quel tempo»,[16] e infatti in giugno si consuma anche il distacco con la Lega democratica degli amici di Salvemini. Continua le traduzioni dal russo ed intraprende quelle dal francese dei modernisti cattolici Blondel e Laberthonnière - lo studio sulla filosofia di quest'ultimo gli è suggerito dal suo professore Gioele Solari - e cerca di rintracciare le radici del Risorgimento italiano studiando la cultura piemontese del Sette-Ottocento.
Quando, ai primi di settembre, la FIAT
e le altre maggiori fabbriche torinesi sono occupate dagli operai,
Gobetti scrive: «Qui siamo in piena rivoluzione. Io seguo con simpatia
gli sforzi degli operai che realmente costruiscono un mondo nuovo [...]
il mio posto sarebbe necessariamente dalla parte che ha più religiosità e
volontà di sacrificio. La rivoluzione si pone oggi in tutto il suo
carattere religioso [...] Si tratta di un vero e proprio grande
tentativo di realizzare non il collettivismo ma una organizzazione del
lavoro in cui gli operai o almeno i migliori di essi siano quel che sono
oggi gli industriali».[17]
Si tratta, a suo avviso, di una rivoluzione che se non rinnoverà gli
uomini, e perciò neanche la nazione, potrà almeno rinnovare lo Stato,
creando una nuova classe dirigente: «si può rinnovare lo Stato solo se
la nazione ha in sé certe energie (come ora appunto accade) che
improvvisamente da oscure si fanno chiare e acquistano possibilità e
volontà di espansione».[18]
La presa di distanza dall'azione politica di Salvemini - la sua ammirazione personale nei suoi confronti resterà comunque intatta - è ora piena: gli rimprovera, come scriverà pochi anni dopo, di intendere l'azione politica unicamente come «una questione di morale e di educazione»: il suo «moralismo solenne, mentre costituisce il suo più intimo fascino, appare il segreto delle sue debolezze [...] La sua concezione razionalista si risolve in un'azione di illuminismo e di propagandismo, che può riuscire utile a una società di cultura, non a un partito».[19]
Prosegue i suoi studi sul Risorgimento e sulla Russia, terminando in ottobre La Russia dei Soviet: è la volontà di comprendere funzioni e limiti di due esperienze rivoluzionarie, al cui centro è sempre il problema della formazione della classe politica che diriga un Paese e dei suoi rapporti con la popolazione. Ne conclude che il Risorgimento non può considerarsi un'esperienza rivoluzionaria, dal momento che i dirigenti politici che espresse rimasero estranei rispetto al popolo, diversamente dalla rivoluzione sovietica che, a suo avviso, ha espresso dirigenti come Lenin e Trotskij, che non sono soltanto dei bolscevichi, ma «uomini d'azioni che hanno destato un popolo e gli vanno ricreando un'anima» e, del resto, la creazione dal basso di un nuovo Stato, nel quale il popolo abbia fiducia proprio in quanto avvertito come opera propria, «è essenzialmente un'affermazione di liberalismo»
Sono concetti ripresi, il 30 novembre, in un articolo pubblicato su L'Educazione nazionale, il Discorso ai collaboratori di Energie Nove, nel quale individua nel movimento operaio un «valore nazionale»: la novità, venuta dalla Russia e che sembra farsi strada anche in Italia, consiste nel fatto che «il popolo diventa Stato. Nessun pregiudizio del nostro passato ci può impedire la visione del miracolo. Questo non avrebbero fatto i liberali, questo non possono fare dei marxisti. Il movimento operaio è un'affermazione che ha trasceso tutte le premesse. È il primo movimento laico d'Italia. È la libertà che s'instaura».[20]
Il suo avvicinamento alle posizioni dei giovani comunisti dell'Ordine Nuovo ha anche il concreto effetto di una collaborazione e, dal gennaio del 1921, Gobetti diventa il critico teatrale della rivista. A luglio, a Torino, deve assolvere gli obblighi di leva: «la vita militare è la consacrazione di tutti gli egoismi e di tutte le meschinità [...] la meccanicità pervade ogni forma di vita; tutto si riduce a elemento, a vegetazione. La caserma è l'antitesi del pensiero».[21]
Il 12 febbraio del 1922, esce il primo numero della sua nuova rivista settimanale, La Rivoluzione liberale, in cui collaboreranno spesso anche Giustino Fortunato, Antonio Gramsci e Luigi Sturzo: l'obiettivo, come indicato nell'Avviso ai lettori, è pur sempre quello di Energie Nove,
ossia di formare una classe politica nuova ma, ora si aggiunge, che sia
cosciente «delle esigenze sociali nascenti dalla partecipazione del
popolo alla vita dello Stato». E poiché l'Unità di Salvemini ha cessato le pubblicazioni nel dicembre scorso, La Rivoluzione Liberale intende proseguire quegli «sforzi di riorganizzazione morale che nell'Unità si avvertirono».
E nel Manifesto inaugurale espone il programma della rivista: «La Rivoluzione Liberale pone come base storica di giudizio una visione integrale e rigorosa del nostro Risorgimento; contro l'astrattismo dei demagoghi e dei falsi realisti esamina i problemi presenti nella loro genesi e nelle loro relazioni con gli elementi tradizionali della vita italiana; [...] e inverando le formule empirico-tradizionaliste del liberismo classico all'inglese, afferma una coscienza moderna dello Stato, [...] che prenda in considerazione anche i più sottili, ma non di certo trascurabili, trapassamenti dialettici della storia».[22]
Il 26 marzo vi pubblica la Storia dei comunisti torinesi scritta da un liberale e a maggio dedica un numero intero all'emergente movimento fascista; il mese successivo consegue la laurea e, l'anno seguente, pubblicherà la sua tesi sull'Alfieri. Gobetti è vivamente colpito dagli scritti del patriota e federalista italiano Carlo Cattaneo, del quale è uscita in quei giorni un'antologia curata da Salvemini, che egli incontra a Torino il 10 agosto: «su Cattaneo ci siamo intesi, egli è assai vicino alle idee che gli ho espresso».[23]
Su Cattaneo scrive, il 17 agosto, un articolo sull'Ordine Nuovo - sono i giorni della devastazione fascista della sede della rivista comunista - firmandosi Giuseppe Baretti: rappresentante della critica del processo unitario risorgimentale, Cattaneo fu emarginato dalla classe dirigente moderata. Eppure il Cattaneo «avversò non l'unità, ma l'illusione di risolvere con il mito dell'unità tutti i problemi che invece si potevano intendere soltanto nella loro specifica realtà autonoma, regionale [...] senza atteggiarsi a profeta, senza l'enfasi dell'apostolo, capì che il fondare una nazione non era impresa di letterati entusiasti, cercò nelle tradizioni un linguaggio di serietà, un ammaestramento di cautela [...] E lo condannarono alla solitudine e all'impopolarità, e diedero a lui, uomo positivo e realista, un ufficio di Cassandra, predicante al deserto».
Favorito dall'inerzia dei Savoia e dalla complicità dei dirigenti liberali,
il fascismo procede alla conquista del potere e Gobetti non s'illude
che con esso si possa venire a compromessi e lo si possa acquistare alla
causa democratica. Il 23 novembre scrive L'elogio della ghigliottina:
bisogna sperare «che i tiranni siano tiranni, che la reazione sia
reazione, che ci sia chi abbia il coraggio di levare la ghigliottina,
che si mantengano le posizioni fino in fondo [...] Chiediamo le
frustate, perché qualcuno si svegli, chiediamo il boia, perché si possa
veder chiaro» e che «noi siamo come la dura scorza di una noce:
proteggeremo i nostri ideali dalla sopraffazione con tutte le nostre
forze e fin quando possibile»[24].
L'11 gennaio del 1923, sposa Ada Prospero: vanno ad abitare nella sua casa natale di via XX Settembre 60, che diviene anche la sede della casa editrice che egli fonda, col suo nome, ad aprile: la Piero Gobetti Editore, che pubblicherà, nei due anni della sua esistenza, 84 titoli. In qualità d'editore, Gobetti porta in Italia, traducendoli, alcuni dei libri e degli autori simbolo del pensiero liberale classico, come John Stuart Mill. È tra i primi a pubblicare i libri di Luigi Einaudi ed è lui a pubblicare, nel 1925, la prima edizione di Ossi di seppia, una delle più famose raccolte di poesia di Eugenio Montale. I libri editi da Gobetti furono in molti casi dati alle fiamme o comunque distrutti sotto il fascismo e, per questo motivo, sono in molti casi introvabili, come il volume dedicato al deputato socialista Giacomo Matteotti, di cui esistono pochissime copie.
Tutti i suoi libri riportano in copertina un motto liberale, scritto in greco antico in modo circolare, che recita testualmente "Cosa ho a che fare io con gli schiavi?". Gobetti e la Prospero si trasferiranno poi in via Fabro 6, attuale sede del Centro di studi a lui intitolato. Il 6 febbraio è arrestato perché sospetto di «appartenenza a gruppi sovversivi che complottano contro lo Stato»: rilasciato cinque giorni dopo, subisce un nuovo arresto il 29 maggio, provocando un'interrogazione parlamentare alla quale il governo risponde che Gobetti «era stato redattore dell'Ordine Nuovo di Torino, giornale antinazionale; la rivista che egli dirige, conduce da tempo una campagna contro le istituzioni e il governo fascista; il prefetto si è perciò sentito in diritto di far operare una perquisizione e il fermo di Gobetti per misure di ordine pubblico».
