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venerdì 30 marzo 2012

venerdì 3 febbraio 2012

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Caspar David Friedrich - Early morning mist in the mountains, Morgennebel im Gebirge, Friedrich, Caspar David

martedì 10 gennaio 2012

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Caspar David Friedrich - Il tempio di giunone ad Agrigento

mercoledì 28 dicembre 2011

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Caspar David Friedrich - Paesaggio invernale con chiesa

mercoledì 14 dicembre 2011

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Caspar David Friedrich - sorgere della luna al mare

sabato 26 novembre 2011

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Caspar David Friedrich - Il mare di ghiaccio

mercoledì 21 settembre 2011

domenica 22 maggio 2011

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Stefano Poggi nasce a Genova il 28 gennaio 1969.

Dopo essersi diplomato al liceo artistico "Paul Klee" si trasferisce a Firenze, dove frequenta la scuola di scenografia dell' Accademia di Belle Arti.

Inizia da subito la sua attivitá di scenografo con l'allestimento della piece "La volpe", andata in scena nel 1996 al teatro colosseo di Roma.

Dopo 10 anni di esperienze teatrali, l'esigenza di trovare una piu' ampia espressione della propria creativitá e la ricerca di un rapporto tra arte e serenità visiva, lo portano a dedicarsi al lavoro pittorico, trovando nell' acquarello la perfetta formula del proprio linguaggio artistico.

domenica 8 maggio 2011

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Questo Angelo dipinto nel 1889 da Van Gogh nella sua semplicità trasmette una alta dimensione spirituale,una sensazione di serenità e di paterna dolcezza,come a dire "Chiunque tu sia e in qualsiasi forma io ti proteggerò con la mia energia positiva".

domenica 27 marzo 2011

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Philipp Otto Runge (Wolgast, 23 luglio 1777 – Amburgo, 2 dicembre 1810) è stato un pittore tedesco di stile romantico.

Figlio di un commerciante, Runge avrebbe dovuto seguire la carriera del padre, ma l'abbandonò ben presto per perseguire la sua aspirazione artistica. Studiò dapprima presso l'Accademia di Copenaghen (1799-1801), quindi a Dresda (1801-1804), dove entrò in contatto con Ludwig Tieck e gli altri Romantici ed iniziò ad interessarsi delle teorie del mistico tedesco del Seicento Jakob Böhme. Nel 1804 sposò Pauline Bassenge, che aveva posato spesso come modella per i suoi quadri, e la coppia si trasferì ad Amburgo. Runge morì di tubercolosi nel 1810 a soli 33 anni.

Runge è, assieme a Caspar David Friedrich, il maggior esponente del Romanticismo tedesco in arte. Entrambi, nelle loro opere, rifiutavano le convenzioni dei pittori accademici, ma, molto più di Friedrich, Runge si dedicò alla raffigurazione della figura umana e soprattutto come ritrattista di bambini creò le sue opere più riuscite (ad esempio I bambini di Hülsenbeck, 1806). Ispirato dal Künstlerroman (romanzo di formazione che narra la crescita e l'educazione di un artista) di Tieck Le peregrinazioni di Franz Sternbald (Franz Sternbalds Wanderungen), sviluppò una concezione del "paesaggio" come un enorme "geroglifico", cioè un'allegoria o un simbolo (ad esempio le due versioni de Il mattino). All'elaborazione di questa teoria artistica Runge contribuì con il suo scritto "La sfera dei colori" (Farbenkugel), sul quale fu in corrispondenza con Johann Wolfgang von Goethe: ideò una sfera tridimensionale dei colori per classificarli secondo tonalità, luminosità e saturazione.

La sfera dei colori come rappresentata da Runge medesimo in un'immagine realizzata per lo scritto stesso in cui essa viene trattata ed esplicata.

