sabato 11 maggio 2013

Attualità





Andreotti, potere e misteri/4. Dai nastri di Aldo Moro ai processi di mafia
Nel 1990 vengono ritrovate nel covo milanese delle Brigate rosse 400 pagine risalenti al sequestro che confermano le accuse di Pecorelli. All'interno, la conferma dell'esistenza di una struttura anti-guerriglia segreta e duri attacchi contro l'ex senatore a vita. Una fitta trama di intrighi e omissioni che proseguono lungo tutta la vita del sette volte presidente del Consiglio, dallo scontro con Cossiga alla morte, avvenuta il 6 maggio scorso


MORO E DALLA CHIESA – Nell’ottobre del 1990, durante i lavori di ristrutturazione di un covo milanese delle Brigate rosse, perquisito 12 anni prima dagli uomini del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, vengono ritrovate 400 pagine di documenti risalenti all’epoca del sequestro di Aldo Moro. Si tratta di una ventina di lettere inedite scritte dallo statista assassinato e, soprattutto, di una copia di un suo memoriale già consegnato alla magistratura dai carabinieri nel ’78. A quell’epoca la rivista Op aveva quasi subito ipotizzato che quel documento fosse incompleto. Aveva denunciato la scomparsa delle bobine su cui i terroristi avevano inciso gli interrogatori del democristiano, e aveva intensificato, partendo dal caso Caltagirone, gli attacchi contro Andreotti.

Le carte, misteriosamente ritrovate nel ’90, confermano parte delle denunce di Pecorelli. Nella nuova copia del memoriale sono, infatti, presenti brani nei quali viene affrontata la questione dell’esistenza in Italia di una struttura anti-guerriglia segreta (Gladio) e, soprattutto, ci sono alcuni durissimi passaggi riguardanti Andreotti. Moro per esempio parla dello scandalo Italcasse-Caltagirone e sostiene, tra l’altro, che la nomina del nuovo presidente dell’istituto di credito era “stata fatta da un privato, proprio l’interessato Caltagirone che ha tutto sistemato…”. Come era già avvenuto nel caso delle bobine sul golpe Borghese registrate dal capitano La Bruna, insomma, ai magistrati nel ’78 era stato consegnato solo il materiale ritenuto più innocuo. Non è chiaro chi abbia materialmente omissato i memoriali e nemmeno si sa che fine abbiano fatto le bobine con gli interrogatori di Moro. E’ certo, invece, l’assassinio di Dalla Chiesa da parte di Cosa nostra.

Una volta andato in pensione il valoroso generale viene, infatti, inviato a Palermo come prefetto antimafia. E lì, abbandonato da tutti e attaccato pubblicamente dagli andreottiani ( definiti proprio da Dalla Chiesa in lettera indirizzata a Giovanni Spadolini, “la famiglia politica più inquinata del luogo”), crolla, con la moglie, sotto i colpi dei killer mafiosi. E’ il 3 settembre del 1982. La sua cassaforte sarà trovata vuota. Prima di accettare quell’incarico Dalla Chiesa aveva incontrato, tra gli altri, anche Andreotti. Subito dopo, nel proprio diario aveva annotato: “Andreotti mi ha chiesto di andare e, naturalmente, date le sue presenze elettorali in Sicilia si è manifesta per via indiretta interessato al problema; sono stato molto chiaro e gli ho dato però la certezza che non avrò riguardo per quella parte di elettorato cui attingono i suoi grandi elettori […] sono convinto che la mancata conoscenza del fenomeno lo ha condotto e lo conduce a errori di valutazione […] il fatto di raccontarmi che intorno al fatto Sindona un certo Inzerillo morto in America è giunto in una bara e con un biglietto da 10 dollari in bocca, depone nel senso…”. Il 12 novembre del 1986, Giulio Andreotti sarà interrogato come testimone al primo maxi-processo alla mafia. Al centro della sua deposizione ci sarà ovviamente il contenuto del diario dell’eroico generale. Che, incredibilmente, Andreotti tenterà di smentire. Per lui Dalla Chiesa si è, infatti, confuso.

Andreotti negherà, così, di aver fatto con lui nomi di Inzerillo e di Sindona. E soprattutto sosterrà che il generale non gli disse mai che non avrebbe avuto riguardi per il suo elettorato compromesso con la mafia. Quel giorno, continuando a difendere Lima e tutti i suoi accoliti, Andreotti dimostra però che almeno su un punto Dalla Chiesa davvero sbagliava. Il suo non era stato un errore di valutazione. Era qualcos’altro.

