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mercoledì 4 aprile 2012

Accadimenti


Cercando un'altra foto mi sono imbattuto in questa ed è stato un tuffo al cuore,è stato come aprire una diga all'improvviso e far uscire milioni di cubi d'acqua interiorizzati sotto forma di immagini e ricordi.E' l'istantanea di uno degli esseri che più ho amato in vita mia e con il quale c'è stato uno scambio di quelli fatto di amore totale:Otto.Preso da cucciolo in Alto Adige dopo aver rischiato di finire nel fiume con la sua sorellina per essere in troppi da accudire e sfamare,me lo vedo piccolissimo non riuscire nemmeno a salire il gradino del marciapiede,passare spaurito sotto le sedie e seminare casa di bisognini prima di poter uscire e abituarsi a farli fuori di casa.La sua vitalità riempiva la casa di luce e da subito ho sentito con lui quell'empatia che forse è data dall'incontrarsi per destino.Mi seguiva dovunque andassi,voleva giocare sempre con me,appena mi vedeva era tutto un abbaiare e un agitare la coda dalla pura felicità.Era talmente piccolo che dormiva in una cesta accanto al letto,aveva già delle zampotte cicciotte che sentivo sempre addosso perchè si tuffava su di me volendo sempre giocare.Poi crescendo spuntarono quelle unghie che lasciavano strie di sangue sulla pelle,quell'irruenza che aveva dietro una stazza media ed una forza ed agilità stupefacenti.Già al suono del citofono era un ululare che si sentiva in tutto il palazzo,lui sapeva già che ero io,neanche facevo in tempo ad uscire dall'ascensore che mi saltava addosso immagine di felicità.Quando mi sdraiavo sul letto si metteva sempre ai miei piedi a contatto diretto con me,cercava sempre il contatto fisico,solo quando ero malato si metteva ai piedi del letto e stava li seguendoti solo quando ti alzavi,come se lui fosse li a proteggerti da ogni male e da ogni brutta cosa potesse capitarti.Uno di quei modi d'amare che va al di là della vita e della morte,perchè Otto avrebbe dato la vita per me senza pensarci un secondo,tanto era protettivo.Mi vedo tantissime volte,specie di sera,parlare con lui,confidargli le mie giornate,ricevere in cambio le sue leccate che volevano dirti "forza e coraggio fratello mio",ero quasi sempre io che lo portavo fuori la sera ed era un momento solo nostro e bellissimo,di sera al buio,spesso al freddo,nessuno per le strade,a fare mentalmente un bilancio della giornata avendo accanto il calore fisico e morale del mio Otto.Il giorno che,per una malattia inguaribile,venne portato dal veterinario,lo sentii,come sempre quando sapeva di andare dal veterinario,tremare tutto,mi guardò con i suoi occhi dolcissimi,rassegnato,come se intuisse che quello era un saluto tra noi definitivo in questa vita,fu come se mi strappassero un pezzo d'anima,avere la consapevolezza di non vederlo più correre tra le stanze,sentire il suo ululato di gioia quando sapeva che arrivavo,vederlo sulla sedia vicino alla tavola quando sapeva che c'erano cose buone cucinate,vedere il vuoto dove prima c'era una vita scoppiettante,un uragano di luce che rallegrava le giornate,tutto questo finiva su quel tavolo freddo della clinica.Me lo voglio ricordare correre e saltare i muretti in carso con le orecchie al vento felice e poi tuffarsi stremato sull'erba e ringraziarti alla sua maniera riempiendoti di baci e leccate,ma sono io che lo ringrazio ogni volta che lo ricordo per l'amore totale in cui mi ha avvolto,per l'aver capito e sentito come ero,nel profondo,sarà sempre in me accompagnandomi in ogni posto e in ogni tempo.

mercoledì 28 marzo 2012

Accadimenti


Vorrei unirmi in questo giorno di festa,alla felicità orgogliosa di mamma Anto per il raggiungimento della sudatissima laurea da parte di Claudia e augurarle grandi successi in quella carriera professionale che lei,con immensi sacrifici,ha già iniziato a costruire saldamente.

martedì 27 marzo 2012

Accadimenti


Oggi avresti compiuto ottanta anni Papà,è tutto il giorno che ci penso.Come sarebbe stato?Come saresti stato?Fisicamente sempre lo stesso,ne sono sicuro,magari con più lentezza nell'andare in bici o nella camminata,ma sempre attivo,pronto a fare tremila cose,a seguire i tuoi tremila interessi,a sistemare con pazienza infinita i tuoi amati francobolli,a mettere nel lettore cd di musica classica e lirica,a vederti i tuoi amati film,a seguire tutti gli sport possibili.Spiritualmente saresti stato un po' provato dalla vita,con tutte le tempeste che hai dovuto affrontare,ma sempre con quell'allegria scrosciante,quella battuta pronta,quello sdrammatizzare sempre le situazioni,che erano i tuoi tratti inconfondibili.Avresti visto il nostro amato Daniele sposarsi e diventare padre della bellissima Simona,avresti visto Federico e Luca,avresti rivisto e forse vissuto la tua amata Trieste insieme a noi,avresti avuto tempo,quel tempo che il destino non ti ha concesso portandoti via troppo presto.Chissà perchè dei milioni di ricordi che ho di te oggi la memoria si è focalizzata su un episodio specifico,forse perchè è l'emblema del nostro rapporto.Quella volta,l'unica volta,in cui tu hai tentato di darmi uno schiaffo,non ricordo se a torto o a ragione,e io fulmineamente,dopo anni di arti marziali,per un istinto da lupo,lo schivai e ti buttai a terra,subito pentito della mia reazione meccanica e non pensata.Ricordo che rimanemmo per un minuto entrambi sbalorditi,tu perchè mai avresti pensato di darmi uno schiaffo e di trovarti atterrato dal tuo giovane figlio,io perchè mai avrei voluto una superiorità,una qualsiasi superiorità,su di te,soprattutto una basata sulla forza.Nel momento in cui ti diedi la mano per tirarti su scoppiammo insieme a ridere,una risata liberatoria,di quelle che spezzano l'imbarazzo ma che era come un riconoscimento di uguaglianza,un dire tacito "Ora sei uomo,nessuno ti toccherà per umiliarti,neanche Papà"e in quel momento paradossalmente c'è stata una vicinanza totale,vicinanza che ho ritrovato negli ultimi istanti della tua vita e che mi hanno fatto capire quanto mi amavi malgrado i nsotri scontri ferocissimi.Adesso che sono maturo anch'io ti comprendo meglio come uomo e come padre,mi avvicino a te sempre di più,e mi pento di certi miei atteggiamenti infantili e soprattutto di non potertele dire in faccia tutte queste cose,e cioè del bene immenso che anche io ti ho sempre voluto e di quanto porti in me tutte le cose che mi hai insegnato da piccolo e che cerco di trasmettere anche ai miei figli.Ti lascio un regalo qui che sono sicuro apprezzerai.Buon compleanno Papà.