Runge fu anche poeta e ideò un ciclo di dipinti, Le fasi del giorno, da vedersi con uno speciale accompagnamento di musica e poesia: in questo modo, perseguiva il sogno, tipicamente romantico, di creare l'opera d'arte totale. In campo letterario, raccolse e mise per iscritto le due fiabe Il ginepro e Il pescatore e sua moglie, cedendole ai fratelli Grimm. Egli stesso divenne personaggio di un romanzo, Il rombo di Günter Grass. Ebbe uno scambio di lettere con Clemens Brentano: il carteggio venne scoperto e pubblicato nel 1974 da Konrad Feilchenfeldt.

La casa natale di Runge a Wolgast è oggi un piccolo museo dedicato all'artista.

Sfortunatamente, gran parte delle opere di Runge andò distrutta nel grande incendio scoppiato nel Palazzo di Vetro di Monaco nel 1931.
Trionfo di Amore (1800)
Il ritorno dei figli (1800)
I tempi (quattro incisioni su rame, 1803)
Madre e bambino alla sorgente (1804, distrutto)
Pauline con il vestito verde (1804)
Noi tre (1805; ritratto dell'artista con la moglie e il fratello Daniel, distrutto)
Il riposo durante la fuga in Egitto (1805-1806)
Il piccolo mattino (1808)
Il grande mattino (1808, incompiuto)

giovedì 17 marzo 2011

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Una delle ultime e più belle opere di van Gogh è il Campo di grano con corvi, del luglio 1890, realizzata poco tempo prima del suicidio e giudicata dalla critica il suo "testamento spirituale".

Scriverà al fratello Theo, anche a proposito di questo capolavoro: "Qui il mio pennello scorre fra le mie dita come se fosse un archetto di violino... I colpi di pennello vanno come una macchina, vengono e si succedono concatenati". In effetti riuscirà a realizzare settanta quadri in poco più di due mesi.

Spesso si sostiene che il campo di grano ha dei toni drammaticamente cupi, accentuati dal funereo volteggiare dello stormo di corvi neri e dalle pennellate rabbiose e scomposte.

Cupo in realtà è solo il cielo, che da un blu rassicurante passa a tonalità cromatiche sempre più scure, non il campo di grano. Cupa, se vogliamo, è l'atmosfera. L'artista infatti non vede futuro per la sua esistenza immediata, anche se la sua anima continua ad ardere di un fuoco divoratore.

Il campo di grano è così mosso che sembra una foresta in fiamme, in cui strade vuote, che portano verso l'ignoto, cercano di farsi largo e su cui volteggiano tristi presagi: i corvi neri appunto, che sembrano arrivare come avvoltoi su un cadavere.

La tela è un grido di dolore, accentuato dal ritmo a strappi, vorticoso, delle pennellate.

La strada è senza via d'uscita perché i campi, che esprimono i valori rurali del passato, nulla possono contro i nuovi valori borghesi, rappresentati da un cielo che pare un oceano in tempesta, in cui il chiaro si mescola allo scuro confondendo ogni cosa.

In mezzo a questo cielo tenebroso macchie bianche indistinte, misticheggianti, sembrano voler indicare gli astri o nuvole minacciose, ma in realtà raffigurano la solitudine dell'artista, ripiegato su se stesso.

Nell'ansia di cercare qualcosa che colleghi il campo di grano al cielo (e il collegamento è dato appunto dalla strada), l'artista non trova altro che se stesso, svuotato, e i corvi neri sembrano essere la conseguenza ineluttabile della devastazione: stanno per arrivare come una minaccia incombente, una tempesta della natura. Con quale lucidità, dinamismo e potenza di sintesi un uomo riesce a rappresentare così la propria fine!
Non essendoci luminosità nel cielo, appare chiaro che i campi sono gialli soltanto perché ricevono una luce dall'interno. Stridente è il divario tra interno ed esterno: non c'è vera comunicazione tra soggetto e oggetto, ma solo ansia d'averla e disperazione di non poterla avere.

