martedì 31 dicembre 2019
Pensieri
Oggi che è la fine dell'anno il mio pensiero va a chi non c'è più,almeno fisicamente,ma è sempre presente in me.A Mamma,volata in cielo pochi mesi fa,a Papà che mi manca tanto,a mia sorella Cristina chissà come sarebbe stato averne un'altra accanto,a mio figlio Alessandro che proprio in questa giornata se ne andava sorridente steso tra le mie braccia,e poi a tutti gli zii,i nonni,i cugini,gli amici,le amiche,il mio cuore li abbraccia tutti oggi più che mai.
Leggende
Kanō Jigorō[1] (嘉納 治五郎?; Mikage, 28 ottobre 1860 – Mar del Giappone, 5 maggio 1938) è stato un judoka e educatore giapponese, fondatore del judo.
Biografia
Kanō Jigorō nacque a Mikage, un piccolo villaggio di mare nei pressi di Kōbe; fu il terzo figlio di Kanō Jirosaku, produttore di sakè e fornitore della Marina imperiale. Da giovane, essendo di piccola statura e di fisico piuttosto gracile, praticò intensamente attività fisica, unitamente ad alcuni sport occidentali come il baseball, alla scuola Kaisei, successivamente ribattezzata Tōkyō Daigaku, o Università di Tokyo.
Kanō sapeva che nel periodo feudale veniva praticato in Giappone il jujutsu, una disciplina con la quale un uomo poteva battere un avversario anche di gran forza, e comincia a interessarsene. Si procurò perciò numerosi densho, i libri segreti, che ormai si trovavano in vendita nei mercatini, e con un suo compagno di studi tentò di allenarsi da solo. Dopo aver manifestato al padre il desiderio di iscriversi a un dojo (scuola di arti marziali), ricevette da lui un netto rifiuto poiché la disciplina era screditata e in vistoso declino. Nel 1877 si iscrisse all'Università di Tokyo, la prima reimpostata secondo criteri occidentali. Dovette trasferirsi per poter seguire gli studi: ciò gli consentì di sfuggire al controllo del padre e di dedicarsi intensamente allo studio del jujutsu.
Kanō, con molte difficoltà poiché anche in una città come Tokyo era difficile trovare un dojo, riuscì grazie all'aiuto di Teinosuke Yagi, un anziano maestro non più praticante, a iscriversi alla scuola del maestro Fukuda, che insegnava lo stile Tenshin Shin'yō; il maestro rimase ammirato dalla dedizione del suo giovane allievo. Anche Fukuda era molto anziano e, deceduto questi, Kanō dovette cercarsi un nuovo maestro. Lo trovò in Iso Mataemon, anch'egli di Tenshin Shin'yō, con il quale completò lo studio di questa ryū (scuola), ricevendo il grado di Shian (maestro), nonché il libro segreto che gli fu lasciato in eredità. A questo punto Kanō iniziò lo studio di un'altra scuola di jujutsu, questa volta Kito, che apprese sotto la guida di Iikubo Tsunetoshi.
Questa scuola era famosa per le sue tecniche di atterramento dell'avversario e per praticare il randori (controllo del caos), a differenza della quasi totalità delle altre scuole che fondavano l'insegnamento attraverso i kata (vita o morte). La sua dedizione e l'impegno lo portarono a conquistare il grado Shian anche in questo stile, del tutto diverso dal precedente. Lo studio del jujutsu non gli impedì comunque di laurearsi in Scienze Politiche ed Economiche nel 1881. Un anno dopo, nel 1882, a soli 22 anni aprì il suo primo dojo, di soli 12 tatami, in una saletta del tempio di Eisho nel quartiere Shimoya di Tokyo, e con l'aiuto di soli nove discepoli creò il Kodokan judo ("scuola per seguire la via").