lunedì 26 marzo 2012

Accadimenti


Tabucchi, uomo libero


Ci sono momenti in cui il nostro mestiere è davvero feroce, impietoso. E questo è uno di quelli: scopri che un tuo amico è morto e, invece di startene in silenzio a ricordarlo, magari a pregare per lui, ti tocca subito scriverne. Pochi minuti fa ho saputo che è morto Antonio Tabucchi, a Lisbona. Dicono che “era da tempo malato”. Non l’aveva detto nemmeno agli amici. Sapevo, me ne aveva parlato nell’ultima telefonata dal Portogallo qualche mese fa, di una frattura a una gamba, che aveva aggravato i suoi problemi alla schiena. Altro non so. Quello che so di lui è che era uno dei pochissimi intellettuali internazionali rimasti all’Italia (non direi “in Italia” visto che ci viveva poco, e con sempre maggiore disagio). Temo che la parola “intellettuale” non sarebbe piaciuta a lui così schivo, minimalista, autoironico, antiretorico, quasi autobeffardo. Ma, se la parola “intellettuale” aveva ancora un senso, è proprio perché c’era lui. Non ho voglia né competenza per disquisire sul valore letterario dei suoi romanzi e dei suoi racconti. Ma sono stato testimone del suo modo di concepire la cultura e l’impegno: fu nel 2002, quando cominciò a scrivere sull’Unità perché nessun grande giornale italiano “indipendente” poteva più ospitare gli articoli di uno dei più noti scrittori italiani, tradotto in tutto il mondo, solo perché erano irriducibilmente critici contro il regime di Berlusconi e contro chiunque non vi si opponesse con la necessaria intransigenza. Compreso il presidente Ciampi, che qualche legge vergogna la bocciava ma molte altre le promulgava. Un giorno Tabucchi, sull’Unità e su Le Monde, criticò duramente Ciampi per una sua apertura sui “ragazzi di Salò”: per protesta il senatore Andrea Manzella, consigliere del Quirinale, lasciò la presidenza dell’Unità.«Che razza di Nazione è quella dove uno scrittore può insolentire il capo dello Stato sull’Unità e su Le Monde?», si domandò Bruno Vespa, convinto che il dovere dell’intellettuale sia quello di servire e plaudire sempre il potere, mai di criticarlo. Tabucchi non ne faceva passare nessuna a nessuno. Uno dei suoi bersagli prediletti era Giuliano Ferrara, il più servile dei servi berlusconiani eppure sempre considerato “intelligente” da chi a Berlusconi avrebbe dovuto opporsi. Una sera, a Porta a Porta, Ferrara definì l’Unità di Furio Colombo e Antonio Padellaro “giornale omicida” e accusò Colombo e Tabucchi di essere nientemeno che i “mandanti linguistici del mio prossimo assassinio” (che naturalmente non ci fu). Qualche anno dopo rubò letteralmente un articolo che Tabucchi aveva scritto per Le Monde, in cui ricordava i trascorsi di Ferrara come spia prezzolata della Cia, e lo pubblicò in anticipo sul Foglio. Tabucchi gli fece causa al Tribunale di Parigi, e la vinse. Ricordo la sua soddisfazione appena uscì la sentenza, che riportava il tragicomico interrogatorio di Ferrara, il quale ammetteva che, sì, aveva confessato lui stesso di aver fatto l’informatore a pagamento di un servizio segreto straniero, ma non era vero niente, la sua era solo una “provocazione”: tant’è che – aggiunse – non ci sono le prove. Figurarsi la faccia dei giudici parigini dinanzi a questo “giornalista” ed ex-ministro italiano che si vanta di raccontare frottole sulla propria vita e aggiunge: trovate le prove di quel che scrivo, se ne siete capaci. Infatti fu condannato su due piedi. Ecco, in quella sentenza, oltre a quello dei giudici, c’era anche tutto lo stupore di Antonio, che essendo un cittadino del mondo prestato all’Italia non riusciva a tollerare tutto ciò che, per assuefazione e rassegnazione, in Italia si ingoia e si digerisce. E si ostinava a chiamare le cose con il loro nome: quello berlusconiano era un “regime”, chi non lo ostacolava era un “complice”, chi lo sosteneva era un “servo”, chi deviava dal dettato costituzionale era un “eversore”, chi violava le leggi era un “delinquente”, chi approfittava delle cariche pubbliche per farsi gli affari suoi era in “conflitto d’interessi”, dunque “ineleggibile”. Per questo Tabucchi era isolato e malsopportato nel mondo degli intellettuali italiani: perché, essendo un uomo libero, mostrava loro col suo esempio ciò che avrebbero dovuto essere e invece non erano. Per viltà, conformismo, sciatteria, convenienza, paraculaggine, quieto vivere.

Per questo i politici (tutti) lo ignoravano, anzi lo temevano: non tanto a destra (lì si legge poco e si capisce ancor meno), quanto a sinistra (bersaglio fisso dei suoi strali contro gli inciuci dei D’Alema e dei Violante). Per questo, tre anni fa, quando Padellaro e io gli annunciammo la prossima nascita del Fatto quotidiano, si prenotò subito per collaborarvi. E ci mandò articoli, e ci concesse interviste, e ci regalò anticipazioni dei suoi libri, ma soprattutto la sua vicinanza, la sua amicizia, i suoi consigli mai banali, mai scontati. Le sue critiche irriducibili, definitive al regime non risparmiarono nemmeno Napolitano (che diversamente da Ciampi di leggi vergogna non ne respinse nemmeno una) e infatti potevano trovare ospitalità solo sul Fatto. Così come un anno fa fu il Fatto a pubblicare la versione integrale di un suo articolo, scritto per Le Monde ma tagliuzzato persino dal tempio dell’informazione parigina, in cui faceva a pezzi l’intellighenzia francese che aveva scambiato per un martire un volgare assassino come Cesare Battisti. Pochi mesi dopo, quando Battisti fu accolto trionfalmente in Brasile e lì protetto dalle autorità, Tabucchi rifiutò di intervenire al festival letterario di Paraty per protesta contro il governo di Brasilia.

Tabucchi era anche un amico di Annozero: ricordo che intervenne in collegamento da Parigi nella famosa puntata con Luigi De Magistris e Clementina Forleo, che poi costò il posto e la carriera a entrambi i magistrati coraggiosi: aveva capito che, su quelle due vicende, si giocava un bel pezzo della nostra democrazia, intesa come separazione dei poteri. Un’altra volta, da Santoro, si parlava della legge bavaglio sulle intercettazioni e lui, col suo feroce e placido candore tipico dell’italiano all’estero, ricordò che i parlamentari non possono essere intercettati: se la loro voce viene captata da una cimice è perché parlano con qualche delinquente intercettato: “Se i nostri politici telefonassero alla Caritas o alla Comunità di Sant’Egidio nessun giudice li ascolterebbe”.

I ricordi personali si affollano, in questi primi momenti senza di lui. La sera che lo conobbi, in un paesino della Toscana a due passi dalla sua Vecchiano: presentavo un mio libro in un teatro con Peter Gomez, lui si mescolò tra la folla e alla fine si fermò a cena fino alle due di notte. Pochi mesi dopo due suoi cari amici di Pisa, Alma e Roby, organizzarono un incontro con me a Pisa per presentare “Montanelli e il Cavaliere”, e lui volle essere sul palco, perché Adriano Sofri (che lui pure aveva difeso nel processo, reputandolo innocente a differenza di quel che ho sempre pensato io), mi aveva pesantemente attaccato sul Foglio proprio alla vigilia, e correva voce che qualche suo amico pisano sarebbe venuto a contestarmi. E poi le cene nella casa di Vecchiano, con l’adorabile moglie Zè e gli amici Alma e Roby. E una cena in un bistrot di Parigi, dove gli presentai Barbara Spinelli e Tommaso Padoa-Schioppa, altri grandi amici del Fatto.

Quand’ero all’Unità, Antonio prese carta e pena per difendermi da una campagna orchestrata dal Corriere sulla mia presunta “misoginia” per una mia critica a Ritanna Armeni, che faceva da spalla a Ferrara a “Otto e mezzo”. E tornò a farlo quando, su Repubblica, un collega oggi scomparso mi attaccò per avere io osato ricordare le amicizie mafiose di Schifani. Per quell’articolo Schifani, già presidente del Senato, gli fece causa civile e gli chiese 1 milione e 300 mila euro. Di quella causa parlammo tante volte, anche nell’ultima telefonata dall’ospedale: seguiva la sua difesa parola per parola, voleva sapere tutto, raccoglieva i documenti che gli mandavo sulle amicizie schifaniane e poi li commentava, felice di avere scritto soltanto la verità, nient’altro che la verità. Ma anche incredulo, sempre per quel candore che descrivevo prima, di fronte a un’alta carica dello Stato che chiede un milione e rotti a un privato cittadino, a un intellettuale: un fatto impensabile in qualunque altro paese del mondo.