Gobetti replica con una lettera ai giornali, ribadendo la sua funzione di oppositore del fascismo, e aggiunge, nei libri stampati dalle sue edizioni, il motto «Che ho a che fare io con gli schiavi?». Dopo aver preso le distanze dal Prezzolini, che ha scelto il disimpegno di fronte al fascismo, rinnega anche il suo originario gentilismo: il Gentile è incapace «di dar ragione di ogni fatto politico, nel suo semplicismo pratico la filosofia gentiliana mostra caratteristicamente i suoi limiti e la nessuna aderenza al reale».[25]
Così succede che "L'eredità del Risorgimento" venga solo abbozzata: «Il problema italiano non è di autorità, ma di autonomia: l'assenza di una vita libera fu attraverso i secoli l'ostacolo fondamentale per la creazione di una classe dirigente, per il formarsi di un'attività economica moderna e di una classe tecnica progredita». Un Risorgimento calato dall'alto, che di popolare non aveva nulla. La sfida era riempire di liberalità le istituzioni liberali formalmente create. Nel primo dopoguerra Gobetti assiste a qualcosa di assolutamente nuovo: la nascita dei partiti di massa (Partito Popolare (PPI) e Partito Comunista (PCd'I) saranno una prima versione dei due partiti più importanti della cosiddetta Prima Repubblica). Ma questo non basta.
«Per quattro anni la lotta politica non riuscì a dare la misura della lotta sociale». Una cosa erano le questioni politiche, un'altra le esigenze sociali, ma queste «non possono essere separate dalla politica al pari di come un felino astuto non si ciberà del formaggio ma ne farà da esca per il topo».[26] La seconda parte si divide in sei capitoli. Ciascun capitolo è un fattore della lotta politica: sono presenti liberali e democratici, popolari (sviluppate le figure di Giuseppe Toniolo, Filippo Meda e Luigi Sturzo), socialisti, comunisti (grande spazio dato a Antonio Gramsci), nazionalisti (emblematico il pensiero di Alfredo Rocco) e repubblicani.
La terza parte è il cuore pulsante del saggio: una proposta concreta
per fare politica senza dimenticare la società. La lotta di classe è per
Gobetti strumento di formazione di una nuova élite, una via di
rinnovamento popolare. Insomma, la lotta politica deve essere lotta
sociale. In politica ecclesiastica, Gobetti si rifà alla pregiudiziale cavouriana della laicità, come necessità da mantenere (cosa che verrà invece negata dai Patti Lateranensi). Per la discussione sulle modalità d'elezione, Gobetti è convinto fautore della proporzionale. Il collegio uninominale aveva corrotto il rappresentante in tribuno.
Solo con la proporzionale gli interessi si organizzano, così che l'economia venga elaborata dalla politica. Di grandissima attualità è la parte dedicata al problema dei contribuenti: «Il contribuente italiano paga bestemmiando lo Stato. Non ha coscienza di esercitare, pagando, una vera e propria funzione sovrana. L'imposta gli è imposta. [...] Una rivoluzione di contribuenti in Italia in queste condizioni non è possibile per la semplice ragione che non esistono contribuenti». Era quindi necessario per lui raggiungere una maggiore maturità economica e sociale. Il popolo doveva comprendere l'importanza di contribuire nello Stato, e imparare il "valore dell'onestà". Per questo richiamava attenzione sul problema scolastico: in un mondo fatto per grossa parte da analfabeti o semianalfabeti, la questione era fondamentale. Mancava un numero sufficiente di maestri, perciò si sarebbe dovuto mobilitare chiunque in grado di saper insegnare (anche preti, massoni, bolscevichi e così via).
La questione non evitava di trattare l'aspetto economico: contro il parassitismo pensava che fosse utile tagliare stipendi e investimenti, così da distinguere la vocazione all'insegnamento dalla vocazione al parassitare. In politica estera prospettava un ruolo importante per l'Italia a Versailles. Era convinto della possibilità di ottenere un buon accordo attraverso una mediazione. Nella quarta ed ultima parte vi è una rapida esposizione del perché Gobetti si oppone con ogni mezzo al fascismo. Si è detto che per l'autore la lotta sociale deve essere portata in Parlamento e dar vita a una lotta politica efficiente ed efficace.
Benito Mussolini invece fece in modo da soffocare la lotta politica, quando questa più di ogni altra cosa era necessaria all'Italia. Così il Duce, per Gobetti, era «l'eroe rappresentativo di questa stanchezza e di questa aspirazione di riposo» che si esplicava nel tacito consenso della popolazione allo sradicamento di ogni lotta politica nella nazione. In modo profetico, da esperto conoscitore del pensiero di Hegel qual era, prevede e mette in guardia delle conseguenze della concessione del potere a Mussolini secondo le dinamiche della dialettica serva-signore, ipotizzando una guerra civile imminente.[27] Il saggio è fortemente militante. Nella nota a conclusione dell'edizione, Gobetti è chiaro: cerca collaboratori, non lettori. Gobetti vuole la "rivoluzione liberale", cioè un nuovo liberalismo; nutre una forte avversione per il fascismo, anche perché non è qualcosa di nuovo ma, anzi, il risultato ottenuto da coloro che hanno governato l'Italia: è quindi una condanna della vecchia classe dirigente liberale.
Il fascismo nasce dall'invadenza del cattolicesimo e dalla demagogia dell'Italia liberale: "Fascismo come autobiografia della nazione", il fascismo è, insomma, solo l'incancrenirsi dei mali tradizionali della società italiana. La società tradizionale italiana reagisce sostenendo una forza conservatrice come quella del fascismo, anche se in realtà qualcosa di buono nell'Italia del primo dopoguerra vi era stato: il proletariato (soprattutto quello torinese) che tenta di assumere su di sé la responsabilità di mutare lo stato delle cose. La borghesia ha perso ogni funzione propositiva, è una classe parassitaria che si è adagiata e aspetta tutto dallo Stato; si blocca così ogni istanza di rinnovamento: la funzione liberale e libertaria è assunta dal proletariato. Le considerazioni politiche di Gobetti risentono della sua opinione sulla storia italiana, in Risorgimento senza eroi, Gobetti descrive questo periodo come un'epopea patriottarda di cui simbolo è Giuseppe Mazzini (tante parole, pochi fatti): al Risorgimento sono mancati il pragmatismo e il realismo.
Ci sono due eroi nel Risorgimento per Gobetti e sono Carlo Cattaneo e Cavour, due figure assai distanti tra loro ma accomunabili per il loro pragmatismo: Cattaneo piace a Gobetti per la sua volontà di operare, per la capacità di propugnare istanze pragmatiche e vuote di retorica; Cavour è uomo che media per raggiungere degli obiettivi, ha mire di lungo periodo. Il Risorgimento di Cattaneo è sconfitto, ma non quello di Cavour; entrambi, però, hanno instillato nella società italiana lo spirito della competizione e l'ideale di assunzione di responsabilità. La società italiana si regge su ruoli e cariche già predefiniti, è statica e stagnante: il proletariato, però, si ribella a ciò, rifugge situazioni già prestabilite per costruire una società nuova in cui ciascuno sarà libero di esprimersi.
Nel maggio del 1924 Gobetti si reca in Francia, a Parigi e poi in Sicilia, a Palermo,
per incontrare alcuni amici conosciuti durante il recente viaggio di
nozze. I suoi spostamenti sono seguiti dalla polizia italiana e, il 1º
giugno, Mussolini
telegrafa al prefetto di Torino, Enrico Palmieri: «Mi si riferisce che
noto Gobetti sia stato recentemente a Parigi e che oggi sia in Sicilia.
Prego informarmi e vigilare per rendere nuovamente difficile vita questo
insulso oppositore di governo e fascismo». Il prefetto obbedisce e, il 9
giugno, Gobetti viene percosso, la sua abitazione perquisita e le sue
carte sequestrate. Come scrive a Emilio Lussu, la polizia sospetta che egli intrattenga rapporti in Italia e all'estero per organizzare le forze antifasciste.
È il giorno che precede la scomparsa di Giacomo Matteotti, il cui corpo verrà ritrovato solo in agosto, ma subito si ha la certezza che si tratti di un omicidio perpetrato da sicari fascisti. Gobetti ne traccia un profilo il 1º luglio: «Non ostentava presunzioni teoriche: dichiarava candidamente di non aver tempo per risolvere i problemi filosofici perché doveva studiare i bilanci e rivedere i conti degli amministratori socialisti [...] vide nascere nel Polesine il movimento fascista come schiavismo agrario, come cortigianeria servile degli spostati verso chi li pagava; come medievale crudeltà e torbido oscurantismo [...] Sentiva che per combattere utilmente il fascismo nel campo politico occorreva opporgli esempi di dignità con resistenza tenace. Farne una questione di carattere, di intransigenza, di rigorismo».
Auspica, dalle colonne della sua rivista, la formazione di "Gruppi della Rivoluzione Liberale", formati da uomini di tutti i partiti antifascisti, che combattano il fascismo, questo fenomeno politico che trae i motivi del suo successo e della sua conservazione dalla creazione di «un esercito di parassiti dello Stato». Occorre, a questo scopo, formare un'economia moderna con un'industria «libera da ogni protezionismo e da ogni paternalismo di Stato» e con «una classe proletaria politicamente intransigente[28] [...] aiutare i partiti seri e moderni a liberarsi dei costumi giolittiani [...] La guerra al fascismo è questione di maturità storica, politica, economica».[29]
Questi articoli e quello in cui accusa il deputato fascista, grande invalido di guerra, Carlo Delcroix, di manovre parlamentari definite «aborti morali», provocano il sequestro della rivista ed una violenta aggressione da parte di uno squadrone fascista. Persino un articolo di Tommaso Fiore contro il criminale fascista Amerigo Dumini, apparso su La Rivoluzione Liberale del 23 settembre, fornisce il pretesto al prefetto di Torino di sequestrare la rivista[30]. Con il Fiore e con Guido Dorso pubblica un Appello ai meridionali e con il Saluto all'altro Parlamento appoggia l'iniziativa aventiniana, dalla quale si aspetta un'opposizione intransigente e un esempio di rinnovamento dei costumi parlamentari italiani.