SENATORE A VITA -  Il 27 luglio del ’90, il magistrato veneziano Felice Casson, è autorizzato dal presidente del Consiglio Giulio Andreotti ad acquisire nella sede del Sismi, documenti relativi a un’organizzazione segreta antiguerriglia destinata ad entrare in azione in caso d’invasione dai paesi del blocco sovietico. Il 3 agosto davanti alla Commissione stragi Andreotti spiega che la struttura è rimasta attiva fino al 1972. Il 12 ottobre viene ritrovato a Milano la copia del memoriale Moro in cui si fanno cenni all’organizzazione. Mentre montano le polemiche sulla strana scoperta, il 19 ottobre Andreotti fa arrivare in commissione un documento, sul frontespizio del quale compare per la prima volta la parola “Gladio”. Leggendo le dodici cartelle i parlamentari scoprono, però, che nel ’72 l’organizzazione non era stata sciolta, solo smilitarizzata e fatta rientrare nei servizi. Bettino Craxi intanto mette apertamente in dubbio le versioni ufficiali sul ritrovamento del secondo memoriale Moro. Parla di “manine e manone” e fa chiaramente intendere che i documenti dello statista (senza omissis) potrebbero essere stati fatti ritrovare apposta.

L’indagine della Commissione stragi prosegue. I capi dei servizi rivelano che Gladio è nata almeno nel ’51, quando era presidente del consiglio De Gasperi. Nel ’56 venne firmato un accordo segreto tra Cia e il Sifar in seguito al quale, tre anni dopo, Gladio entrò nelle strutture Nato. Tutti questi passaggi, ovviamente, avvennero all’insaputa del parlamento. Come campo di addestramento dei gladiatori veniva utilizzata la base militare di capo Marrangiu. E’ la stessa struttura dove, nel ’64, il capo del Sifar De Lorenzo aveva progettato di trasferire, in caso di colpo di Stato, tutti gli oppositori politici di sinistra. Andreotti in più interventi difende la legalità della struttura. E lo stesso fa il presidente della Repubblica Francesco Cossiga, molto coinvolto nell’organizzazione di questi “patrioti”. Cossiga però ipotizza che Andreotti abbia reso nota l’esistenza di Gladio per screditarlo e costringerlo alle dimissioni. Ad avviso del presidente-picconatore, Andreotti ha in mente un solo obiettivo: mandarlo a casa in anticipo e farsi eleggere al suo posto con l’appoggio del partito comunista.

Tra Andreotti e Cossiga è scontro aperto. A seguito delle polemiche, nella primavera del ’91, il sesto governo Andreotti cade. Una settimana dopo si arriva al suo settimo e ultimo governo, dal quale escono però i repubblicani. In giugno Andreotti, va in Sicilia per due giorni. Qui sostiene, al fianco di Salvo Lima, i propri candidati alle elezioni regionali. Cosa Nostra è inquieta. La prima sezione della Corte di Cassazione deve decidere le sorti del primo maxi-processo. La presenza di un giudice come Corrado Carnevale, secondo i collaboratori di giustizia, aveva fatto fino allora dormire sonni tranquilli agli uomini d’onore. Ma il nuovo ministro di Grazia e Giustizia, il socialista Claudio Martelli, adesso aveva accanto a sé al ministero un giudice come Giovanni Falcone. Per le sorti del processo, nella mafia, si cominciava a temere. E non era un errore. Nell’ottobre del ’91, infatti, il presidente della corte di cassazione cambia d’autorità il collegio che giudicherà il maxi. Di lì a tre mesi gli imputati di rispetto saranno tutti condannati. Andreotti invece, a sorpresa, si riappacifica con Cossiga. Il presidente in novembre lo nomina senatore a vita. Il suo governo, cosa mai accaduta prima, adesso combatte seriamente la mafia.

MA I BOSS NON STANNO A GUARDARE – Il 12 marzo del ’92, Salvo Lima, il cugino di Sicilia, cade sotto i colpi di Cosa Nostra. Dopo mezzo secolo troppa gente in Italia aveva cominciato a non rispettare i patti. Esplodono di nuovo le bombe. Muore Giovanni Falcone. Muore Paolo Borsellino. La mafia scopre il 41 bis. Piegati dal carcere duro, gli uomini d’onore cominciano a raccontare. Alcuni di loro diranno di aver visto Andreotti da vicino. Altri parleranno per sentito dire. In aula al processo, contro l’ex presidente del Consiglio vengono prodotti e ripetuti decine e decine di verbali. Un fiume di ricordi, un mare di testimonianze che ora è inutile star qui ad analizzare. Perché alla fine, confermato dalla Cassazione, arriveranno un attestato di colpevolezza “fino alla primavera del 1980” e un’assoluzione per i fatti successivi. Abbastanza per salvare l’imputato Andreotti Giulio dalle pene comminate tribunale degli uomini. Troppo poco per evitargli di comparire, da lunedì 6 maggio 2013, davanti a quello della storia.

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