Ora mi auguro che nessun politico dica una parola sulla sua morte. Sarebbe davvero troppo.



Marco Travaglio

domenica 25 marzo 2012

Accadimenti


Corriere della Sera, 14 novembre 1974


Cos'è questo golpe? Io so


di Pier Paolo Pasolini


Io so.
Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato "golpe" (e che in realtà è una serie di "golpe" istituitasi a sistema di protezione del potere).
Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.
Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974.
Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di "golpe", sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli "ignoti" autori materiali delle stragi più recenti.
Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969) e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974).
Io so i nomi del gruppo di potenti, che, con l'aiuto della Cia (e in second'ordine dei colonnelli greci della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il '68, e in seguito, sempre con l'aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del "referendum".
Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l'altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l'organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani neo-fascisti, anzi neo-nazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista). Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro a dei personaggi comici come quel generale della Forestale che operava, alquanto operettisticamente, a Città Ducale (mentre i boschi italiani bruciavano), o a dei personaggio grigi e puramente organizzativi come il generale Miceli.
Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari.
Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli.
Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero.
Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell'istinto del mio mestiere. Credo che sia difficile che il mio "progetto di romanzo", sia sbagliato, che non abbia cioè attinenza con la realtà, e che i suoi riferimenti a fatti e persone reali siano inesatti. Credo inoltre che molti altri intellettuali e romanzieri sappiano ciò che so io in quanto intellettuale e romanziere. Perché la ricostruzione della verità a proposito di ciò che è successo in Italia dopo il '68 non è poi così difficile.
Tale verità - lo si sente con assoluta precisione - sta dietro una grande quantità di interventi anche giornalistici e politici: cioè non di immaginazione o di finzione come è per sua natura il mio. Ultimo esempio: è chiaro che la verità urgeva, con tutti i suoi nomi, dietro all'editoriale del "Corriere della Sera", del 1° novembre 1974.
Probabilmente i giornalisti e i politici hanno anche delle prove o, almeno, degli indizi.
Ora il problema è questo: i giornalisti e i politici, pur avendo forse delle prove e certamente degli indizi, non fanno i nomi.
A chi dunque compete fare questi nomi? Evidentemente a chi non solo ha il necessario coraggio, ma, insieme, non è compromesso nella pratica col potere, e, inoltre, non ha, per definizione, niente da perdere: cioè un intellettuale.
Un intellettuale dunque potrebbe benissimo fare pubblicamente quei nomi: ma egli non ha né prove né indizi.
Il potere e il mondo che, pur non essendo del potere, tiene rapporti pratici col potere, ha escluso gli intellettuali liberi - proprio per il modo in cui è fatto - dalla possibilità di avere prove ed indizi.
Mi si potrebbe obiettare che io, per esempio, come intellettuale, e inventore di storie, potrei entrare in quel mondo esplicitamente politico (del potere o intorno al potere), compromettermi con esso, e quindi partecipare del diritto ad avere, con una certa alta probabilità, prove ed indizi.
Ma a tale obiezione io risponderei che ciò non è possibile, perché è proprio la ripugnanza ad entrare in un simile mondo politico che si identifica col mio potenziale coraggio intellettuale a dire la verità: cioè a fare i nomi.
Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia.
All'intellettuale - profondamente e visceralmente disprezzato da tutta la borghesia italiana - si deferisce un mandato falsamente alto e nobile, in realtà servile: quello di dibattere i problemi morali e ideologici.
Se egli vien messo a questo mandato viene considerato traditore del suo ruolo: si grida subito (come se non si aspettasse altro che questo) al "tradimento dei chierici" è un alibi e una gratificazione per i politici e per i servi del potere.
Ma non esiste solo il potere: esiste anche un'opposizione al potere. In Italia questa opposizione è così vasta e forte da essere un potere essa stessa: mi riferisco naturalmente al Partito comunista italiano.
È certo che in questo momento la presenza di un grande partito all'opposizione come è il Partito comunista italiano è la salvezza dell'Italia e delle sue povere istituzioni democratiche.
Il Partito comunista italiano è un Paese pulito in un Paese sporco, un Paese onesto in un Paese disonesto, un Paese intelligente in un Paese idiota, un Paese colto in un Paese ignorante, un Paese umanistico in un Paese consumistico. In questi ultimi anni tra il Partito comunista italiano, inteso in senso autenticamente unitario - in un compatto "insieme" di dirigenti, base e votanti - e il resto dell'Italia, si è aperto un baratto: per cui il Partito comunista italiano è divenuto appunto un "Paese separato", un'isola. Ed è proprio per questo che esso può oggi avere rapporti stretti come non mai col potere effettivo, corrotto, inetto, degradato: ma si tratta di rapporti diplomatici, quasi da nazione a nazione. In realtà le due morali sono incommensurabili, intese nella loro concretezza, nella loro totalità. È possibile, proprio su queste basi, prospettare quel "compromesso", realistico, che forse salverebbe l'Italia dal completo sfacelo: "compromesso" che sarebbe però in realtà una "alleanza" tra due Stati confinanti, o tra due Stati incastrati uno nell'altro.
Ma proprio tutto ciò che di positivo ho detto sul Partito comunista italiano ne costituisce anche il momento relativamente negativo.
La divisione del Paese in due Paesi, uno affondato fino al collo nella degradazione e nella degenerazione, l'altro intatto e non compromesso, non può essere una ragione di pace e di costruttività.
Inoltre, concepita così come io l'ho qui delineata, credo oggettivamente, cioè come un Paese nel Paese, l'opposizione si identifica con un altro potere: che tuttavia è sempre potere.
Di conseguenza gli uomini politici di tale opposizione non possono non comportarsi anch'essi come uomini di potere.
Nel caso specifico, che in questo momento così drammaticamente ci riguarda, anch'essi hanno deferito all'intellettuale un mandato stabilito da loro. E, se l'intellettuale viene meno a questo mandato - puramente morale e ideologico - ecco che è, con somma soddisfazione di tutti, un traditore.
Ora, perché neanche gli uomini politici dell'opposizione, se hanno - come probabilmente hanno - prove o almeno indizi, non fanno i nomi dei responsabili reali, cioè politici, dei comici golpe e delle spaventose stragi di questi anni? È semplice: essi non li fanno nella misura in cui distinguono - a differenza di quanto farebbe un intellettuale - verità politica da pratica politica. E quindi, naturalmente, neanch'essi mettono al corrente di prove e indizi l'intellettuale non funzionario: non se lo sognano nemmeno, com'è del resto normale, data l'oggettiva situazione di fatto.
L'intellettuale deve continuare ad attenersi a quello che gli viene imposto come suo dovere, a iterare il proprio modo codificato di intervento.
Lo so bene che non è il caso - in questo particolare momento della storia italiana - di fare pubblicamente una mozione di sfiducia contro l'intera classe politica. Non è diplomatico, non è opportuno. Ma queste categorie della politica, non della verità politica: quella che - quando può e come può - l'impotente intellettuale è tenuto a servire.
Ebbene, proprio perché io non posso fare i nomi dei responsabili dei tentativi di colpo di Stato e delle stragi (e non al posto di questo) io non posso pronunciare la mia debole e ideale accusa contro l'intera classe politica italiana.
E io faccio in quanto io credo alla politica, credo nei principi "formali" della democrazia, credo nel Parlamento e credo nei partiti. E naturalmente attraverso la mia particolare ottica che è quella di un comunista.
Sono pronto a ritirare la mia mozione di sfiducia (anzi non aspetto altro che questo) solo quando un uomo politico - non per opportunità, cioè non perché sia venuto il momento, ma piuttosto per creare la possibilità di tale momento - deciderà di fare i nomi dei responsabili dei colpi di Stato e delle stragi, che evidentemente egli sa, come me, non può non avere prove, o almeno indizi.
Probabilmente - se il potere americano lo consentirà - magari decidendo "diplomaticamente" di concedere a un'altra democrazia ciò che la democrazia americana si è concessa a proposito di Nixon - questi nomi prima o poi saranno detti. Ma a dirli saranno uomini che hanno condiviso con essi il potere: come minori responsabili contro maggiori responsabili (e non è detto, come nel caso americano, che siano migliori). Questo sarebbe in definitiva il vero Colpo di Stato.