Il 23 dicembre del 1924, Gobetti fonda una nuova rivista, Il Baretti, alla quale collaborano, tra gli altri, Augusto Monti, Natalino Sapegno, Benedetto Croce e Eugenio Montale. Come La Rivoluzione Liberale è dedicata a temi storico-politici, così la nuova rivista vuole essere riservata alla critica letteraria e all'estetica. Il riferimento a Giuseppe Baretti, letterato italiano vissuto a lungo all'estero, e alla sua Frusta letteraria, esempio di polemica vivace e irriverente, sottintende, scrive Gobetti nel numero d'esordio, «una volontà di coerenza con le tradizioni di battaglia contro culture e letterature costrette nei limiti della provincia, chiuse dalle frontiere di dogmi angusti e di piccole patrie».
In ossequio alle direttive mussoliniane, proseguono i sequestri della sua rivista: «rimedieremo ai sequestri rifacendo l'edizione» - scrive Gobetti il 1º febbraio del 1925 - e anche quel numero viene sequestrato con il pretesto di «scritti diffamatori dei poteri dello Stato e tendenti a screditare le forze nazionali». Pubblica la traduzione de La Libertà di John Stuart Mill, con la prefazione di Luigi Einaudi, il quale scrive che «quando, per fiaccare la voce dei ribelli, si assevera dai dominatori la unanimità del consenso, giova rileggere i grandi libri sulla libertà». Anche produrre «citazioni di scrittori del passato» che non collimino col pensiero del Regime può essere «tendenzioso» e perciò provocare, l'8 marzo, il sequestro della rivista, come accade anche il 21 marzo e il 7 giugno: l'8 giugno è arrestato Gaetano Salvemini, che ha pubblicato sul foglio clandestino Non Mollare l'articolo Mussolini il mandante. Altri sequestri de La Rivoluzione Liberale avvengono il 28 giugno e il 19 luglio.
Un periodo di serenità per Piero e la moglie Ada - che aspetta un bambino - è rappresentato da un viaggio a Parigi e a Londra; nella capitale francese, Gobetti pensa di stabilire una sua casa editrice: «Credo che solo da Parigi, solo in francese, solo con la solidarietà dello spirito francese un italiano possa fare con utilità un'opera pratica di intelligenza europea. S'intende senza chauvinisme francese». D'altra parte, Gobetti intende ancora rimanere in Italia: «rimarrò in Italia fino all'ultimo. Sono deciso a non fare l'esule».[31]
A metà agosto fanno ritorno a Torino e il 5 settembre è nuovamente
vittima dei pestaggi squadristi, ma è ancora intenzionato a rimanere in
Italia: «Bisogna amare l'Italia con orgoglio di europei e con l'austera
passione dell'esule in patria» - scrive nell'articolo Lettera a Parigi
del 18 ottobre - «per capire con quale serena tristezza e inesorabile
volontà di sacrificio noi viviamo nella presente realtà fascista [...]
le nostre malattie e le nostre crisi di coscienza non possiamo curarle
che noi. Dobbiamo trovare da soli la nostra giustizia. E questa è la
nostra dignità di antifascisti: per essere europei dobbiamo su questo
argomento sembrare, comunque la parola ci disgusti, nazionalisti».
Il 27 ottobre, poiché «i ripetuti sequestri a nulla hanno valso, e che il periodico in parola, sotto l'aspetto di critiche e di discussioni politiche, economiche, morali e religiose, che vorrebbero assurgere ad affermazioni e sviluppi di principi dottrinari, mira in realtà, con irriverenti richiami, alla menomazione delle Istituzioni Monarchiche, della Chiesa, dei Poteri dello Stato, danneggiando il prestigio nazionale, e nel complesso può dar motivo a reazioni pericolose per l'ordine pubblico, persistendo in violazioni sempre più gravi ai vigenti decreti sulla stampa», il prefetto d'Adamo diffida «il Direttore responsabile del periodico La Rivoluzione Liberale, Prof. Piero Gobetti, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 2 del R. D. 15 luglio 1923, n. 3288, e del R. D. 10 luglio 1924, n. 1081», ad adeguarsi alle direttive del Regime e poiché l'8 novembre la rivista disattende l'ordine, l'11 novembre il prefetto ingiunge la cessazione definitiva delle pubblicazioni e la soppressione della stessa casa editrice per «attività nettamente antinazionale». D'ora in avanti «sarò palesatamente costretto all'infelice dissenso [...] . La libertà d'opinione è stata soppressa come una rete che viene sradicata: senza possibilità di dialogare sono destinato ad essere sopraffatto. A cosa serve più, ora, fare finta?»[32]
Infatti Gobetti, che ora soffre anche di scompensi cardiaci, provocati o aggravati dalle violenze subite, pensa di lasciare l'Italia per proseguire in Francia l'attività editoriale. Il 28 dicembre, nasce a Torino il figlio Paolo (1925-1995), che durante la seconda guerra mondiale diventerà partigiano e poi giornalista per l'Unità, oltreché storico del cinema. Nel gennaio del 1926 scrive una lettera al suo mentore Giustino Fortunato: «Parto per Parigi dove farò l'editore francese, ossia il mio mestiere che in Italia mi è interdetto. A Parigi non intendo fare del libellismo, o della polemica spicciola come i granduchi spodestati di Russia; vorrei fare un'opera di cultura, nel senso del liberalismo europeo e della democrazia moderna».[33]
Il 6 febbraio del 1926, Gobetti parte da solo per Parigi: alla stazione di Genova viene a salutarlo Eugenio Montale. L'11 febbraio si ammala di una bronchite, che esacerba gravemente i suoi problemi cardiaci: trasportato il 13 del mese in una clinica di Neuilly-sur-Seine, vi muore alla mezzanotte del 15 febbraio del 1926, assistito da Francesco Fausto e Francesco Saverio Nitti, da Prezzolini e da Luigi Emery. È sepolto nel cimitero parigino di Père Lachaise.
Considerato un degno erede della tradizione post-illuminista e liberale che aveva guidato l'Italia dal Risorgimento fino a poco tempo prima[1], tuttavia di stampo profondamente sociale e particolarmente sensibile alle istanze del socialismo e, di conseguenza, alle rivendicazioni del movimento operaio, fondò e diresse le riviste Energie Nove, La Rivoluzione liberale e Il Baretti, dando fondamentali contributi alla vita politica e culturale, prima che le sue condizioni di salute, aggravate dalle aggressioni subite, ne provocassero la morte prematura a nemmeno 25 anni durante l'esilio francese.
«Era un giovane alto e sottile, disdegnava l'eleganza della persona,
portava occhiali a stanghetta, da modesto studioso: i lunghi capelli
arruffati dai riflessi rossi gli ombreggiavano la fronte»
|
(Carlo Levi, in «Introduzione agli Scritti politici di Piero Gobetti», XVII, 1960) |
Dopo gli studi elementari presso la scuola Giacinto Pacchiotti, s'iscrive al ginnasio Cesare Balbo: scriverà di sé di quegli anni, in terza persona, che «gli pesava un'amarezza, uno sconforto, che nei ragazzi di dodici anni segnano inquietudini fruttuose. Si vedeva troppo poco stimato, troppo solo, troppo malsicuro del domani. Aveva dei dubbi strani sulle sue stesse attitudini [...] Un'adolescenza che s'ispirava a motivi così integrali doveva dargli una tragica forza».[4]
Trasferitosi poi, nel 1916, presso il liceo classico Vincenzo Gioberti, dove conosce Ada Prospero, sua futura moglie, ha per professore d'italiano Umberto Cosmo e per insegnante di filosofia Balbino Giuliano, un gentiliano che collabora alla rivista L'Unità di Gaetano Salvemini. Questi gli ispira quei sentimenti di patriottismo e di interventismo democratico che sono propri del Salvemini, spingendolo ad anticipare di un anno l'esame di maturità, superato nell'estate del 1918, per poter così andare, libero da impegni, volontario nella prima guerra mondiale.
Non solo: a settembre aveva scritto all'amica Ada di aver «deciso di fondare un periodico studentesco di cultura che s'occuperà di arte, letteratura, filosofia, questioni sociali [...] è fatto di soli giovani [...] si tratta di opera di intensificazione di cultura e di azione [...] e tutti i giovani devono aiutarla».[6] E così, il 1º novembre del 1918, esce il primo numero del quindicinale Energie Nove, nel quale scrive di voler «portare una fresca onda di spiritualità nella gretta cultura di oggi [...] non c'è mai momento inopportuno per lavorare seriamente».
Ispirata alle idee liberali di Einaudi, è vicina all'Unità di Salvemini, del quale riporta, nel secondo numero, l'aspra critica alla classe dirigente italiana: «L'Italia ha vinto. Ma se avesse avuto una classe dirigente meno incolta, più consapevole delle sue tradizioni e dei suoi doveri, meno avida moralmente, l'Italia avrebbe vinto assai prima e assai meglio [...] È finita o sta per finire una guerra. Ne comincia un'altra. Più lunga, più aspra, più spietata». L'altra «guerra più lunga e spietata» è quella della riforma del Paese, una riforma che dev'essere, nelle intenzioni di Gobetti, innanzi tutto culturale e morale, e per la quale occorre «serietà e intensità al lavoro» secondo i motivi di quell'«idealismo militante che ha animato La Voce»[7] di Giuseppe Prezzolini, altro nume ispiratore del giovanissimo Gobetti.