La strada infatti non è una mediazione, ma appunto un'ansia, un desiderio oscuro, nervoso, che in questo tentativo, vano, di trasformare la realtà, si rende conto di non avere forze sufficienti. Gli orli verdi dei due viottoli forse indicano l'onestà di fondo di una ricerca personale.

Il campo di grano è insomma l'elegia di uno sconfitto.

La strada infatti non porta da nessuna parte ed è virtualmente percorsa da una persona, l'artista, che non sa dove andare, né cosa cercare.

Da notare, en passant, che prima di realizzare il quadro, van Gogh era andato a far visita al fratello Theo che viveva a Parigi ed era rimasto scosso per le difficoltà professionali di lui e per la salute cagionevole del nipotino Vincent.

Qualche giorno dopo aver finito l'opera, van Gogh scriverà l'ultima lettera a Theo, in cui dirà espressamente che la sua morte avrebbe posto fine al travaglio della famiglia del fratello: le sue opere sarebbero aumentate di valore e Theo - insieme alla moglie e al figlioletto Vincent - avrebbero potuto condurre una vita migliore (purtroppo anche Theo si ucciderà sei mesi dopo, angosciato per la morte del fratello).

Insomma van Gogh - se guardassimo l'aspetto contingente della sua esistenza - si sarebbe ucciso prendendo questa nota familiare come occasione per realizzare l'ultima missione della sua vita: lui che non era riuscito, in vita, a realizzare alcunché di socialmente utile, pensava di farlo da morto. In realtà l'occasione è solo un pretesto, in quanto è tipico dei folli trovare delle motivazioni etiche al proprio agire disperato. In filosofia gli esempi più classici sono Kierkegaard e Nietzsche.

Il cielo blu-nero, gli astri (se tali sono) sono troppo indeterminati e oscuri perché si possa pensare a un vero obiettivo da raggiungere. Qualche critico ha addirittura intravisto in quelle sagome bianche né astri né nuvole bombate, ma addirittura immagini nascoste, subliminali, come p.es. l'orecchio sinistro (quello che lui si tagliò dopo il litigio furente con Gauguin), un uccello gigante che riempie il cielo, una "presenza incombente" e un trombettiere simile all'arcangelo Gabriele entro le nubi, a testimonianza del lato mistico-irrazionale dell'artista olandese.

Forse è meglio limitarsi a quanto scritto nelle lettere a Theo: "Sono campi estesi di grano sotto cieli agitati, e non avevo bisogno di uscire dalla mia condizione per esprimere tristezza e solitudine estrema".

Infatti, chi percorre le strade del quadro non ha una meta precisa ove andare, non ha futuro, e proprio questa forte rappresentazione dell'angoscia esistenziale, così tipica nell'Europa del nord, borghese e protestante, darà al quadro un incredibile futuro. Le molte interpretazioni di quest'opera particolare sono state le più varie e complesse rispetto a quelle che si sono date di qualsiasi altra sua opera.

Peraltro, per l'uso del movimento delle forme qui si anticipa il futurismo, e per l'uso sapientissimo del colore si anticipa l'astrattismo.

L'aspetto stilisticamente meno riuscito del quadro (relativamente parlando s'intende: non dimentichiamo che l'opera è stata fatta di getto) è proprio quello che avrebbe dovuto indicare il metodo per conseguire un fine: la strada, che, a ben guardare, non è una, ma una sorta di triplice diramazione da un crocevia invisibile, il quale simboleggia, a sua volta, i vari percorsi esistenziali e professionali dell'artista, spesso condotti su direzioni diametralmente opposte e che non hanno portato da nessuna parte, se si esclude ovviamente quella artistica, che è servita come valvola di sfogo di una pentola a pressione.

Le strade, soprattutto quella centrale, sembrano indicare una prospettiva, e anche le distese dei campi; in realtà il quadro è bidimensionale, anzi monodimensionale, in quanto le strade viste dall'alto, i campi di fronte e il cielo di lontano sono tutti elementi di un unico aspetto dominante: lo scontro, senza soluzione di continuità, tra il furore del giallo (la passione interiore per l'assoluto) e l'oppressione del blu-nero, i cui toni cupi (le ambiguità o le ipocrisie del vivere sociale) impallidiscono irrimediabilmente la luce che naturalmente dovrebbe provenire dal cielo (l'esigenza del vero).