lunedì 19 marzo 2012

Accadimenti


Una telegrafica riflessione oggi che è la festa del Papà.Si dice tanto e secondo me anche a sproposito,sulla decadenza di questo ruolo,conseguenza di una più generale crisi del maschio.Si parla di ruolo superato,di non autorevolezza,di inutilità,qualcuno come Crepet ci scrive anche dei libri dicendo,a mio avviso,un mucchio di stupidaggini ma che sono molto alla moda.Che nessun padre perda il suo tempo dietro queste parole vuote,ma si faccia guidare sempre e solo dall'unica legge che viene tatuata nell'anima di chi ha la fortuna di avere figli:trasferire Amore da un cuore all'altro.Lo si fa sbagliando,prendendo cantonate continue,andando per tentativi,sommersi da critiche,fischi e ingiurie che, come venti furiosi alle volte spostano leggermente il nostro equilibrio,ma restando solidamente ancorati a terra.Solo il tempo ci saprà dire verso quale cuore saremo stati bravi a travasare tutto l'infinito Amore che portiamo dentro.

giovedì 15 marzo 2012

Accadimenti


Ma interessa ancora a qualcuno sapere perché vent’anni fa è morto Paolo Borsellino con gli uomini di scorta? Sapere perché l’anno seguente sono morte 5 persone e 29 sono rimaste ferite nell’attentato di via dei Georgofili a Firenze, altre 5 sono morte e altre 10 sono rimaste ferite in via Palestro a Milano, altre 17 sono rimaste ferite a Roma davanti alle basiliche? Interessa a qualcuno tutto ciò, a parte un pugno di pm, giornalisti e cittadini irriducibili? Oppure la verità su quell’orrendo biennio è una questione privata fra la mafia e i parenti dei morti ammazzati?

È questa, al di là delle dotte e tartufesche disquisizioni sul concorso esterno in associazione mafiosa, la domanda che non trova risposta nel dibattito (si fa per dire) seguìto alla sentenza di Cassazione su Marcello Dell’Utri e alle parole a vanvera di un sostituto Pg. O meglio, una risposta la trova: non interessa a nessuno. A parte i soliti Di Pietro e Vendola, famigerati protagonisti della “foto di Vasto” che va cancellata o ritoccata come ai tempi di Stalin, magari col photoshop, non c’è leader politico che dica: “Voglio sapere”. Anzi, dalle dichiarazioni dei politici che danno aria alla bocca senza sapere neppure di cosa parlano, traspare un corale “non vogliamo sapere”.

Forse perché sanno bene quel che emergerebbe, a lasciar fare i magistrati che vogliono sapere: il segreto che accomuna pezzi di Prima e Seconda Repubblica, ministri e alti ufficiali bugiardi e smemorati, politici, istituzioni, apparati, forze dell’ordine, servizi di sicurezza. Quel segreto che viene violato solo quando proprio non se ne può fare a meno perché mafiosi e figli di mafiosi han cominciato a svelarlo. Quel segreto che ha garantito carriere ai depositari e ai loro complici. Già quel poco che si sa – che poi poco non è – è insopportabile per un sistema che si ostina a raccontarci la favoletta dello Stato da una parte e dell’Antistato dall’altra, l’un contro l’altro armati. La leggenda del “mai abbassare la guardia”, delle “centinaia di arresti e sequestri”, “della linea della fermezza”, del “tutti uniti contro la mafia”, mentre dietro le quinte si tresca con quella per venire a patti, avere voti, usarla come braccio armato e regolare i conti sporchi della politica, rimuovendo un ostacolo dopo l’altro: da Mattarella, La Torre, Dalla Chiesa, giù giù fino a Falcone e Borsellino.

Ora, nel ventennale di Capaci e via D’Amelio, prepariamoci a un surplus di retorica, nastri tagliati, cippi, busti e monumenti equestri, moniti quirinalizi, lacrime tecniche e sobrie, corone di fiori delle alte cariche dello Stato (anche del presidente del Senato indagato per concorso esterno che spiega all’Annunziata la sua teoria di giurista super partes sul concorso esterno senza neppure arrossire). Sfileranno in corteo trasversale quelli che -come da papello – han chiuso Pianosa e Asinara, svuotato il 41-bis facendo finta di stabilizzarlo come da papello, abolito i pentiti per legge, tentato di abolire pure l’ergastolo, regalato ai riciclatori mafiosi tre scudi fiscali.

Quelli che han detto “con la mafia bisogna convivere” e ci sono riusciti benissimo. Casomai interessasse a qualcuno, i disturbatori della quiete pubblica riuniti nell’Associazione vittime di via dei Georgofili, guidata da una donna eccezionale, Giovanna Maggiani Chelli, hanno appena reso noto la sentenza con cui la Corte d’assise di Firenze ha mandato all’ergastolo l’ultimo boss stragista, Francesco Tagliavia. “Una trattativa – scrivono i giudici – indubbiamente ci fu e venne, quantomeno inizialmente, impostata su un do ut des. L’iniziativa fu assunta da rappresentanti delle istituzioni e non dagli uomini di mafia”. Dopo il concorso esterno, se ci fosse un po’ di giustizia, la Cassazione dovrebbe abolire anche la strage. Oppure unificare i due reati in uno solo, chiamato “schifo”.



Marco Travaglio

giovedì 8 marzo 2012

Accadimenti


Ci siamo. Tutti i circoli didattici con meno di mille alunni saranno accorpati sotto un unico Dirigente Scolastico con un’unica segreteria. Era un po’ che si ventilava questa ipotesi. E’ realtà. E così le magie prodotte fin qui da professori e personale tutto di scuole già in ginocchio sono stati vanificati da un soffio dall’alto.

A settembre un preside dovrà gestire anche 6, 7 o 8 plessi diversi. A settembre lo stesso preside (dirigente scolastico) dovrà comandare una nave per ogni porto di quartiere e coprire esigenze di alunni dai 3 ai 14 anni. Per ogni plesso ci sarà la parte che più mi tocca, legata agli alunni con disabilità che difficilmente potranno ricevere le attenzioni che meritano e le risorse necessarie.

Già oggi gli insegnanti di sostegno vengono assegnati alla scuola in base alle disabilità presenti. E la guerra delle ore è una guerra senza inizio e senza fine. Da settembre sarà decisamente impegnativo chi ha fatto la richiesta al Ministero, per quale plesso, su quante unità ecc …

Questa mattina ho incontrato la dirigente scolastica di Diletta che il prossimo anno sarà dirigente anche delle altre due figlie. Ottima e valida persona che mi sottolineava le enormi difficoltà. Ad oggi nessuno conosce nessuno. Ad oggi non esistono delle linee concrete sullo svolgimento del passaggio. L’unica cosa che conta è risparmiare. Risparmiamo sulla cultura. Ebbene si: pare che questa sia l’unica volontà. A pensarci bene, nell’ottica delle restrizioni economiche a sfavore dei soliti noti, una logica esiste. L’Italia deve essere affondata tutta e da dove partire se non dai bambini? Togliamo loro l’opportunità di competere culturalmente e tra venti anni si che saremo in fondo al baratro. Ma così chi decide di comandare può farlo al meglio.