La Lega democratica
«Per Piero era doveroso partecipare in prima persona al dibattito politico e intellettuale contemporaneo.»
|
(Carlo Levi, in «Introduzione agli Scritti politici di Piero Gobetti», XXIII, 1960) |
Salvemini deve aver compreso le qualità di Gobetti se arriva a offrirgli la direzione de L'Unità, una proposta che il giovane torinese, però, lascia cadere. Non si sente pronto per tanto impegno, come scrive nel suo diario, il 23 agosto: «Com'è vasta la cultura che devo conquistare! E non basta conquistare il vecchio. Sono giovane e devo anche produrre, creare quel po' che si può creare. […] Ho tutta la vita davanti per sedermi in campagna, davanti al camino, a mangiare pane e noci. Ho una responsabilità. Devo espormi in prima persona. Perciò faccio la rivista. […] Voglio impormi nel lavoro»[9]. E s'impone un piano di studi: «Gentile, ciò che non conosco ancora, rileggerò Croce […] avvierò lo studio del Marxismo: per ora non mi preme. Basta che mi formi un'idea generale di Marx e della critica marxista (Sorel, Labriola, ecc.). D'altra parte studio il bolscevismo, minutamente».[10] Un suo grande ispiratore fu certamente il politico socialista francese Jean Jaurès.[11]
Sebbene restio a sposarla (emblematica fu la risposta «Grazie, non fumo…»)[14], nella considerazione del rapporto con la fidanzata si rivela anche la sua profonda maturità e serietà morale: «Ho dovuto rifarmi un senso morale, un senso della vita forte a sedici anni, in gran parte a diciassette, e siccome me lo son fatto pensando a lei, gliene sarò grato sempre. Una fanciulla come io la sognavo sola poteva darmi un senso immediato di elevazione. Ho creduto in lei e la amo tanto perché mi fa credere ancora adesso».[15]
Il 12 febbraio del 1920, la rivista Energie Nove cessa le pubblicazioni: «sentivo bisogno di maggiore raccoglimento e pensavo una elaborazione politica assolutamente nuova, le cui linee mi apparvero di fatto nel settembre al tempo dell'occupazione delle fabbriche. Devo la mia rinnovazione dell'esperienza salveminiana al movimento dei comunisti torinesi da una parte (vivi di un concreto spirito marxista) e dall'altra agli studi sul Risorgimento e sulla rivoluzione russa che ero venuto compiendo in quel tempo»,[16] e infatti in giugno si consuma anche il distacco con la Lega democratica degli amici di Salvemini. Continua le traduzioni dal russo ed intraprende quelle dal francese dei modernisti cattolici Blondel e Laberthonnière - lo studio sulla filosofia di quest'ultimo gli è suggerito dal suo professore Gioele Solari - e cerca di rintracciare le radici del Risorgimento italiano studiando la cultura piemontese del Sette-Ottocento.
Il movimento operaio
«Io seguo con simpatia gli sforzi degli operai che realmente
costruiscono un ordine nuovo. Non sento in me la forza di seguirli
nell'opera loro, almeno per ora. Ma mi par di vedere che a poco a poco
si chiarisca e si imposti la più grande battaglia del secolo. Allora il
mio posto sarebbe dalla parte che ha più religiosità e spirito di
sacrificio»
|
(Piero Gobetti, lettera ad Ada Prospero, 1920) |
La presa di distanza dall'azione politica di Salvemini - la sua ammirazione personale nei suoi confronti resterà comunque intatta - è ora piena: gli rimprovera, come scriverà pochi anni dopo, di intendere l'azione politica unicamente come «una questione di morale e di educazione»: il suo «moralismo solenne, mentre costituisce il suo più intimo fascino, appare il segreto delle sue debolezze [...] La sua concezione razionalista si risolve in un'azione di illuminismo e di propagandismo, che può riuscire utile a una società di cultura, non a un partito».[19]
Prosegue i suoi studi sul Risorgimento e sulla Russia, terminando in ottobre La Russia dei Soviet: è la volontà di comprendere funzioni e limiti di due esperienze rivoluzionarie, al cui centro è sempre il problema della formazione della classe politica che diriga un Paese e dei suoi rapporti con la popolazione. Ne conclude che il Risorgimento non può considerarsi un'esperienza rivoluzionaria, dal momento che i dirigenti politici che espresse rimasero estranei rispetto al popolo, diversamente dalla rivoluzione sovietica che, a suo avviso, ha espresso dirigenti come Lenin e Trotskij, che non sono soltanto dei bolscevichi, ma «uomini d'azioni che hanno destato un popolo e gli vanno ricreando un'anima» e, del resto, la creazione dal basso di un nuovo Stato, nel quale il popolo abbia fiducia proprio in quanto avvertito come opera propria, «è essenzialmente un'affermazione di liberalismo»
Sono concetti ripresi, il 30 novembre, in un articolo pubblicato su L'Educazione nazionale, il Discorso ai collaboratori di Energie Nove, nel quale individua nel movimento operaio un «valore nazionale»: la novità, venuta dalla Russia e che sembra farsi strada anche in Italia, consiste nel fatto che «il popolo diventa Stato. Nessun pregiudizio del nostro passato ci può impedire la visione del miracolo. Questo non avrebbero fatto i liberali, questo non possono fare dei marxisti. Il movimento operaio è un'affermazione che ha trasceso tutte le premesse. È il primo movimento laico d'Italia. È la libertà che s'instaura».[20]
Il suo avvicinamento alle posizioni dei giovani comunisti dell'Ordine Nuovo ha anche il concreto effetto di una collaborazione e, dal gennaio del 1921, Gobetti diventa il critico teatrale della rivista. A luglio, a Torino, deve assolvere gli obblighi di leva: «la vita militare è la consacrazione di tutti gli egoismi e di tutte le meschinità [...] la meccanicità pervade ogni forma di vita; tutto si riduce a elemento, a vegetazione. La caserma è l'antitesi del pensiero».[21]
La Rivoluzione Liberale
E nel Manifesto inaugurale espone il programma della rivista: «La Rivoluzione Liberale pone come base storica di giudizio una visione integrale e rigorosa del nostro Risorgimento; contro l'astrattismo dei demagoghi e dei falsi realisti esamina i problemi presenti nella loro genesi e nelle loro relazioni con gli elementi tradizionali della vita italiana; [...] e inverando le formule empirico-tradizionaliste del liberismo classico all'inglese, afferma una coscienza moderna dello Stato, [...] che prenda in considerazione anche i più sottili, ma non di certo trascurabili, trapassamenti dialettici della storia».[22]
Il 26 marzo vi pubblica la Storia dei comunisti torinesi scritta da un liberale e a maggio dedica un numero intero all'emergente movimento fascista; il mese successivo consegue la laurea e, l'anno seguente, pubblicherà la sua tesi sull'Alfieri. Gobetti è vivamente colpito dagli scritti del patriota e federalista italiano Carlo Cattaneo, del quale è uscita in quei giorni un'antologia curata da Salvemini, che egli incontra a Torino il 10 agosto: «su Cattaneo ci siamo intesi, egli è assai vicino alle idee che gli ho espresso».[23]
Su Cattaneo scrive, il 17 agosto, un articolo sull'Ordine Nuovo - sono i giorni della devastazione fascista della sede della rivista comunista - firmandosi Giuseppe Baretti: rappresentante della critica del processo unitario risorgimentale, Cattaneo fu emarginato dalla classe dirigente moderata. Eppure il Cattaneo «avversò non l'unità, ma l'illusione di risolvere con il mito dell'unità tutti i problemi che invece si potevano intendere soltanto nella loro specifica realtà autonoma, regionale [...] senza atteggiarsi a profeta, senza l'enfasi dell'apostolo, capì che il fondare una nazione non era impresa di letterati entusiasti, cercò nelle tradizioni un linguaggio di serietà, un ammaestramento di cautela [...] E lo condannarono alla solitudine e all'impopolarità, e diedero a lui, uomo positivo e realista, un ufficio di Cassandra, predicante al deserto».
L'avvento del fascismo
L'11 gennaio del 1923, sposa Ada Prospero: vanno ad abitare nella sua casa natale di via XX Settembre 60, che diviene anche la sede della casa editrice che egli fonda, col suo nome, ad aprile: la Piero Gobetti Editore, che pubblicherà, nei due anni della sua esistenza, 84 titoli. In qualità d'editore, Gobetti porta in Italia, traducendoli, alcuni dei libri e degli autori simbolo del pensiero liberale classico, come John Stuart Mill. È tra i primi a pubblicare i libri di Luigi Einaudi ed è lui a pubblicare, nel 1925, la prima edizione di Ossi di seppia, una delle più famose raccolte di poesia di Eugenio Montale. I libri editi da Gobetti furono in molti casi dati alle fiamme o comunque distrutti sotto il fascismo e, per questo motivo, sono in molti casi introvabili, come il volume dedicato al deputato socialista Giacomo Matteotti, di cui esistono pochissime copie.
Tutti i suoi libri riportano in copertina un motto liberale, scritto in greco antico in modo circolare, che recita testualmente "Cosa ho a che fare io con gli schiavi?". Gobetti e la Prospero si trasferiranno poi in via Fabro 6, attuale sede del Centro di studi a lui intitolato. Il 6 febbraio è arrestato perché sospetto di «appartenenza a gruppi sovversivi che complottano contro lo Stato»: rilasciato cinque giorni dopo, subisce un nuovo arresto il 29 maggio, provocando un'interrogazione parlamentare alla quale il governo risponde che Gobetti «era stato redattore dell'Ordine Nuovo di Torino, giornale antinazionale; la rivista che egli dirige, conduce da tempo una campagna contro le istituzioni e il governo fascista; il prefetto si è perciò sentito in diritto di far operare una perquisizione e il fermo di Gobetti per misure di ordine pubblico».