Non è ovviamente un quadro realistico, ma esprime molto realisticamente una situazione emotiva ai limiti del collasso.

Qui siamo in presenza a una sorta di icona della disperazione, dove i grandi occhi che parlano mestamente, con saggezza e conforto, nelle icone classiche, qui sono rappresentati dagli stessi campi di grano, agitati da uno spirito inquieto, equivalenti agli occhi di fuoco e alla barba ispida e ribelle nei suoi famosi autoritratti. E' stato detto che l'universo di van Gogh è un campo continuo di energie, come quello di Einstein, ma, si potrebbe aggiungere, di sicura invivibilità.

La strada è dunque il limite maggiore non tanto del quadro, ma dell'esistenza stessa di van Gogh, lacerata da percorsi travagliati, errabondi, diametralmente opposti, che l'hanno sì arricchito di molteplici esperienze, ma anche portato alla sregolatezza e infine alla follia e a una morte prematura.

La critica, in tal senso, è stata forse troppo entusiasta di questi capolavori. Il fatto che van Gogh tendesse a proiettare nella realtà se stesso, trasfigurandola secondo i suoi sentimenti; il fatto ch'egli usasse la linea come funzione espressiva, capace di trasformare il colore reale in una suggestione per l'emozione di chi osserva - tutto ciò, si dovrebbe sempre precisare, può avere un grande significato estetico, ma può avere un qualche valore etico solo nel limite dell'esperienza umana: la realtà non può essere soggettivizzata al punto che alla fine solo l'artista stesso vi ci si ritrova, o un folle come lui.

sabato 5 marzo 2011

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Campo di Grano sotto un cielo nuvoloso.Questo dipinto di Van Gogh è stato fatto nel luglio 1890 ad Auvers sur Oise durante uno dei periodi travagliati del celebre pittore.Quello che mi ha molto colpito di questo quadro è l'uso dei colori,che qui,a differenza di molti altri dipinti dell'autore,ha una delicatezza cromatica inusuale.Non c'è quella violenza della pennellata tipica di vincent,ma c'è una aerosità,una luminosità che si percepisce chiaramente.Per Van Gogh un dipinto non era solo la rappresentazione di ciò che vedeva l'autore e riportava più o meno fedelmente,ma era solo il riflesso della "visione interiore"dell'autore,da qui il distacco dall'immagine reale e l'uso di colori accentuati e l'uso della prospettiva diversa da quella della natura reale.Questa "distorsione"che può rendere difficile la comprensione dei suoi dipinti al contrario affascina schiere di suoi sostenitori perchè attraverso ogni suo dipinto si riesce a cogliere lo spirito dell'autore,il suo stato interiore,è come un dono che ci viene fatto non solo dell'opera ma dell'anima di vincent uomo.

giovedì 9 settembre 2010

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E' un dipinto che adoro,fatto da Seurat,inventore della tecnica del pointillisme,tecnica difficilissima che richiede una grande pazienza e una grande maestria nell'assemblare tanti punti colorati e trarne una immagine di senso compiuto.Questo dipinto mi trasmette le sensazioni dell'incombenza dell'imminente autunno,del passaggio nella natura dalla rigogliosità al cadere delle foglie,dalla luce splendente ai colori tenui,dalle temperature che riscaldano a quelle che lasciano brividi.Suscita in me molta malinconia e molte riflessioni,sui cambiamenti esterni ed interni a noi,su un certo stato d'animo che è fatto di raccoglimento,di studio,di letture,di tazze di tè bollenti,di vetri sferzati dalla pioggia fitta e battente,di vento che spinge con forza le onde del mare contro gli scogli.....

lunedì 12 luglio 2010

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Chi era Monna Lisa? E la Maya desnuda, era davvero la duchessa d’Alba? E la ragazza col turbante di Vermeer, cosa faceva? Era una serva – come ha ipotizzato la scrittrice Tracy Chevalier, oppure apparteneva, come invece lascerebbe supporre il prezioso orecchino di perla, alla classe più agiata?