Sono molto arrabbiata. Ogni giorno percepisco la carenza di soldi, la mancanza di strumenti, gli enormi sacrifici di tutti per i nostri figli e chi dovrebbe agevolare blinda i pochissimi figli di una classe dirigente in oasi lontane e lascia la massa nell’oblio della decadenza. La Dirigente era rammaricata, profondamente risentita, con le spalle al muro. Le famiglie sono sempre più provate economicamente e se prima un contributo extra poteva tappare il buco, oggi lo allarga e basta.

Trovare i soldi? Io continuo a pensare che finché pagheremo commissioni di inesperti per tassare giocando alla roulette russa puntata sui bersagli più facili, andremo davvero poco lontano. Non basta restituire le tessere elettorali o manifestare. Io dal mio piccolo punto di vista, credo che dovremo ripescare dagli armadi un immenso senso civico e civile e fare un po’ da noi. Come accadeva tanti anni fa .

Se chi governa non sa farlo, nè politicamente né tecnicamente, io sono convinta che potremmo governarci da soli e dimostrare che il governo è solo un insieme di persone sbagliate che denudate di fronzoli e ipocriti e fantomatici onori e pennacchi, non è degno di pulire le scarpe ad un popolo come il nostro. Credo nell’Italia, nella gente che incontro, ma non credo più di essere cittadina di una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Solo ognuno di noi può essere vero tassello per andare oltre questo momento.

I nostri figli devono studiare. Perché voglio credere che questa fase da film dell’orrore finirà.



Fabiana Gianni

venerdì 3 febbraio 2012

Accadimenti


Leonardo da Vinci potrebbe aver copiato dagli schizzi di un amico l'Uomo Vitruviano, una delle sue opere più famose. Lo sostiene Claudio Sgarbi, architetto e ricercatore italiano, in uno studio di prossima pubblicazione.
L'Uomo Vitruviano è una delle opere più misteriose del genio fiorentino: disegnata attorno al 1490, raffigura una figura maschile inscritta dentro un cerchio e un quadrato e rappresenta la connessione tra l'umano e il divino.
Il disegno del de Ferrara è stato scoperto nel 1986 all'interno di un manoscritto conservato nella biblioteca dell'omonima cittadina ed è molto simile a quello di Leonardo. Le due opere raffigurano un passaggio scritto 1500 anni prima da Vitruvio, un celebre architetto romano, che descrive la figura di un uomo circoscritta dentro ad un cerchio (il simbolo del divino) e un quadrato (il simbolo del terreno).
Claudio Sgarbi, dopo lunghi studi, è arrivato alla conclusione che lo schizzo trovato nella cittadina emiliana sia stato realizzato da Giacomo Andrea de Ferrara, architetto rinascimentale esperto di Vitruvio e grande amico di Leonardo.
La convinzione che l'opera di de Ferrara sia precedente a quella di Leonardo è scaturita dall'analisi di alcuni scritti in cui l'artista fiorentino si riferisce esplicitamente al disegno dell'amico. Non solo: secondo gli scritti i due si sarebbero incontrati nel luglio del 1490, anno al quale risalgono entrambe le opere.
E sebbene i due disegni interpretino in modo molto simile le parole di Vitruvio, lo schizzo di Leonardo è eseguito alla perfezione e con mano ferma mentre quello di de Ferrara è pieno di false partenze, ripensamenti e correzioni.
È comunque chiaro che l'opera di Leonardo sia un notevole miglioramento di quella dell'amico: «Leonardo è di gran lunga un disegnatore migliore, con conoscenze dell'anatomia molto superiori a quelle di de Ferrara» spiega Indra McEwen.
Ma perchè uno dei due Uomini Vitruviani è diventato celebre mentre l'altro è stato dimenticato per oltre 5 secoli? Probabilmente è colpa del fato e di alcune vicende storiche: nel 1499, quando i francesi invasero Milano, portarono a Parigi il disegno di Leonardo, mentre quello di Giacomo Andrea, rimasto in Italia, non potè godere di altrettanta fama.

mercoledì 30 novembre 2011

Accadimenti


Magri, la scelta privata di un intellettuale rigoroso La didascalia della vignetta di Ellekappa era caustica: “Pci: nuovi attacchi di Lucio Magri”. Solo che, in quei giorni di turbinosi congressi, all’inizio degli anni ottanta, per illustrare la battuta erano raffigurati un paio di sci. Non gli attacchi politici, dunque, ma quelli degli scarponi, intesi come simbolo di sospetta mondanità vacanziera, illustravano bene un certa diffidenza contro l’aura di eresia che nel cuore dell’apparato comunista aveva accompagnato tutta la vita del leader comunista e co-fondatore de Il Manifesto.

Quel sarcasmo era il retaggio di una diffidenza che spesso si sposava con l’ammirazione, e che subito dopo confliggeva con lei, senza possibilità di mezze vie: amato e odiato, ma sempre al centro della scena, alla sinistra della sinistra. Un uomo, tante vite, un filo di coerenza apparentemente irregolare ma rigorosamente geometrico che faceva da spina dorsale a una biografia tanto ricca quanto complessa: alla sinistra della Dc negli anni Cinquanta, poi alla sinistra del Pci negli anni Sessanta (fino alla radiazione collettiva con gruppo de Il Manifesto nel 1969), poi alla destra dell’ultrasinistra con il Pdup, e poi di nuovo alla sinistra del Pci grazie alla ricomposizione della diaspora (evento inedito nella storia comunista) caparbiamente voluta insieme a Berlinguer nel 1984, poi a sinistra del Pds, per poco nei primi anni Novanta, poi alla destra di Rifondazione nel 1995 quando nasce il governo Dini. Anche qui un ricorso: lui che aveva drammaticamente rotto con il gruppo de Il Manifesto nel 1979 sul nodo della sinistra di governo, si ricongiungeva con il suo giornale-famiglia, 16 anni dopo, sempre sul nodo del governo. In contrasto con Fausto Bertinotti che voleva far cadere Prodi, lui diventava il padre nobile della scissione dei Comunisti unitari che piangevano in aula – come fece Marida Bolognesi – per far nascere il governo Dini. “Baciare il rospo”, titoló il Manifesto, e quel giorno Lucio, con il suo impasto dolente di pessimismo e volontà disse: “É bellissimo”.

Eppure se volevano insultare Magri, nella caserma austera di Botteghe Oscure, in quegli anni di serrata battaglia politica fra destra e sinistra, per un ventennio, gli dicevano: “Abbronzato!”. Perché é vero: Magri era bello, molto bello, con il ciuffo corvino poi imbiancato, prima dall’argento, poi da una neve precoce. Aveva gli occhi azzurri che tendevano al blu, un viso regolare che a molti ricordava quello di Gary Cooper, Lucio aveva fama di grande seduttore, aveva avuto una storia d’amore con Marta Marzotto che aveva suscitato scandalo fra i puritani del politicamente corretto, e – é vero – spesso era anche abbronzato. Ma era soprattutto un intellettuale rigoroso, ideologico nel senso utile del termine, un dirigente politico forgiato nella generazione dei grandi carismi, approdato al comunismo venendo dalla Dc nei primi anni Cinquanta, traghettato verso una vocazione rivoluzionaria dalla febbre della rivoluzione possibile indicata da Lenin, attraverso quel pastore di cattolici comunisti che era il futuro padre del compromesso storico, Franco Rodano. Lucio Magri é morto due giorni fa, da suicida assisitito, in Svizzera, per scelta volontaria. É morto dopo aver provato due volte a togliersi la vita, é morto senza conversioni in punto di morte, in modo opposto al suo grande rivale (anche in amore) Renato Guttuso che scrisse contro di lui una preghiera per Marta Marzotto che iniziava con “Ave Martina” e finiva con un perfido “E liberaci dal Magri amen”. Era anche questa la sinistra del Novecento, un impasto di ideologia e passioni sentimentali.