Gobetti replica con una lettera ai giornali, ribadendo la sua funzione di oppositore del fascismo, e aggiunge, nei libri stampati dalle sue edizioni, il motto «Che ho a che fare io con gli schiavi?». Dopo aver preso le distanze dal Prezzolini, che ha scelto il disimpegno di fronte al fascismo, rinnega anche il suo originario gentilismo: il Gentile è incapace «di dar ragione di ogni fatto politico, nel suo semplicismo pratico la filosofia gentiliana mostra caratteristicamente i suoi limiti e la nessuna aderenza al reale».[25]
La rivoluzione liberale. Saggio sulla lotta politica in Italia
Le tematiche liberali maggiormente sentite trovano una prima e ultima sistemazione in La rivoluzione liberale. Saggio sulla lotta politica in Italia, frutto maturo delle esperienze giornalistiche precedenti, dato alle stampe nell'aprile del 1924. L'opera è divisa in quattro parti: L'eredità del Risorgimento, La lotta politica in Italia, La critica liberale, Il fascismo. La fretta con cui vuol dare alle stampe questo libro di lucida analisi politica gli impedisce di curare bene le parti marginali.Così succede che "L'eredità del Risorgimento" venga solo abbozzata: «Il problema italiano non è di autorità, ma di autonomia: l'assenza di una vita libera fu attraverso i secoli l'ostacolo fondamentale per la creazione di una classe dirigente, per il formarsi di un'attività economica moderna e di una classe tecnica progredita». Un Risorgimento calato dall'alto, che di popolare non aveva nulla. La sfida era riempire di liberalità le istituzioni liberali formalmente create. Nel primo dopoguerra Gobetti assiste a qualcosa di assolutamente nuovo: la nascita dei partiti di massa (Partito Popolare (PPI) e Partito Comunista (PCd'I) saranno una prima versione dei due partiti più importanti della cosiddetta Prima Repubblica). Ma questo non basta.
«Per quattro anni la lotta politica non riuscì a dare la misura della lotta sociale». Una cosa erano le questioni politiche, un'altra le esigenze sociali, ma queste «non possono essere separate dalla politica al pari di come un felino astuto non si ciberà del formaggio ma ne farà da esca per il topo».[26] La seconda parte si divide in sei capitoli. Ciascun capitolo è un fattore della lotta politica: sono presenti liberali e democratici, popolari (sviluppate le figure di Giuseppe Toniolo, Filippo Meda e Luigi Sturzo), socialisti, comunisti (grande spazio dato a Antonio Gramsci), nazionalisti (emblematico il pensiero di Alfredo Rocco) e repubblicani.
Solo con la proporzionale gli interessi si organizzano, così che l'economia venga elaborata dalla politica. Di grandissima attualità è la parte dedicata al problema dei contribuenti: «Il contribuente italiano paga bestemmiando lo Stato. Non ha coscienza di esercitare, pagando, una vera e propria funzione sovrana. L'imposta gli è imposta. [...] Una rivoluzione di contribuenti in Italia in queste condizioni non è possibile per la semplice ragione che non esistono contribuenti». Era quindi necessario per lui raggiungere una maggiore maturità economica e sociale. Il popolo doveva comprendere l'importanza di contribuire nello Stato, e imparare il "valore dell'onestà". Per questo richiamava attenzione sul problema scolastico: in un mondo fatto per grossa parte da analfabeti o semianalfabeti, la questione era fondamentale. Mancava un numero sufficiente di maestri, perciò si sarebbe dovuto mobilitare chiunque in grado di saper insegnare (anche preti, massoni, bolscevichi e così via).
La questione non evitava di trattare l'aspetto economico: contro il parassitismo pensava che fosse utile tagliare stipendi e investimenti, così da distinguere la vocazione all'insegnamento dalla vocazione al parassitare. In politica estera prospettava un ruolo importante per l'Italia a Versailles. Era convinto della possibilità di ottenere un buon accordo attraverso una mediazione. Nella quarta ed ultima parte vi è una rapida esposizione del perché Gobetti si oppone con ogni mezzo al fascismo. Si è detto che per l'autore la lotta sociale deve essere portata in Parlamento e dar vita a una lotta politica efficiente ed efficace.
Benito Mussolini invece fece in modo da soffocare la lotta politica, quando questa più di ogni altra cosa era necessaria all'Italia. Così il Duce, per Gobetti, era «l'eroe rappresentativo di questa stanchezza e di questa aspirazione di riposo» che si esplicava nel tacito consenso della popolazione allo sradicamento di ogni lotta politica nella nazione. In modo profetico, da esperto conoscitore del pensiero di Hegel qual era, prevede e mette in guardia delle conseguenze della concessione del potere a Mussolini secondo le dinamiche della dialettica serva-signore, ipotizzando una guerra civile imminente.[27] Il saggio è fortemente militante. Nella nota a conclusione dell'edizione, Gobetti è chiaro: cerca collaboratori, non lettori. Gobetti vuole la "rivoluzione liberale", cioè un nuovo liberalismo; nutre una forte avversione per il fascismo, anche perché non è qualcosa di nuovo ma, anzi, il risultato ottenuto da coloro che hanno governato l'Italia: è quindi una condanna della vecchia classe dirigente liberale.
Il fascismo nasce dall'invadenza del cattolicesimo e dalla demagogia dell'Italia liberale: "Fascismo come autobiografia della nazione", il fascismo è, insomma, solo l'incancrenirsi dei mali tradizionali della società italiana. La società tradizionale italiana reagisce sostenendo una forza conservatrice come quella del fascismo, anche se in realtà qualcosa di buono nell'Italia del primo dopoguerra vi era stato: il proletariato (soprattutto quello torinese) che tenta di assumere su di sé la responsabilità di mutare lo stato delle cose. La borghesia ha perso ogni funzione propositiva, è una classe parassitaria che si è adagiata e aspetta tutto dallo Stato; si blocca così ogni istanza di rinnovamento: la funzione liberale e libertaria è assunta dal proletariato. Le considerazioni politiche di Gobetti risentono della sua opinione sulla storia italiana, in Risorgimento senza eroi, Gobetti descrive questo periodo come un'epopea patriottarda di cui simbolo è Giuseppe Mazzini (tante parole, pochi fatti): al Risorgimento sono mancati il pragmatismo e il realismo.
Ci sono due eroi nel Risorgimento per Gobetti e sono Carlo Cattaneo e Cavour, due figure assai distanti tra loro ma accomunabili per il loro pragmatismo: Cattaneo piace a Gobetti per la sua volontà di operare, per la capacità di propugnare istanze pragmatiche e vuote di retorica; Cavour è uomo che media per raggiungere degli obiettivi, ha mire di lungo periodo. Il Risorgimento di Cattaneo è sconfitto, ma non quello di Cavour; entrambi, però, hanno instillato nella società italiana lo spirito della competizione e l'ideale di assunzione di responsabilità. La società italiana si regge su ruoli e cariche già predefiniti, è statica e stagnante: il proletariato, però, si ribella a ciò, rifugge situazioni già prestabilite per costruire una società nuova in cui ciascuno sarà libero di esprimersi.
La persecuzione, l'esilio e la morte
È il giorno che precede la scomparsa di Giacomo Matteotti, il cui corpo verrà ritrovato solo in agosto, ma subito si ha la certezza che si tratti di un omicidio perpetrato da sicari fascisti. Gobetti ne traccia un profilo il 1º luglio: «Non ostentava presunzioni teoriche: dichiarava candidamente di non aver tempo per risolvere i problemi filosofici perché doveva studiare i bilanci e rivedere i conti degli amministratori socialisti [...] vide nascere nel Polesine il movimento fascista come schiavismo agrario, come cortigianeria servile degli spostati verso chi li pagava; come medievale crudeltà e torbido oscurantismo [...] Sentiva che per combattere utilmente il fascismo nel campo politico occorreva opporgli esempi di dignità con resistenza tenace. Farne una questione di carattere, di intransigenza, di rigorismo».
Auspica, dalle colonne della sua rivista, la formazione di "Gruppi della Rivoluzione Liberale", formati da uomini di tutti i partiti antifascisti, che combattano il fascismo, questo fenomeno politico che trae i motivi del suo successo e della sua conservazione dalla creazione di «un esercito di parassiti dello Stato». Occorre, a questo scopo, formare un'economia moderna con un'industria «libera da ogni protezionismo e da ogni paternalismo di Stato» e con «una classe proletaria politicamente intransigente[28] [...] aiutare i partiti seri e moderni a liberarsi dei costumi giolittiani [...] La guerra al fascismo è questione di maturità storica, politica, economica».[29]
Questi articoli e quello in cui accusa il deputato fascista, grande invalido di guerra, Carlo Delcroix, di manovre parlamentari definite «aborti morali», provocano il sequestro della rivista ed una violenta aggressione da parte di uno squadrone fascista. Persino un articolo di Tommaso Fiore contro il criminale fascista Amerigo Dumini, apparso su La Rivoluzione Liberale del 23 settembre, fornisce il pretesto al prefetto di Torino di sequestrare la rivista[30]. Con il Fiore e con Guido Dorso pubblica un Appello ai meridionali e con il Saluto all'altro Parlamento appoggia l'iniziativa aventiniana, dalla quale si aspetta un'opposizione intransigente e un esempio di rinnovamento dei costumi parlamentari italiani.
Il 23 dicembre del 1924, Gobetti fonda una nuova rivista, Il Baretti, alla quale collaborano, tra gli altri, Augusto Monti, Natalino Sapegno, Benedetto Croce e Eugenio Montale. Come La Rivoluzione Liberale è dedicata a temi storico-politici, così la nuova rivista vuole essere riservata alla critica letteraria e all'estetica. Il riferimento a Giuseppe Baretti, letterato italiano vissuto a lungo all'estero, e alla sua Frusta letteraria, esempio di polemica vivace e irriverente, sottintende, scrive Gobetti nel numero d'esordio, «una volontà di coerenza con le tradizioni di battaglia contro culture e letterature costrette nei limiti della provincia, chiuse dalle frontiere di dogmi angusti e di piccole patrie».