Misteri dell’arte, intriganti questiti sull’identità di ritratti che appartengono all’immaginario dell’umanità ed ai quali nessuno ha ancora saputo trovare una risposta definitiva. Non che la storia dell’arte cambierà più di tanto se un giorno si riuscisse a confermare che protagonista del ritratto più celebre d’ogni tempo e del sorriso più controverso di sempre è davvero Lisa del Giocondo, esponente della famiglia fiorentina dei Gherardini, moglie di un mercante di stoffe, nonché amante di un Medici. Ma oggi nessuno può affermarlo con esattezza, manca la prova principe. E infatti studiosi autorevoli affermano che potrebbe trattarsi della nobile di origini spagnole imparentata coi reali di Napoli, Costanza d’Avalos; per altri la Gioconda raffigurerebbe invece Bianca Sforza, figlia primogenita di Ludovico il Moro (morte avvelenata); per altri sarebbe Caterina Sforza e per altri ancora ritrarrebbe la madre stessa di Leonardo Da Vinci, e per questo motivo il genio non si sarebbe mai voluto separare da questo piccolo quadro che tenne con sé fino alla fine dei suoi giorni.

Tutto resta in sospeso, a ciascuno scegliere la tesi che trova più attraente. E se la Gioconda è certo il caso più celebre d’identità rimasta impantanata nel tempo, altri ritratti più o meno famosi sembrano attendere che qualcuno racconti la loro storia, che qualcuno sveli a chi appartenevano quegli occhi, quelle espressioni, quelle vite che grandi artisti hanno impresso sulla tela per la memoria futura. Ma è una memoria dimezzata.

Conosciuta come la Gioconda del nord, La ragazza col turbante di Johannes Vermeer (museo Mauritshuis, L’Aia) è portatrice di un’affascinante ambiguità. Sarà per quel turbante di un azzurro intenso, per l’enorme orecchino di perla, o per quegli occhi neri di liquida bellezza che fissano il pittore. Il suo nome? Nel 1999, ha provato Tracy Chevalier a darglielo, nel fortunato romanzo “La ragazza con l’orecchino di perla” (dal quale è stato tratto anche un film). La scrittrice l’ha chimata Griet e l’ha messa a servizio nella casa di Vermeer costruendo una storia di sotterranea attrazione tra lei e il pittore. Da quel momento la misteriosa ragazza è per tutti la servetta di casa Vermeer. Un’ipotesi plausibile, anche se letteraria.

E con lo scopo di restituire un passato ad alcuni dei ritratti conservati nelle sue imponenti collezioni, la National Portait Gallery di Londra, ha chiesto soccorso proprio alla letteratura. Piò esattmente ha commissionato ad alcuni noti romanzieri, tra cui la stessa Chevalier, di creare immaginarie biografie ad alcuni “soggetti” dei cui nomi s’è persa traccia. John Banville, Julian Fellowes, Terry Pratchet, Sarah Singleton, Joanna Trollope, Minette Walters, sono le altre “penne” alle quali il Museo s’è affidato per dare alle stampe un delizioso libro (purtroppo scritto in inglese) con tanto di epistolari, diari, mini-biografie e memorie di questi sconosciuti.

Riperorrendo le illustri sconosciute della storia dell’arte non si può fare a meno d’imbattersi nella Maja, la procace bellezza mediterranea dipinta da Francisco Goya tra il 1790 ed il 1800 in due diversi quadri: La Maja vestida e La Maja desnuda, questa sufficientemente oscena da portare il pittore diritto davanti all’Inquisizione Spagnola. Furono evidentemente motivi di opportunità a consigliare all’artista di non rivelare il nome della conturbante modella. Troppo conturbante – forse – anche per essere la duchessa di Alba, che molti studiosi hanno dato come plausibile. La duchessa, infatti, morì nel 1802 di tubercolosi,e dunque pensare che le Maja siano il ritratto di una donna di trentasei anni gravemente malata è da escludersi.