Qui dalle ceneri del jujutsu fece nascere il suo metodo, chiamato judo (柔道 jūdō?, "via della cedevolezza"), nel quale fece convergere i metodi delle antiche scuole di arti marziali associandoli al concetto di ottenere il miglior risultato col minimo sforzo, formando una disciplina efficace tanto per il fisico quanto per la mente. Kanō ricoprì numerosi incarichi per il governo giapponese, e grazie alla sua influenza riuscì a fare inserire il judo nelle materie scolastiche accanto all'educazione fisica. L'insegnamento del "metodo Kanō" cominciò ad essere praticato nell'Accademia navale e nelle università di Tokyo e Keio. Il nuovo Kodokan judo salì al centro dell'attenzione pubblica grazie ai lodevoli principi ed agli elevati ideali di cui era intriso; nonostante ciò si levarono alcuni sospetti sulla sua efficacia in combattimento. In particolare, il judo veniva disprezzato dai praticanti del vecchio stile jujutsu.
Questa situazione sfociò in un'aperta rivalità tra la scuola del famosissimo Totsuka Hikosuke e il Kōdōkan. Nel 1886 la questura di Tokyo indisse un torneo fra le scuole di jujutsu allo scopo di selezionare il metodo più efficace con il quale sarebbero stati addestrati gli agenti. Il Kodokan su 15 combattimenti ne vinse 13, mentre due finirono in pareggio. La vittoria stabilì la supremazia del judo non solamente nei principi, ma anche nella tecnica. Con i suoi migliori allievi, Kanō nel 1895 stabilì il go-kyō, cioè il metodo di insegnamento diviso in 5 gradi. Sono dello stesso periodo le prime elaborazioni di kata, con le forme delle proiezioni nage no kata e del combattimento reale kime no kata. Successivamente, nel 1921, migliorò il go-kyō, lo stesso dell'attuale, con l'aiuto dei suoi allievi più esperti e con i maestri delle ultime scuole di jujutsu assorbite dal Kodokan.
Negli anni successivi, il maestro compì molti viaggi per diffondere il judo nel mondo; nel 1928 e nel 1934 fu in Italia, e visitò i centri judoistici creati da Carlo Oletti. Nel 1938 venne inviato in rappresentanza del Giappone al 12º Convegno del CIO (Comitato Olimpico Internazionale) al Cairo, che approvò la proposta di far svolgere i Giochi olimpici a Tokyo. Nonostante non considerasse il judo uno sport, si adoperò per portarlo gradualmente verso i giochi olimpici, poiché in questo modo sarebbe stato possibile far conoscere la sua disciplina nel mondo. Nella sua idea educativa il judo era il mezzo di possibile miglioramento dell'uomo, sia sotto il profilo etico quanto in quello fisico.
Il judo mira cioè a compiere la sintesi tra le due tipiche espressioni della cultura giapponese antica, e cioè Bun-Bu, la penna e la spada, la virtù civile e quella guerriera, in ossequio agli antichi samurai. Il suo desiderio si realizzò, però, solamente nel 1964, quando la manifestazione si tenne a Tokyo. Tuttavia, Kanō era deceduto anni prima, il 4 maggio 1938, a bordo della SS Hikawa Maru, mentre era in un viaggio di ritorno verso casa, in un periodo in cui il Giappone, mosso da una nuova spinta imperialista, si stava avviando verso la seconda guerra mondiale.
Dopo la disfatta, la nazione fu posta sotto il controllo degli USA per 10 anni e il judo sottoposto a pesante censura poiché catalogato tra gli aspetti pericolosi della cultura giapponese che spesso esaltava la guerra. Fu perciò proibita la pratica della disciplina e i numerosi libri e filmati sull'argomento vennero in gran parte distrutti. Il judo sarà poi "riabilitato" nel 1950 grazie al CIO, guadagnando ancora in popolarità ma perdendo in qualità tanto che a oggi a ben poche persone è stato riconosciuto il 10' dan (il Kodokan ha promosso al 10' dan solamente 15 judoka di cui 5 postumi); uniche eccezioni l'olandese Anton Gesink e l'inglese Charles Palmer che sono stati promossi dalla Federazione Internazionale Judo e non dal Kodokan.
Nella vita pubblica Kanō Jigorō fu una personalità di spicco in Giappone. Nel 1882, dopo aver terminato gli studi, fu nominato professore e successivamente, nel 1884, addetto alla Casa imperiale, un titolo di grande prestigio. Più tardi, nel 1891, divenne consigliere del Ministero dell'educazione, del quale diverrà direttore nel 1898. Nel 1911 venne eletto presidente della Federazione Sportiva Giapponese. Alla sua morte, avvenuta all'età di settantasette anni per polmonite mentre si trovava nella nave Hikawa Maru, il judo contava già più di 100.000 cinture nere al suo attivo.