In ossequio alle direttive mussoliniane, proseguono i sequestri della sua rivista: «rimedieremo ai sequestri rifacendo l'edizione» - scrive Gobetti il 1º febbraio del 1925 - e anche quel numero viene sequestrato con il pretesto di «scritti diffamatori dei poteri dello Stato e tendenti a screditare le forze nazionali». Pubblica la traduzione de La Libertà di John Stuart Mill, con la prefazione di Luigi Einaudi, il quale scrive che «quando, per fiaccare la voce dei ribelli, si assevera dai dominatori la unanimità del consenso, giova rileggere i grandi libri sulla libertà». Anche produrre «citazioni di scrittori del passato» che non collimino col pensiero del Regime può essere «tendenzioso» e perciò provocare, l'8 marzo, il sequestro della rivista, come accade anche il 21 marzo e il 7 giugno: l'8 giugno è arrestato Gaetano Salvemini, che ha pubblicato sul foglio clandestino Non Mollare l'articolo Mussolini il mandante. Altri sequestri de La Rivoluzione Liberale avvengono il 28 giugno e il 19 luglio.
Un periodo di serenità per Piero e la moglie Ada - che aspetta un bambino - è rappresentato da un viaggio a Parigi e a Londra; nella capitale francese, Gobetti pensa di stabilire una sua casa editrice: «Credo che solo da Parigi, solo in francese, solo con la solidarietà dello spirito francese un italiano possa fare con utilità un'opera pratica di intelligenza europea. S'intende senza chauvinisme francese». D'altra parte, Gobetti intende ancora rimanere in Italia: «rimarrò in Italia fino all'ultimo. Sono deciso a non fare l'esule».[31]
Il 27 ottobre, poiché «i ripetuti sequestri a nulla hanno valso, e che il periodico in parola, sotto l'aspetto di critiche e di discussioni politiche, economiche, morali e religiose, che vorrebbero assurgere ad affermazioni e sviluppi di principi dottrinari, mira in realtà, con irriverenti richiami, alla menomazione delle Istituzioni Monarchiche, della Chiesa, dei Poteri dello Stato, danneggiando il prestigio nazionale, e nel complesso può dar motivo a reazioni pericolose per l'ordine pubblico, persistendo in violazioni sempre più gravi ai vigenti decreti sulla stampa», il prefetto d'Adamo diffida «il Direttore responsabile del periodico La Rivoluzione Liberale, Prof. Piero Gobetti, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 2 del R. D. 15 luglio 1923, n. 3288, e del R. D. 10 luglio 1924, n. 1081», ad adeguarsi alle direttive del Regime e poiché l'8 novembre la rivista disattende l'ordine, l'11 novembre il prefetto ingiunge la cessazione definitiva delle pubblicazioni e la soppressione della stessa casa editrice per «attività nettamente antinazionale». D'ora in avanti «sarò palesatamente costretto all'infelice dissenso [...] . La libertà d'opinione è stata soppressa come una rete che viene sradicata: senza possibilità di dialogare sono destinato ad essere sopraffatto. A cosa serve più, ora, fare finta?»[32]
Infatti Gobetti, che ora soffre anche di scompensi cardiaci, provocati o aggravati dalle violenze subite, pensa di lasciare l'Italia per proseguire in Francia l'attività editoriale. Il 28 dicembre, nasce a Torino il figlio Paolo (1925-1995), che durante la seconda guerra mondiale diventerà partigiano e poi giornalista per l'Unità, oltreché storico del cinema. Nel gennaio del 1926 scrive una lettera al suo mentore Giustino Fortunato: «Parto per Parigi dove farò l'editore francese, ossia il mio mestiere che in Italia mi è interdetto. A Parigi non intendo fare del libellismo, o della polemica spicciola come i granduchi spodestati di Russia; vorrei fare un'opera di cultura, nel senso del liberalismo europeo e della democrazia moderna».[33]
Il 6 febbraio del 1926, Gobetti parte da solo per Parigi: alla stazione di Genova viene a salutarlo Eugenio Montale. L'11 febbraio si ammala di una bronchite, che esacerba gravemente i suoi problemi cardiaci: trasportato il 13 del mese in una clinica di Neuilly-sur-Seine, vi muore alla mezzanotte del 15 febbraio del 1926, assistito da Francesco Fausto e Francesco Saverio Nitti, da Prezzolini e da Luigi Emery. È sepolto nel cimitero parigino di Père Lachaise.
Cinema
Questo docufilm narra la storia della vita e delle gesta del più famoso boss mafioso degli anni 80(ancora Riina era sconosciuto alle cronache).Non solo partendo dalle sue radici siciliane ma anche in seguito al suo trasferimento in Brasile alla creazione della sua famiglia con la conoscenza di sua moglie Cristina,e poi la nascita dei suoi figli.Ma ecco che il tutto viene di colpo azzerato dall'arresto e da lì parte il vero inferno per Buscetta.I corleonesi scatenano una guerra feroce uccidendo tutti i suoi amici,due suoi figli sciolti nell'acido,un genero,un fratello,due nipoti,una vera mattanza tanto che alla fine si convincerà che quella mafia,quel patto d'onore che aveva siglato in gioventù aderendo a Cosa Nostra non esiste più,e comincia a collaborare.Prima con Falcone e poi con gli americani.Dalle sue rivelazioni nascerà il maxiprocesso con centinaia di condanne e poi Pizza Connection con lo smantellamento del narcotraffico tra la Sicilia e gli States,due colpi micidiali per la mafia.Ma la sua vita da quel momento sempre sotto protezione,sempre spostamenti,sempre all'erta,fino al suo epilogo con la morte per cancro.Al di là dei giudizi sulla persona ciò che emerge è la mentalità che c'era all'interno della mafia,la ferocia con la quale dominava tutto e tutti,la facilità con la quale poteva raggiungere chiunque con i suoi tentacoli mortali.Ottima visione per capire meglio come estirparla.
Libri
Il testo conclude la saga dedicata a Pazair e al regno di Ramses.Si resta con il fiato sospeso fino alle ultime pagine per capire le modalità e gli organizzatori del complotto per detronizzare Ramses.La scrittura è avvincente e le quasi 400 pagine volano via che è un piacere.Nel libro poi ci sono tanti miti da sfatare,per esempio che nell'Egitto Antico esistessero gli schiavi,cosa non vera.Che non c'era parità di diritti tra donna e uomo,altra menzogna colossale.Che fosse una società profondamente mercantile e materialista.Anche questo falso,soprattutto nel regno del padre di Ramses Sethi I e durante tutto il regno di Ramses stesso dove vennero eretti i più bei monumenti in gloria e preghiera per gli dei che si siano mai visti (alcuni visibili ancora oggi nella loro magnificenza).
Scienza
Saturno è il sesto pianeta del sistema solare in ordine di distanza dal Sole e il secondo pianeta più massiccio dopo Giove. Con un raggio medio 9,5 volte quello della Terra e una massa 95 volte superiore a quella terrestre Saturno, con Giove, Urano e Nettuno, è classificato come gigante gassoso.[4] Il nome deriva dall'omonimo dio della mitologia romana, omologo del titano greco Crono.[5] Il suo simbolo astronomico (♄) è una rappresentazione stilizzata della falce del dio dell'agricoltura e dello scorrere del tempo (in greco, Κρόνος).[6]
Saturno è composto per il 95% da idrogeno e per il 3% da elio a cui seguono gli altri elementi. Il nucleo, consistente in silicati e ghiacci, è circondato da uno spesso strato di idrogeno metallico e quindi da uno strato esterno gassoso.[7]
I venti nell'atmosfera di Saturno possono raggiungere i 1 800 km/h,[8] risultando significativamente più veloci di quelli su Giove e leggermente meno veloci di quelli che spirano nell'atmosfera di Nettuno.[9]
Saturno ha un esteso e vistoso sistema di anelli che consiste principalmente in particelle di ghiaccio e polveri di silicati. Della sessantina di lune conosciute che orbitano intorno al pianeta,[10] Titano è la maggiore ed anche l'unica luna del sistema solare ad avere un'atmosfera significativa.[11]
Oltre che dalla distanza dalla Terra la luminosità di Saturno dipende anche dalla posizione degli anelli; se essi sono orientati in modo favorevole, come avvenne ad esempio nel 2002, sono maggiormente visibili e contribuiscono ad aumentare sensibilmente la luminosità apparente di Saturno.[14]
Talvolta Saturno, come altri corpi del sistema solare che giacciono nei pressi dell'eclittica, può venire occultato dalla Luna. Nel caso di Saturno il fenomeno ha luogo con determinati cicli: a un periodo di dodici mesi, durante i quali il pianeta viene occultato dodici volte dalla Luna, si sussegue un periodo di circa cinque anni, durante il quale non si verificano occultazioni. Questo succede perché l'orbita della Luna intorno alla Terra è inclinata rispetto all'orbita della Terra attorno al Sole, e solo quando Saturno si trova vicino al punto dove l'orbita della Luna attraversa il "piano dell'eclittica" possono avvenire le occultazioni.[15]
Storia delle osservazioni
Saturno è l'ultimo dei pianeti visibili a occhio nudo ed era conosciuto sin dall'antichità.[16] Gli astronomi babilonesi osservavano e registravano regolarmente i movimenti del pianeta.[17] Nell'antica mitologia romana il dio Saturno, da cui il pianeta prende il nome, era il dio dell'agricoltura ed era considerato l'equivalente del titano greco Crono.[18] Lo scienziato greco Tolomeo basò i suoi calcoli dell'orbita di Saturno su osservazioni fatte mentre il pianeta era all'opposizione.[19]Il primo astronomo a osservarne la forma peculiare fu Galileo, che nel 1610 non riuscì a risolvere completamente la figura del pianeta circondato dai suoi anelli. Inizialmente il pianeta gli apparve accompagnato da altri due corpi sui lati, e pertanto lo definì "tricorporeo".[20] Con le osservazioni successive e l'uso di strumenti più evoluti la variazione dell'angolo visuale degli anelli gli mostrò via via aspetti diversi, che lo spinsero a definire bizzarro il pianeta. Galileo nei suoi schizzi ipotizzò varie soluzioni per la forma di Saturno, fra cui anche possibili anelli che tuttavia erano tangenti la superficie del corpo celeste.[21]