Non meno intrigante è però il mistero che avvolge il “Ritratto di donna” del pittore rinascimentale Dosso Dossi, conservato alla National Gallery of Victoria, in Australia. Nel 2008 c’è stato chi ha voluto vedere in quella donna col naso appuntito e gli occhi penetranti nientemeno che Lucrezia Borgia, ma l’ipotesi non ha trovato unanimità di consensi.

sabato 6 marzo 2010

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Questo bellissimo quadro di Van Gogh mi ha subito colpito perchè ha il profumo della primavera imminente,dello sbociare dei suoi fiori,dell'intensità dei suoi profumi dopo il gelido inverno,dell'esplosione dei suoi colori.E' come un ritorno alla vita dopo il rifugiarsi tra il calore delle pareti domestiche nel buio e freddo inverno che sta ormai per finire.E' anche metafora di un passaggio,dopo il momento del richiudersi in sè stessi,della meditazione,dei pensieri,arriva il momento dell'azione,del fare,dei progetti,del prendere in mano con decisione la propria vita e farlo alla luce amica del sole.....

giovedì 4 febbraio 2010

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Questo quadro di Sisley intitolato in italiano "Di sera"mi ispira sempre la visione di spazi infiniti,una calma trasparente,un senso di rilassatezza incredibile.Sarà la luce dei colori usati,sarà l'atmosfera pacata tipica dei tratti del pittore,ma una volta visto è stato scelto subito per le emozioni che mi riesce a trasmettere.

venerdì 18 dicembre 2009

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E' un quadro questo intitolato "The Earth Itself" che mi ha sempre affascinato della Kahlo.Primo per l'intensità dei colori.Secondo per la grandezza.Terzo per i dettagli che si rifanno alla natura femminile che viene descritta come un mondo completo,armonioso,vitale,dolce,materno direi.Mi trasmette sempre sensazioni piacevoli come fosse una carezza.

martedì 24 novembre 2009

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La veduta di Delft di Vermeer.Questo quadro rappresenta un momento di crisi del grande pittore,crisi personale dovuta al non soddisfacente svolgimento del suo matrimonio,crisi economica,dovuta ai numerosi debiti.Malgrado ciò continuò infaticabilmente la sua opera d'artista,dipingendo quadri bellissimi come questo,segno che l'ispirazione artistica non gli mancò mai.Ebbe quattordici figli e una vita assai tribolata,ma almeno ebbe la soddisfazione di vedere in vita apprezzata la sua opera e riusci a vendere parecchi dei suoi quadri che oggi hanno un valore inestimabile.A me questo quadro ispira aria,spazi infiniti,un senso di rilassatezza,i colori vivaci ma non brillanti,mi sembra di sentire l'odore della salsedine,vedere la vita del piccolo paese scorrere lentamente.Mi dà un senso di serena normalità.

venerdì 30 ottobre 2009

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Il giardino d'inverno di Gauguin.Sarà che è arrivato il freddo,sarà l'atmosfera pre natalizia,ma questo bellissimo quadro mi ispirava molto,ed eccolo qui.

giovedì 8 ottobre 2009

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Questo dipinto di Van Gogh lo trovo bellissimo per i colori particolari,per il senso della notte che dà,ma non è un senso angosciante,ci sono le stelle ad illuminare il buio.Mi ha colpito perchè secondo me richiama un po' l'inverno che sta per arrivare dove prevalgono i colori scuri,le luci soffuse,il grigiore,e l'atmosfera e il clima portano le persone a chiudersi in sè.Ecco mi ha trasmesso un senso di raccoglimento,di ritiro in casa,di fuoco domestico.