Magri é morto con un gesto dissacrante e dirompente da grande laico, con un gesto privatissimo, custodito nel cuore protetto di una comunità di amici e compagni frequentata per una vita: Valentino Parlato, Rossana Rossanda, Famiano Crucianelli, e poi Luciana Castellina. Anche Luciana era stata sua compagna prima di essergli amica, nel tempo in cui chi l’aveva vista passeggiare – bellissima – insieme a Jane Fonda nei corridoi del quotidiano di via Tomacelli, si era convinto che anche quella epifania potesse essere una incarnazione delle speranze del Sessantotto. Sull’anno indimenticabile Magri aveva scritto un libricino per le Edizioni De Donato, quelle in brossura arancione, Considerazioni sui fatti di maggio, che sarebbe stato il suo personale manifesto di adesione alla scuola di Francoforte, fra Marcuse e Adorno. Ma Magri non era un orecchiante di provincia, era un intellettuale di sinistra che respirava il fermento europeo, e fra le cose di cui andava orgoglioso c’era l’aver scritto per Tempi moderni, sotto la committenza di Jean Paul Sartre.

Lucio è morto con un suicidio privatissimo, custodito fino all’ultimo come un segreto, morto con disposizioni testamentarie rigorose e sobrie, niente funerale pubblico, solo una cerimonia familiare a Recanati, e gli amici più stretti convocati a casa per attendere insieme la notizia definitiva, con un rito privato che oggi suscita polemiche ridicole e giudizi moralistici bigotti. Comunque vada, e qualsiasi cosa si pensi, é morto con un gesto che ci interroga e riscrive un frammento dei nostro costume.

Ecco perché questa scelta privatissima, al pari di quella impulsiva e ribelle di Mario Monicelli, giá oggi dispiega la sua forza politica, il suo impatto dirompente su un’opinione pubblica attardata e cloroformizzata in medioevali dispute sul fine vita, nel cuore esangue di una sinistra che fatica a confrontarsi con l’idea della morte. Una idea oggi ridotta a puntello di piccole identità ideologiche nella contesa politicista fra i cosiddetti laici e i cosiddetti cattolici.

Un’idea che il gesto di Magri rimette improvvisamente in discussione. L’elettrochoc di questo suicidio é un effetto che certo Lucio non aveva come obiettivo primario, impegnato come era a combattere contro la depressione che lo aveva investito dopo la morte della sua amatissima moglie Mara, la donna che – come ha raccontato in uno struggente pezzo su La Repubblica Simonetta Fiori – era il suo cordone ombelicale con il mondo. Ma era sicuramente una conseguenza che aveva previsto. Lucio Magri veniva combattuto – anche politicamente – con lo stereotipo del radicalchicchismo, evocato anche ieri con una punta di veleno da Fabrizio Rondolino, ma raccontato con i canoni di oggi sembrava un campione di sobrietà. Lo inseguiva una boutade intelligentemente velenosa della Marzotto: “Si sentiva in dovere di andare a letto con chiunque: era bello, intelligentissimo e infelice. Forse perché ce l’aveva con il mondo. Rimproverava al mondo intero il suo sogno di essere al fianco di Che Guevara”.

Ma il Magri che ho conosciuto io non aveva traccia di questo velleitarismo: era burbero, scrupoloso, appassionato, e piombava nelle riunioni di Cominform, un giornalino della sinistra antimassimalista finanziato dai comunisti unitari per fare le sue analisi: “Cerchiamo di leggere la fase in cui ci troviamo, altrimenti non si capisce nulla”. Era inseguito da questa fama libertina, ma faceva le notti in bianco per divorare i saggi di Hobsbawn, esigendo altrettanta celeritá: “Avete letto Gente che lavora? “. Il Manifesto fu il giornale à la page di una generazione, ed era anche – si direbbe oggi – un modello di casting: Pintor la fantasia, la Rossanda il cuore, la Castellina il senso dell’avventura, Parlato il pragmatismo istrionico e lui l’ideologia.

In politica la sinistra radicale mancó un quorum nel 1972 incontrando il sarcasmo di Pajetta: “Hanno sommato tre partiti per fare un prefisso telefonico”. Ma nel 1979 il Pdup centró il quorum con l’ 1,5 e chi c’era ricorda: “Quella sera Lucio Pianse”. Anche negli ultimi anni lo potevi incontrare alla Camera con la sua divisa di sempre, jeans e sigaretta perennemente incollata alla dita. E poi sì, la giacca. Diceva di sé di essere “un archivio vivente in soffitta”, ha scritto un libro bellissimo, Il sarto di Hulm che racconta la sua battaglia politica lunga una vita, in cui Magri spiega che Mara gli aveva chiesto di finirla prima di morire. Quel sarto secondo Brecht si era schiantato al suolo cercando di volare. Da domani – di certo – andrà a ruba. L’ultima volta l’ho visto a Montecitorio il giorno della fiducia a Monti. Come va? Gli ho chiesto: “Malissimo, grazie”. Lui era fatto così.



Luca Telese

mercoledì 9 novembre 2011

Accadimenti




1793 Apertura del Museo del Louvre.


1799 Napoleone va al potere.


1911 George Claude brevetta l'insegna pubblicitaria luminosa al neon.


1938 La notte dei cristalli,violenze e distruzioni dei nazisti contro gli
ebrei e i loro possedimenti come rappresaglia per l'uccisione di un
diplomatico dell'ambasciata tedesca a Parigi.


1953 La Cambogia ottiene l'indipendenza dalla Francia.


1989 Si aprono le frontiere tra le due germanie,prologo all'abbattimento
del famoso Muro.


1993 Stari Most,il ponte vecchio di Mostar,famoso in tutto il mondo,eretto
nel 1556 crolla sotto i bombardamenti serbi.

martedì 8 novembre 2011

Accadimenti




1895 Durante alcuni esperimenti sull'elettricità Guglielmo Roentgen scopre
i raggi X.


1923 Putsch di Monaco,Hitler guida il partito nazista in un tentativo
fallito di rovesciare il governo tedesco.


1960 John F. Kennedy vince le elezioni diventando il più giovane
presidente degli USA.


1987 Italia,il referendum contro l'energia nucleare porta alla
sospensione della costruzione di nuove centrali e alla chiusura di
quelle operative.


1988 George Bush viene eletto presidente degli Stati Uniti.


2002 Il consiglio di sicurezza dell'ONU con la risoluzione 1441 ordina
a Saddam Hussein il disarmo dell'Iraq pena gravi conseguenze.

lunedì 7 novembre 2011

Accadimenti


1665 Esce il primo numero della London Gazette,il più vecchio quotidiano
ancora pubblicato.

1929 Il Moma apre al pubblico.

1942 Al velodromo Vigorelli di Milano Coppi stabilisce il nuovo record
mondiale dell'ora di ciclismo.

1944 F.D.Roosevelt,unico caso nella storia,viene eletto per la quarta
volta presidente degli Stati Uniti.

1965 Cessano le pubblicazioni de "Il sole" e "24 ore" dando vita ad un
nuovo quotidiano "Il sole 24 ore".

2001 L'aereo passeggeri supersonico Concorde riprende i voli dopo una
pausa di 15 mesi.

mercoledì 2 novembre 2011

Accadimenti


Oggi è la giornata dedicata al ricordo di tutti i nostri cari scomparsi,e anche nell'atmosfera rarefatta e nebbiosa di questo autunno cosi atipico tutto si vela di quella malinconica tristezza che è la percezione dell'assenza.In verità colui che è dentro di noi è sempre,ogni volta che lo pensiamo,ogni volta che lo sogniamo,ogni volta che respiriamo i luoghi da lui frequentati,ogni volta che ascoltiamo quella musica che ascoltava anche lui,ogni volta che ci assedia quel tale profumo,ogni volta che vediamo un paesaggio condiviso insieme,ogni volta che vedi quel film visto insieme.Ci sono miliardi di stimoli che sempre avvicinano la nostra essenza a quella delle persone a noi care e che non ci sono più vicine solo fisicamente.

