FIRENZE - «Mi dissero che quelli come Maria si chiamano "bambini farfalla", nel senso che durano una stagione sola. Ma io, con questa mia storia fatta di amore, mostri, accettazione e perdita infinita, voglio dimostrare che con le farfalle — la mia Maria — ha in comune soltanto una cosa: la bellezza». Chi scrive è la madre di una bambina di tre anni colpita da una grave malattia neuro degenerativa, tremenda anche nel nome, la leucodistrofia metacromatica. Una di quelle malattie per le quali non si conosce rimedio, ma che una terapia a base di cellule staminali sembra riuscire ad arginare, se non fosse che manca il definitivo riscontro clinico e che Aifa e Nas ne hanno bloccato la somministrazione. E che ci sono tribunali che hanno consentito ad alcuni bambini di continuare la sperimentazione. Altri, come quello di Firenze, no.
L’appello, lanciato per la prima volta dalle telecamere delle Iene, è rivolto al ministro della Salute: «Non abbiamo tempo di aspettare le leggi. Sofia ha bisogno di aiuto», dicono i genitori di una bambina di Firenze che si è ammalata quando aveva solo un anno e mezzo. Aveva imparato a camminare, ridere, pronunciare le prime frasi. Poi un giorno ha iniziato a zoppicare, nel giro di pochi mesi è arrivata la paralisi e poi la cecità. «Maria» è il nome che la piccola Sofia dava alle sue bambole, un nome che le piaceva e andava bene per tutte le femmine e le cose femminili ed è così che si chiama la bambina del libro di Caterina Ceccuti fatto di immagini e di tenerezza, di dolore e speranza: «Voa voa!», al modo dei bambini che aprono le braccia e prendono la rincorsa. Una rincorsa è anche quella che la famiglia di Sofia ha preso, con fermezza, dopo il trauma della diagnosi e la disperazione, quando è iniziata l’instancabile ricerca di una via per aiutare la piccola.
Un aiuto sembrava essere arrivato da un protocollo d’intesa che ha legato gli Spedali Civili di Brescia alla fondazione Stamina, produttrice di particolari cellule staminali che «si sono dimostrate efficaci», dicono le famiglie dei bambini farfalla rientrati nel programma di «cure compassionevoli». Sofia dopo la prima infusione (il programma ne prevedeva cinque) aveva smesso di vomitare, le sue pupille, racconta la madre, avevano ripreso a reagire davanti alla luce. I Nas hanno interrotto gli interventi del laboratorio di Brescia: la cura compassionevole secondo l’Aifa (l’agenzia italiana del farmaco) era somministrata a troppi pazienti, non rispettava le regole della sicurezza. Una famiglia di Venezia ha trovato il modo di aggirare il blocco della cura appellandosi al tribunale del lavoro e seguendo la stessa strada diciotto bambini di diverse città possono continuare le infusioni a base di cellule staminali. Sofia invece no (come altre due pazienti).
Così ha deciso il tribunale di Firenze: «Il diritto alla salute dovrebbe essere uguale per tutti — si sfoga Caterina — si lascia decidere un giudice che non solo non ha competenze specifiche in materia di staminali, ma che si trova in molti casi a dover decidere sulla vita o sulla morte di piccoli pazienti malati terminali». La famiglia di Sofia non si arrende, fa un appello al ministro Balduzzi, che da ieri ha la bacheca di Facebook piena di messaggi da tutta Italia: «Telefoni a questa famiglia», «Si metta nei panni dei genitori», ma ci sono anche i «Si vergogni» e peggio. Un appello arriva dal consigliere regionale Gian Luca Lazzeri (Più Toscana) che si rivolge anche al governatore Enrico Rossi affinché faccia da intermediario con il ministro Balduzzi. «Sofia è una persona in carne, sangue e lacrime (troppe per la sua età). Sofia che non è un "caso" né clinico né giuridico — dice Caterina — Nelle prossime settimane non sapremo come darle da mangiare, non riesce a deglutire, non può essere a lungo alimentata per via parenterale. Un altro sistema non c’è, abbiamo cercato dappertutto anche all’estero, quella di Stamina è l’unica strada possibile».