Nei secoli successivi Saturno fu oggetto di studi approfonditi. Nel 1649 un costruttore di telescopi marchigiano, Eustachio Divini, pubblicò per la prima volta un'illustrazione dettagliata degli anelli di Saturno; il teologo cattolico Leone Allacci verso la metà del XVII secolo teorizzò fantasiosamente che gli anelli fossero stati originati dal Santo prepuzio,[22] ma successivamente nel 1655 l'astronomo olandese Christiaan Huygens fu il primo a intuire la natura anulare dei corpi visti da Galileo attorno al pianeta e scoprì anche il satellite Titano.[21] Giovanni Cassini nel 1675 fu il primo a ipotizzare la natura degli anelli e vi individuò la prima suddivisione o lacuna che ancora oggi porta il suo nome. Inoltre scoprì altre quattro lune saturniane: nel 1671 Rea, Giapeto nel 1672 e Dione e Teti nel 1684.[23] La natura "granulare" degli anelli fu dimostrata per via teorica nel 1859 dal fisico scozzese James Clerk Maxwell.[24]
Nel 1899 William Henry Pickering scoprì Febe, un satellite irregolare che non ruota in sincronia con Saturno come le altre lune maggiori. Febe è stato il primo satellite scoperto in un'orbita retrograda.[23] Nel corso del XX secolo studi su Titano portarono alla conferma che esso era circondato da una spessa atmosfera, caratteristica unica tra i satelliti naturali del sistema solare.[25]
Esplorazione spaziale
Lo stesso argomento in dettaglio: Esplorazione di Saturno. |
Pioneer 11
Il Pioneer 11 fu la prima sonda spaziale a effettuare un sorvolo ravvicinato di Saturno nel settembre 1979, quando passò a 20 000 chilometri dalla sommità delle nubi del pianeta. Furono scattate immagini del pianeta e di alcune delle sue lune, anche se la bassa risoluzione non consentì di rilevare dettagli della superficie.La sonda studiò anche gli anelli del pianeta, scoprendo il sottile anello F e il fatto che le lacune oscure appaiono brillanti se osservate a elevati angoli di fase rispetto al Sole, indicando che contengono sottili particelle in grado di diffondere la luce. Pioneer 11 misurò anche la temperatura di Titano.[26]
Le sonde Voyager
Lo stesso argomento in dettaglio: Programma Voyager. |
Nell'agosto 1981, quasi un anno dopo, la Voyager 2 continuò lo studio del sistema di Saturno. Acquisì diverse altre immagini ravvicinate delle lune di Saturno mostrando prove di alcuni cambiamenti dell'atmosfera e degli anelli. Purtroppo durante il flyby la piattaforma girevole della telecamera si bloccò per un paio di giorni e alcune immagini pianificate andarono perse. La gravità di Saturno fu poi usata per dirigere la sonda verso Urano.[27]
Le sonde scoprirono alcuni nuovi satelliti in orbita nei pressi o all'interno degli anelli del pianeta, così come scoprirono alcuni spazi vuoti tra gli anelli stessi, come la Divisione di Maxwell, tra l'anello B e l'anello C, e la Divisione di Keeler, all'interno dell'anello A.[28]
Cassini-Huygens
Lo stesso argomento in dettaglio: Missione spaziale Cassini-Huygens. |
Dall'inizio del 2005 la Cassini rivelò fulmini nell'atmosfera di Saturno, circa 1.000 volte più potenti dei fulmini terrestri.[30] Nel 2006 la NASA comunicò che la Cassini aveva trovato la prova di acqua liquida su Encelado, che fuoriesce da sotto la superficie ghiacciata tramite geyser. Le immagini della Cassini mostrarono getti di particelle ghiacciate che dalla regione polare sud della luna finivano in orbita attorno a Saturno. Secondo alcuni scienziati altre lune del sistema solare potrebbero avere oceani di acqua liquida sotto la superficie, tuttavia nel caso di Encelado questi potrebbero trovarsi appena poche decine di metri sotto la superficie ghiacciata.[31] Nel maggio 2011, gli scienziati della NASA affermarono che Encelado potrebbe essere il luogo più abitabile del sistema solare per la vita per come è conosciuta dall'uomo.[32]
Numerose sono state le scoperte della Cassini nel corso degli anni: tra il 2006 e il 2007 sono stati scoperti laghi e mari di idrocarburi su Titano, il più grande dei quali ha le dimensioni del Mar Caspio.[33] Nell'ottobre del 2006 la sonda ha anche registrato una enorme tempesta nel polo sud di Saturno.[34]
Dopo avere scoperto otto nuovi satelliti la missione principale della Cassini si è conclusa nel 2008, tuttavia essa è stata prima estesa fino al 2010 e successivamente prorogata fino al 2017.[35]
Nell'aprile 2013 la Cassini inviò le immagini di un enorme uragano sul polo nord del pianeta, 20 volte più grande di quelli che si osservano sulla Terra, con venti che soffiavano a oltre 530 km/h.[36]
Il 19 luglio 2013 per la prima volta la NASA ha annunciato in anticipo che sarebbe stata scattata una serie di foto dal sistema solare esterno verso la Terra: la Cassini, dietro al disco di Saturno per evitare il bagliore del Sole, immortalò la Terra e la Luna dalla distanza di 1,5 miliardi di km. Da quella distanza la Terra appariva un piccolo puntino blu con un ancor più piccolo puntino bianco accanto (la Luna).[37]
Parametri orbitali
Lo stesso argomento in dettaglio: Parametri orbitali di Saturno. |
L'asse di rotazione è inclinato di 26,731°, regalando al pianeta un ciclo di stagioni più o meno analogo a quello terrestre e marziano, ma assai più lungo. Il periodo di rotazione di Saturno sul proprio asse varia a seconda della quota; gli strati superiori, nelle regioni equatoriali, impiegano 10,23378 ore a compiere un giro completo, mentre nucleo e mantello ruotano in 10,67597 ore.[38]
Nel marzo 2007 è stato rilevato che la variazione delle emissioni radio del pianeta non corrisponde alla velocità di rotazione di Saturno. Tale variazione potrebbe essere causata dall'attività dei geyser sulla superficie della luna Encelado. Il vapore acqueo emesso in orbita attorno a Saturno da questa attività crea un ostacolo al campo magnetico del pianeta, rallentando la sua rotazione rispetto alla rotazione del pianeta.[39]
L'ultima stima del periodo di rotazione di Saturno, basato su una media di varie misure effettuate dalle sonde Cassini, Voyager e Pioneer è stato segnalata nel settembre 2007, ed equivale a 10 ore, 32 minuti e 35 secondi.[40]
Caratteristiche fisiche
Struttura interna
Lo stesso argomento in dettaglio: Struttura interna di Saturno. |
Al centro del pianeta è presente il nucleo. I modelli planetari standard suggeriscono che all'interno di Saturno esista un piccolo nucleo roccioso simile nella composizione al nucleo terrestre, ma più denso. Gli astronomi francesi Didier Saumon e Tristan Guillot hanno stimato nel 2004 che il nucleo di Saturno possiede una massa compresa tra 9-22 volte la massa terrestre, che corrisponde a un diametro di circa 25.000 chilometri e dove si raggiunge una temperatura di quasi 12 000 °C e una pressione di 10 milioni di atmosfere.[44][45] Il nucleo è circondato da uno spesso strato di idrogeno liquido metallico, seguito da uno strato liquido di idrogeno molecolare ed elio che si trasformano in gas all'aumentare dell'altitudine. Lo strato più esterno si estende su 1.000 km e consiste in un'atmosfera gassosa.[46]
Saturno, al pari di Giove, irradia radiazione infrarossa energeticamente più che doppia rispetto a quella che riceve dal Sole. Solo una parte di questa energia è attribuibile al meccanismo di Kelvin-Helmholtz; un ulteriore meccanismo che spiegherebbe il calore generato è quello di una "pioggia di elio" al suo interno: goccioline d'elio, più pesante dell'idrogeno, sprofondano nell'oceano liquido sottostante e comprimendosi, liberano calore che per convezione migra verso l'alto fino all'atmosfera, dove può sfuggire nello spazio esterno.[47][48]
Atmosfera
Lo stesso argomento in dettaglio: Atmosfera di Saturno. |
Nell'atmosfera di Saturno sono state rilevate anche tracce di ammoniaca, acetilene, etano, propano, fosfina e metano.[52][53] Le nubi superiori sono costituite da cristalli di ammoniaca, che gli conferiscono il tipico aspetto giallognolo, mentre quelle degli strati inferiori sembrano essere composte da idrosolfuro di ammonio (NH4SH) o acqua.[54] La radiazione ultravioletta del Sole provoca la fotolisi del metano negli strati superiori dell'atmosfera, causando una serie di reazioni chimiche degli idrocarburi con i prodotti risultanti trasportati verso il basso dai vortici atmosferici. Questo ciclo fotochimico è regolato dal ciclo annuale stagionale di Saturno.[55]
Le bande
L'atmosfera di Saturno mostra bande simili a quelle di Giove, ma molto più deboli e più larghe vicino all'equatore. Le formazioni atmosferiche (macchie, nubi) sono così deboli da non essere mai state osservate prima dell'arrivo delle sonde Voyager. Da allora i telescopi a terra e in orbita sono migliorati al punto da poter condurre regolari osservazioni delle caratteristiche atmosferiche di Saturno. Sono state trovate tempeste di forma ovale dalla lunga vita e molto simili a quelle di Giove. Nel 1990 il telescopio spaziale Hubble osservò un'enorme nube bianca vicino all'equatore del pianeta, e un'altra fu osservata nel 1994.[56]La composizione delle nuvole varia con la profondità e l'aumentare della pressione. Negli strati superiori, con una temperatura compresa tra 100-160 K e pressioni tra 0,5 e 2 bar, le nuvole sono costituite da ammoniaca ghiacciata. Scendendo nell'atmosfera di Saturno si trovano le nubi di ghiaccio d'acqua, dove la pressione è compresa tra 2,5 bar e 9,5 bar e le temperature tra i 185 e 270 K. Più in basso si trova uno strato di idrosolfuro di ammonio ghiacciato, a pressioni tra 3-6 bar e temperature comprese tra 290 e 235 K. Infine, negli strati inferiori, dove le pressioni sono di circa 10-20 bar e le temperature di 270-330 K, è presente una zona composta da gocce d'acqua mista ad ammoniaca in soluzione acquosa.[57]