giovedì 20 ottobre 2011

Accadimenti


Gheddafi è morto.Con lui finisce un'epoca in quel martoriato continente che è l'Africa.Arrivato al potere come liberatore in realtà Gheddafi teneva il popolo sotto un pugno di ferro dittatoriale,finendo per diventare quello che lui aveva sempre accusato negli altri,vale a dire un tiranno.La sua morte cambia molti scenari in quella fetta di Africa che si affaccia sul Mediterranneo.Soprattutto ci fa capire che è finita l'èra dei dittatori e che un po' in tutto il continente nero il popolo si avvierà ad un processo di democratizzazione dei vari stati,in maniera democratica o meno.La fame,la miseria,le malattie,il bassissimo livello di vita,le carestie,ormai non sono più tollerabili.Lo sfruttamento di quei Paesi fa e farà sempre più parte della Storia.L'unico pericolo è che il processo di democratizzazione venga interrotto con la sostituzione dei dittatori con i nuovi capi del fondamentalismo islamico,e allora da un abisso dittatoriale finirebbero in un gorgo teocratico che li riporterebbe indietro di secoli.

martedì 18 ottobre 2011

Accadimenti


Profumi inebrianti nelle boutique di abbigliamento, fragranze accattivanti nei negozi per la casa, odore di campi nei supermercati. Se entrate in un negozio che non sia una profumeria e avvertite un odore particolarmente piacevole, non è soltanto perché il commerciante vuole rendere l'ambiente confortevole: quei profumi nell'aria sono delle raffinatissime tecniche di vendita per convincervi a restare più a lungo nel negozio e a fare più acquisti. Puntare sugli odori per incrementare gli affari è una delle strategie principali adottate dai venditori che applicano i principi del cosiddetto marketing sensoriale. Di cosa si tratta? E' l'insieme delle tecniche che mirano a coinvolgere tutti e cinque i sensi dell'acquirente per spingerlo, spesso inconsciamente, a collegare il prodotto con percezioni positive e indurlo all'acquisto.


La teoria: coinvolgere i cinque sensi
Il concetto alla base di questa strategia, al momento una delle più utilizzate nell'ambito del marketing, è che il consumatore non fa le proprie scelte in modo totalmente razionale. Gli esperti riconoscono ormai quasi unanimemente che il processo di acquisto è prevalentemente irrazionale e, in molti casi, risponde a necessità psicologiche piuttosto che a bisogni concreti. Alcuni studi hanno dimostrato che più dei due terzi delle scelte di consumo sono fatte in base a sensazioni soggettive non riconducibili alla razionalità e attivate da stimoli sensoriali ricevuti con la comunicazione pubblicitaria o direttamente al momento dell'acquisto. Fino a pochi anni fa, i due sensi stimolati per promuovere i prodotti e diffondere la popolarità dei brand erano sostanzialmente la vista e l'udito: nei messaggi pubblicitari si puntava sempre di più a migliorare il potere evocativo delle immagini e delle musiche e nei negozi si poneva ancora più attenzione nella cura dell'estetica e del design. Negli ultimi periodi, invece, le aziende hanno cominciato a mettere in gioco anche le enormi potenzialità degli altri tre sensi, e in particolare dell'olfatto.

Il potere dell'olfatto
Gli odori vengono sfruttati con sempre maggior frequenza soprattutto per la loro straordinaria capacità di imprimersi nella memoria a lungo termine, che è in grado di immagazzinare e ricordare più di 10mila profumi diversi. Il cervello umano elabora gli odori sotto forma di emozioni e li collega ai ricordi e alle situazioni in cui sono stati percepiti per la prima volta. E' per questo che hanno un effetto molto più forte rispetto agli altri stimoli sensoriali. Perciò, se in un negozio viene diffuso un aroma che riesce per esempio a sollecitare un ricordo d'infanzia del consumatore, la possibilità che quest'ultimo associ uno o più prodotti a sensazioni positive è molto più alta. Lavorando sugli odori, quindi, si agisce sulle percezioni che i consumatori hanno della merce in vendita: il prodotto non è più solo un oggetto materiale ma diventa un'esperienza a tutto tondo. Così, un semplice profumo può diventare una forma sottile di manipolazione della mente per spingere i clienti a fare certi tipi di acquisti.

Un vantaggio ulteriore, almeno per le aziende che utilizzano questi meccanismi, è che il consumatore difficilmente può opporre resistenza, dal momento che la parte del cervello coinvolta in questo processo è quella irrazionale, "governata" dall'emisfero destro. In più, associare un odore a un prodotto riesce a dargli un'identità più marcata, e questo fa ricordare meglio l'oggetto e rafforza la "brand loyalty", ovvero la fedeltà dell'acquirente a un marchio. Ma non è tutto. Diffondere in un negozio dei profumi gradevoli contribuisce naturalmente a creare un'atmosfera più piacevole che invoglia i clienti a trattenersi di più. E numerose statistiche hanno dimostrato che più un cliente rimane in un negozio, più alta è la probabilità che faccia degli acquisti.

Gli esempi pratici
Le applicazioni concrete di queste teorie sono numerose. Per esempio, in alcuni supermercati si fa in modo di diffondere nell'aria fragranze che rimandano agli odori dei campi in modo da spingere i clienti a rallentare l'andatura, muoversi senza fretta e quindi dedicare più tempo agli acquisti. Nel settore immobiliare, non sono pochi gli agenti di vendita che, quando portano i potenziali acquirenti a visitare un appartamento fanno trovare in casa un gradevole aroma di caffé o di dolci appena sfornati: è un meccanismo che attiva sensazioni positive e familiari legate all'infanzia, al rapporto con la propria madre. Negli Stati Uniti, dove il marketing sensoriale è ancora più utilizzato, capita spesso di trovare boutique di abbigliamento e negozi di scarpe in cui vengono spruzzati profumi "attraenti". Per esempio, pare che i punti vendita della catena Abercrombie & Fitch diffondano nell'aria e anche sui prodotti un'acqua di colonia particolare aromatizzata ai feromoni. La tattica è rivolta soprattutto alla clientela di sesso femminile: il profumo, preparato sapientemente, indurrebbe le donne a entrare nei negozi, avvicinarsi agli uomini e stimolare, in via indiretta, la voglia verso il possesso. In questo modo, le clienti tendono a comprare di più. Secondo alcune testimonianze, la medesima tecnica sarebbe utilizzata dal brand di vestiario anche in Italia.

Per rendere più agevole la diffusione degli odori, molti gestori acquistano degli apparecchi tecnologici per la nebulizzazione che consentono di trasformare liquidi e alimenti profumati in vapore secco per poi spargerli nell'aria. Per alcuni tipi di profumi è un'operazione indispensabile. NetCost Market, una catena di supermercati americana, ha fissato in alcuni dei suoi principali punti vendita delle macchinette che nebulizzano l'odore del cioccolato e del pane fresco. L'obiettivo? Far aumentare l'appetito dei clienti, in modo che comprino più prodotti alimentari possibile. Non a caso, nei luoghi in cui è stata fatta la sperimentazione, si è verificato un significativo aumento delle vendite di quasi tutti i prodotti, compresi carne, frutta e verdura.

