lunedì 27 febbraio 2017
Cinema
Il Maestro di arti marziali Hahou Mo si costituisce alla polizia dopo aver accidentalmente ucciso un uomo. Durante la sua carcerazione, diversi campioni di arti marziali vengono uccisi: le ricerche della polizia conducono a Fung Yu-sau, impazzito dopo aver perso la moglie. L'obiettivo finale per Fung è quello di sfidare all'ultimo sangue Hahou Mo, a cui ricorre anche la polizia in qualità di informatore.
Tira aria di autocelebrazione infinita per il cinema di arti marziali: se Gallants rappresentava il lato più cinefilo e ironico del fenomeno, Kung Fu Jungle ne incarna quello più spettacolare ed estremo. Per Donnie Yen (Ip Man) è l'ennesimo centro di una carriera che si arricchisce di sfumature con proporzionalità diretta rispetto all'età che avanza e che, con Kung Fu Jungle, sembra quasi preludere a un nuovo ruolo, quello di sifu inarrivabile che ricorre alla violenza il minimo indispensabile. Solo tre le sequenze di combattimento vero e proprio nel suo tipico mix di stili, per il resto il proscenio è affidato a un sorprendente Wang Baoqiang, a suo agio in ambito marziale dopo aver interpretato sin qui ruoli lontanissimi dal genere (Il tocco del peccato, Lost in Thailand). Il percorso di vendetta di Fung è un eccellente pretesto per una successione di duelli marziali differenziati per stile, alla maniera di Le furie umane del kung fu, o Five Deadly Venoms, dell'era Shaw Brothers. Un campione e quindi un duello per ogni stile, fino all'atteso showdown tra Donnie Yen e Wang Baoqiang, combattuto su una superstrada tra i camion in corsa. Nell'oggetto del contendere tra i due rivali, ovvero se l'atto di uccidere sia parte o meno delle arti marziali, è possibile forse, osando un po', leggere l'abbandono forzato nel cinema di genere del verismo della messa in scena e dello stunt in favore della ricostruzione dei duelli in digitale. Come se quell'era temeraria e quasi snuff del cinema di Hong Kong appartenesse a un passato irrimediabilmente trascorso (rappresentato dall'evoluzione del personaggio di Donnie Yen). Un risvolto che dona ulteriore fascino a un film dall'epilogo forse scontato, dagli effetti Cgi approssimativi, dalla sceneggiatura lacunosa e inverosimile: ma in cui le regole del film di genere, le sue leggi non scritte, sono tutte rispettate. Kung Fu Jungle dà al suo pubblico esattamente ciò che questo desidera. Molti e talora quasi impercettibili gli omaggi al passato del cinema di arti marziali: in video Drunken Master e Jackie Chan, così come Liu Chia-liang, in carne e ossa molti altri, a partire dal cameo di David Chiang (La mano sinistra della violenza).
Emanuele Sacchi
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