Una sostanziale differenza fra le atmosfere di Giove e Saturno è la presenza di bande chiare e scure, specialmente presso l'equatore, molto evidenti nel primo ma estremamente soffuse e poco contrastate nell'altro. Il motivo è un più spesso strato di foschia che sovrasta la parte dell'alta atmosfera di Saturno, probabilmente causata dalla minore temperatura (130 K nell'alta atmosfera), che favorisce la formazione di nubi a una profondità maggiore rispetto a Giove.[58] Ciò nonostante l'atmosfera saturniana è percorsa da venti fortissimi, che soffiano fino a 1 800 km/h presso l'equatore.[8] Sono inoltre presenti cicloni, soprattutto alle alte latitudini, dalla durata relativamente breve, come quello ripreso dal telescopio spaziale Hubble nel 1990, tipico esempio di Grande Macchia Bianca, tempeste temporanee che si formano durante le estati saturniane nell'emisfero nord, e osservate anche nel 1876, 1903, 1933 e 1960, non presenti durante il passaggio delle sonde Voyager.[59]
Esagono di Saturno
Lo stesso argomento in dettaglio: Esagono di Saturno. |
Non si conoscono ancora le cause della presenza di questa forma geometrica regolare, ma sembra che non ci sia un collegamento con la radio-emissione di Saturno e con la sua attività delle aurore polari.[62][63]
Ciclone del polo sud
Il telescopio spaziale Hubble tra il 1997 e il 2002 osservò nei pressi del polo sud una corrente a getto, ma nessuna struttura paragonabile all'esagono del polo nord.[64] Nel novembre 2006 la NASA ha però riferito che, tramite immagini della sonda Cassini, è stato osservato un uragano centrato nel polo sud, con un occhio del ciclone ben definito.[65] La scoperta ha rivestito una notevole importanza perché non erano mai stati osservati nel sistema solare, Terra a parte, cicloni con l'"occhio" così definito, nemmeno quando la sonda Galileo osservò da vicino la Grande Macchia Rossa di Giove.[66] Il ciclone potrebbe esistere da miliardi di anni, ha la grandezza circa della Terra e al suo interno i venti soffiano a 550 km/h, vale a dire a velocità doppia rispetto a un uragano terrestre di categoria 5.[67]Campo magnetico
Lo stesso argomento in dettaglio: Magnetosfera di Saturno. |
La sua origine, come per il pianeta Giove, è dovuta allo strato di idrogeno liquido all'interno del pianeta, ove si producono frequenti scariche elettriche, e alla elevata velocità di rotazione. Un altro fattore che spiega la sua debole magnetosfera deriva dall'orientamento della stessa, che è quasi coincidente con l'asse di rotazione del pianeta, con uno scarto di solo 1° (contro i 10° di Giove).[70]
La magnetosfera è composta da fasce di radiazione a forma di toroide nelle quali si ritrovano elettroni e nuclei atomici ionizzati. Il tutto si estende per oltre 2 milioni di chilometri e anche oltre nella direzione opposta a quella del Sole. L'interazione tra la magnetosfera e la ionosfera provoca aurore polari che circondano i poli. Queste aurore sono state fotografate anche dal telescopio spaziale Hubble.[70]
Altre interazioni dovute al campo magnetico sono state osservate tra i suoi satelliti: una nube composta da atomi di idrogeno che va dall'orbita di Titano fino all'orbita di Rea e un disco di plasma, anche questo formato da idrogeno e ioni di ossigeno, che si estende dall'orbita di Teti fino quasi all'orbita di Titano.[68]
Anelli
Lo stesso argomento in dettaglio: Anelli di Saturno. |
Gli anelli incominciano a un'altezza di circa 6 600 km dalla sommità delle nubi di Saturno e si estendono fino a 120 000 km, poco meno di un terzo della distanza Terra-Luna. Il loro spessore è mediamente pari ad appena 10 metri.[73]
Gli anelli sono divisi in sette fasce, separate da divisioni quasi vuote. L'organizzazione in fasce e divisioni risulta da una complessa dinamica ancora non ben compresa, ma nella quale giocano sicuramente un ruolo i cosiddetti satelliti pastori, lune di Saturno che orbitano all'interno o subito fuori dell'anello.[71]
L'origine degli anelli è sconosciuta. Ci sono due ipotesi principali al riguardo: che siano il risultato della distruzione di un satellite di Saturno, provocata da una collisione con una cometa o con un altro satellite, oppure che siano un "avanzo" del materiale da cui si formò Saturno che non è riuscito ad assemblarsi in un corpo unico. Parte del ghiaccio della parte centrale degli anelli proviene dalle eruzioni del criovulcanismo di Encelado.[75] In passato, gli astronomi pensavano che gli anelli si fossero formati assieme al pianeta miliardi di anni fa,[76] tuttavia studi più recenti sembrano suggerire che l'età degli anelli sia probabilmente solo di alcune centinaia di milioni di anni.[77]
Composizione
Alcuni agglomerati di ghiaccio più massicci possono alterare lievemente l'uniformità dell'anello. Agglomerati dell'ordine di centinaia di metri vengono definiti "minilune" (moonlet in inglese) e non sono visibili al telescopio e nemmeno alle sonde che finora hanno visitato il pianeta, bensì creano delle perturbazioni che generano dei giochi di luce e ombra visibili solo in determinati periodi dell'anno saturniano. La NASA stima che gli anelli potrebbero "nascondere" milioni di minilune.[81]
Anello di Febe
Satelliti naturali
Lo stesso argomento in dettaglio: Satelliti naturali di Saturno e Satelliti ipotetici di Saturno. |
Il satellite saturniano di gran lunga più interessante è Titano, l'unico satellite del sistema solare a possedere una densa atmosfera e che da solo costituisce oltre il 95% della massa orbitante attorno a Saturno, anelli compresi.[91][92] Titano fu anche il primo satellite saturniano scoperto, nel 1655, da Christiaan Huygens. Seguirono, tra il 1671 e il 1684, le scoperte di Teti, Dione, Rea e Giapeto da parte di Giovanni Cassini.[93] Passò poi più di un secolo prima della scoperta, nel 1789, di Mimas e Encelado da parte di William Herschel, mentre Iperione fu scoperto nel 1848 da W.C. Bond, G.P. Bond[94] e William Lassell.[95], e fu l'ultimo scoperto con l'osservazione diretta tramite telescopi ottici. Già Febe, nel 1899, fu scoperto da William Henry Pickering mediante l'uso di lastre fotografiche a lunga esposizione.[96] Nel 1966 venne scoperto Giano,[97] che dette molti grattacapi agli astronomi del tempo: i dati acquisiti dalle osservazioni davano valori incompatibili relativamente al periodo e alla distanza da Saturno.[98] Solo nel 1978 si ipotizzò che potesse esistere un altro satellite naturale a condividere la stessa orbita, unica spiegazione possibile del fenomeno osservato.[98] Nel 1980 la sonda Voyager 1 confermò l'esistenza di Epimeteo nella stessa orbita di Giano, unico caso nel sistema solare di due satelliti che condividono la stessa orbita.
Il gran numero di satelliti e la presenza degli anelli rende molto complessa la dinamica del sistema di Saturno. Gli anelli sono influenzati dai movimenti dei satelliti, che causano marcate divisioni o lacune, e la forza di marea con Saturno porta effetti perturbanti sulle orbite dei satelliti minori.[99] I satelliti di Saturno possono essere divisi a grandi linee in dieci gruppi a seconda delle orbite attorno al pianeta. Oltre alle piccole lune degli anelli, ai satelliti pastori, alle lune co-orbitali e alle lune irregolari, i grandi satelliti sono sostanzialmente divisi in "interni" ed "esterni": i satelliti interni orbitano all'interno del tenue Anello E e tra questi sono compresi Mimas, Encelado, Teti e Dione, le cui orbite sono contraddistinte da una bassa eccentricità orbitale e un'inclinazione orbitale inferiore a 1,5°, con l'eccezione di Giapeto, che ha un'inclinazione di 7,57°. Le grandi lune esterne, Rea, Titano, Iperione e Giapeto, orbitano di là dall'Anello E e in genere hanno un'inclinazione e un'eccentricità orbitale decisamente più elevata.[100]
Saturno nella cultura
Significato mitologico-religioso
In ebraico antico, Saturno è conosciuto come Shabbathai e il suo angelo è Cassiel.[104][105] La sua intelligenza o benefico spirito è Agiel (layga) e il suo spirito (l'aspetto più oscuro) è Zazel (lzaz).[106] In lingua turca ottomana, urdu e malese, il suo nome è 'Zuhal', derivato dall'arabo زحل.[107]
Sabato, il giorno della settimana, era associato a Saturno già ai tempi degli antichi romani (Saturni dies), che lo consideravano il primo giorno della settimana planetaria, tradizione derivata probabilmente da quella ebraica. Il pianeta, tradizionalmente considerato come "freddo" perché il più lontano di quelli allora conosciuti, era associato anche alla tradizione ebraica di consumare pasti freddi il sabato.[108] Anche nell'era moderna nei paesi di lingua inglese, riprendendo la tradizione romana, Saturno è associato al sabato (Saturday).[109]
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