Vita privata
Kanō Jigorō si sposò con Sumako Takezoe ed ebbe tre figli, due femmine Noriko e Atsuko e un maschio Risei, in seguito direttore del Kodokan e della Federazione Internazionale di Judo (1952-1965). Tutti i membri della famiglia Kanō praticarono judo.
Onorificenze
Cavaliere di III Classe dell'Ordine del Sol Levante - nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere di III Classe dell'Ordine del Sol Levante
— 4 maggio 1938.[2]
Fotografia
Il fascino del mimetismo.
Volpe artica. Baie-D’Urfé, Quebec, Canada
FOTOGRAFIA DI CHRISTOPHER DORMOY
Haiku
Ciliegi in fiore sul far della sera
anche quest’oggi
è diventato ieri.
Kobayashi Issa
(1763-1827)
Libri
Una storia che ci riguarda tutti, perché è lì che l'Italia "ha perduto l'innocenza". Di fronte a quei morti e feriti del 12 dicembre 1969. Quando i processi non possono più darci la verità giudiziaria, la parola passa alla Storia e alla memoria. Per scoprire una vicenda che coinvolge molto più di una fiction. Una vicenda assolutamente, scrupolosamente vera. Il libro: Milano, 12 dicembre 1969. Una bomba esplode nella sede della Banca nazionale dell'agricoltura, in piazza Fontana. È una strage. L'obiettivo: condurre a un colpo di Stato autoritario. Lucarelli ricostruisce uno degli eventi più efferati che hanno segnato la storia italiana. In appendice, a cura di Nicola Biondo: la cronologia essenziale degli avvenimenti, la sintesi delle fasi processuali, le biografie dei protagonisti e altro. Il Dvd: lo speciale di "Blu notte. Misteri italiani" andato in onda nel 2005.
Cucina
Le lasagne alla Bolognese sono un piatto tipico della gastronomia dell’Emilia Romagna e, nello specifico, della città di Bologna. Nonostante la paternità di questa ricetta sia Emiliana, le lasagne sono conosciute a tal punto da diventare uno dei simboli della cucina italiana nel mondo e conosce numerose e prelibate varianti. Dalla preparazione agli ingredienti, questa ricetta è la quintessenza della "ricchezza" della cucina tradizionale bolognese, celebre anche per molte altre ricette di pasta fresca e non solo, basti pensare allo gnocco fritto. Per preparare una buona lasagna alla Bolognese la cosa fondamentale è la giusta scelta degli ingredienti: per prima cosa la carne, che deve essere rigorosamente mista: di manzo e di maiale per dare sapore alla ricetta, poi la polpa di pomodoro che deve essere di buona qualità, ed infine, ma non per ultime, le lasagne vere e proprie, che devono essere tra le migliori, con la sfoglia porosa adatta a trattenere il condimento per ottenere una consistenza perfetta!
Serie Tv
La seconda stagione si colloca due anni dopo l’invasione dei Romani. La profezia che potrebbe salvare la Britannia verrà messa a rischio quando i due fratelli Veran e Harka inizieranno un’epica battaglia che spaccherà i Druidi in due fazioni contrapposte.
Sono passati ormai due anni dall’invasione della Britannia ad opera dei Romani. Con l’aiuto di Amena (Annabel Schole), regina dei Celti, il generale Aulo (David Morrissey) sta tentando di romanizzare le tribù locali, procedendo alla soppressione violenta di qualsiasi tentativo di opporsi al processo. Non pochi dubbi sorgono però sul comportamento di Aulo, che sembra avere un piano oscuro e segreto. Un piano che risveglia i fantasmi del passato di Amena e rende ben più pericolosa la sua minaccia nei confronti dei Druidi.
Cait (Eleanor Worthington Cox), una giovane ragazza addestrata dal Druido Divis (Nikolaj Lie Kaas), è la sola speranza per i Celti. Il suo destino è quello di portare a compimento la profezia che libererebbe la Britannia dall’invasione romana. Il corso degli eventi sarà messo a rischio quando i due fratelli Veran e Harka scatenano una vera e propria guerra civile che spaccherà i Druidi in due fazioni contrapposte.
Libri
Tanti anni prima Lorenza era una ragazza bella e insopportabile, dal fascino abbagliante. La donna che un pomeriggio di fine inverno Guido Guerrieri si trova di fronte nello studio non le assomiglia. Non ha nulla della lucentezza di allora, è diventata una donna opaca. Gli anni hanno infierito su di lei e, come se non bastasse, il figlio Iacopo è in carcere per omicidio volontario. Guido è tutt'altro che convinto, ma accetta lo stesso il caso; forse anche per rendere un malinconico omaggio ai fantasmi, ai privilegi perduti della giovinezza. Comincia così, quasi controvoglia, una sfida processuale ricca di colpi di scena, un appassionante viaggio nei meandri della giustizia, insidiosi e a volte letali. Una scrittura inesorabile e piena di compassione, in equilibrio fra il racconto giudiziario - distillato purissimo della vicenda umana - e le note dolenti del tempo che trascorre e si consuma.
Serie Tv
Alla fine degli Anni '70, l'ambizioso agente dell'FBI Holden Ford intraprendere un'odissea investigativa sinistra e misteriosa alla scoperta di verità brutali, quelle che si celano nelle menti degli assassini assicurati alla legge, così da poter impiegare tali conoscenze per catturarne altri. Ford su inisce con Bill Tench, un agente esperto ma a volte riluttante, nell'Unità di Scienze Comportamentali, scoprendo nuovi validi metodi d'indagine. Insieme, Ford e Tench si confrontano con alcuni dei criminali più pericolosi d'America, affrontando al tempo stesso il cinismo e la diffidenza di molti dei loro colleghi e superiori.Tratta dai libri reali del famoso John Douglas la serie resta fedele ai casi realmente accaduti e alle tecniche realmente studiate per arrivare a delineare dei profili dei serial killer,termine che proprio Douglas coniò trovandosi davanti i primi veri omicidi seriali.
Libri
Chi è davvero Matteo Salvini? Ce lo racconta Andrea Scanzi, col suo stile ironico e irriverente, in questo libro che segue a ruota i bestseller Renzusconi e Salvimaio. Salvini appare qui non come il “nuovo fascista”, bensì – per dirla con Montanelli – come uno sbilenco “guappo di cartone”. E i guappi, spesso, li smascheri col sorriso. Scanzi tratteggia le caratteristiche salienti di un politico tutto chiacchiere e distintivo. C’è la critica seria: le incongruenze politiche, la malandata classe dirigente leghista, la “ferocia” nel gestire i migranti durante il governo giallo-verde, le parole sulla famiglia Cucchi, il clamoroso autogol estivo che gli è costato il Viminale. E c’è la satira, che colpisce uno statista che si definì da solo “nullafacente” e vive ancora il dramma di quando da bambino gli rubarono Zorro. Il Salvini di Scanzi è un leader bislacco che vive in tivù e fa “disobbedienza civile” con le merendine. Beve mojito al Papeete. Posta foto mentre si ingozza. Cita De André senza averci capito nulla. E ha l’ardire di definirsi “nuovo”, quando in realtà è il politico più vecchio della cosiddetta Terza Repubblica."
Cinema
Proseguendo sulla scia di "Quei bravi ragazzi"e "Casinò",Scorsese ai addentra di nuovo nel territorio della mafia italo-americana.Stavolta lo fa prendendo spunto dal libro confessione di Charles Brandt dedicato a Frank Sheeran,il presunto assassino del famoso sindacalista Jimmy Hoffa.Attraverso le storie di Sheeran,di Hoffa e di tutti i personaggi famosi della mafia americana,da Sam Giancana a Fat Tony Salerno,ad Anastasia,si rivive un po' la storia di parte di quell'America dedita all'uso della violenza pur di fare soldi.Il film è una scia lunghissima di sangue,e alla fine vedere questi poveri vecchietti su sedie a rotelle quando in gioventù furono degli spietati killer sembra quasi irreale.La sapienza di Scorsese oltre che nell'abilità del racconto con le immagini,e nella direzione degli attori,sta proprio nel darci i messaggi che dove c'è colpa c'è o ci può essere anche redenzione,che dove c'è stata spietatezza ci può essere anche pentimento.A mio avviso un capolavoro.
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