Il gusto e il tatto
Le tecniche di vendita ispirate al marketing sensoriale mirano a coinvolgere anche gli altri due sensi: il tatto e il gusto. Per quanto riguarda il primo, le aziende puntano sempre di più a realizzare prodotti con materiali che danno sensazioni tattili più forti e a orientare il design di negozi e locali anche in base a ciò che i clienti possono toccare e sfiorare con le loro mani. Nell'arredo di caffetterie e ristoranti, per esempio, molto spesso è scelto il legno perché a contatto con le dita provoca sensazioni più piacevoli e familiari. Va da sé che se un cliente si sente quasi "a casa" in un locale, tende a restarci più tempo e quindi a consumare di più.

Quanto al gusto, non fanno testo le imprese che operano nel "food & beverage" perché è nel loro dna l'obbligo di migliorare costantemente questo aspetto per stimolare i consumatori a fare più acquisti. Le aziende attive in altri settori, invece, associano con sempre maggior frequenza i loro prodotti e servizi agli alimentari. Non è raro infatti assistere a degustazioni di vini, formaggi o altri alimenti in negozi di abbigliamento, librerie, cinema e così via. Il cliente percepisce inconsapevolmente che il "sapore" degli oggetti in vendita, dai vestiti ai libri, è quello dei cibi associati. Quindi, se la qualità dei cibi e dei drink offerti è apprezzata dal consumatore, la probabilità che metta mano al portafogli cresce.

giovedì 13 ottobre 2011

Accadimenti


Accade a volte di imbattersi in qualcosa che ci rituffa nelle nostre radici ed allora ecco che riemergono dagli abissi del tempo vascelli di ricordi di trent'anni vissuti in un posto,che è Roma,onore ed orrore di città,passato glorioso e presente incerto.Su quei ciottoli ci sono nato,cresciuto,caduto nei miei primi passi,ci ho corso,riso,ballato,fatto l'amore,vissuto attimi di gioia intensa e dolori atroci.Ma quelle sono le radici che ognuno si porta dietro,i profumi,le strade,il dialetto,l'ironia,lo sdrammatizzare sempre tutto,l'enorme pazienza,i miracoli d'arte che ad ogni angolo ti fanno capire il senso del tempo e ridimensionano te come essere umano,l'amore per una squadra di calcio che,come recita una canzone,ha i colori del sole e del cuore,i quartieri sempre affollati di persone,e poi i posti dove magari stai in silenzio in perfetta solitudine in mezzo a due milioni di persone.La tua libreria preferita dove per trent'anni andavi non solo per acquistare libri ma dove ti venivano regalati racconti di vita e di una Roma che non c'èra già allora più, da parte del titolare.L'Università con il viavai chiassoso di studenti di ogni posto,razza,lingua,colore,la palestra dove fatica e sudore si mischiavano agli odori dei tatami e al profumo dell'incenso,al sentirsi addosso la ruvidezza del judogi e nell'anima una cultura sorella.Il lavoro con lo scorrere veloce del tempo,gli incontri importanti e quelli miserrimi,con l'abbracciare il mondo ma ritornare sempre a casa.E malgrado ormai viva,felice,in un'altra città da tanto tempo,Roma è e sarà sempre per me casa,sarà sempre un tutt'uno con Stefano perchè anche se non ci fossi nato l'avrei sempre scelta,anche se non ci avessi mai vissuto l'avrei sempre adorata per il profumo del Tempo e della Storia che qui si respira come raramente in altri posti.E' li che è partita la storia della mia famiglia,qualche secolo fa ed è li che c'è l'albero sotto il quale so di potermi sempre rifugiare.

venerdì 7 ottobre 2011

Accadimenti


Sud, le illusioni fallite



Maria Cinquepalmi (14 anni), Tina Ceci (37), Matilde D’Oronzo (32), Giovanna Sardaro (30), Antonella Zaza (36) erano delle fasoniste, lavoravano in nero per le grandi firme dell’abbigliamento. Per 3,95 euro l’ora davano l’ultimo ritocco a maglie e golfini destinati alle boutique di mezza Italia. Capi costosi che loro, “cinesi” dal dolce accento pugliese, non avrebbero potuto mai acquistare con la miserabile paga che percepivano.

Fasoniste senza tutela, assistenza, versamenti per la pensione. Il nuovo welfare, quello “moderno” auspicato dai Sacconi, dai Brunetta, per l’unico lavoro possibile al Sud, il lavoro nero invisibile ai controlli. “Non mi sento di criminalizzare chi, in un momento di crisi economica, viola la legge ma assicura lavoro”. Lo ha detto il sindaco pd di Barletta, Nicola Maffei, come per giustificare i proprietari di quel minuscolo opificio, che nella tragedia hanno perso la figlia quattordicenne. Parole sbagliate, offensive per i morti, inappropriate, ma che nascondono la rassegnazione delle classi dirigenti meridionali. Non lo ammetteranno mai, ma sanno di aver fallito e non sanno cosa fare. Blaterano parole vuote, perché da decenni non hanno un’idea, un progetto. L’unico obiettivo che hanno è difendere se stessi, alimentare le loro clientele e foraggiare i loro sistemi di potere.

“Nelle aree meridionali il rischio è che la perdita di tessuto produttivo diventi permanente”, scrive lo Svimez nell’ultimo rapporto. Dalla Campania (la regione più povera d’Italia) alla Sicilia, il Sud si avvia a diventare una terra senza lavoro e senza speranze. La politica ancora non lo ha capito, le 583 mila persone (giovani soprattutto) che in dieci anni hanno fatto la valigia come l’antenato Rocco per andar via per sempre, sì. I distretti produttivi (del divano, della maglieria, dell’agro-alimentare), l’industrializzazione delle aree interne sono parole ormai vuote e false. Le macerie di Barletta ci parlano di questo.

giovedì 6 ottobre 2011

Accadimenti


La notizia del giorno è la morte del patron della Apple,Steve Jobs.Chiunque,come me,ha vissuto tutta la straordinaria epopea della rivoluzione informatica non può non ricordare da dove si è partiti,dai 64k,a dove siamo arrivati oggi,sono passati solo trent'anni,ma sembrano tre secoli.E il merito di questa rivoluzione è almeno al 50% di Steve.Il primo ad aver capito che si poteva facilitare la ormai obsoleta scrittura elettronica inventando un apparecchio che poteva stampare con diversi caratteri facilitando la comunicazione.Da li,da un garage della California è nata l'idea che ha cambiato tutto,che ha dato vita al primo Mac,un computer rivoluzionario per potenza e flessibilità,creato un marchio che non era solo un brand commerciale ma una vera filosofia di vita.E infatti Jobs,a differenza di Gates,è stato un vero e proprio mentore per intere generazioni,perchè ha saputo non solo dare uno strumento di libertà,mettendolo alla portata di tutti(si pensi alla rivoluzione della musica portata su pc o agli attuali Iphone o Ipad),ma soprattutto mostrando con i fatti che si può sempre ricominciare e raggiungere lo stesso la cima.Infatti ad un certo punto della sua carriera era stato "defenestrato"dal management,che pensava di poter gestire l'azienda senza il suo comandante,errore colossale,quella che era la seconda potenza informatica crollo fino a diventare una scatola vuota.Solo grazie al suo ingegno e al suo infaticabile lavoro innovativo la Apple è riuscita ad imporsi di nuovo come marchio di eccellenza e qualità,e a creare prodotti innovativi che faranno parte della vita di tutti ben presto facilitando la comunicazione e l'accesso alle informazioni,migliorando l'approccio con la tecnologia anche ai più imbranati e dando uno sviluppo sostanziale all'idea di "creatività".In questo è stato unico.genio,imprenditore,creativo,ispiratore di un modo nuovo di concepire l'armonizzazione uomo-tecnologia,uno di quegli uomini che trasformano il mondo con le loro idee,dando speranza a tutti coloro che veramente credono che i pensieri innovativi non muoiono mai.

lunedì 3 ottobre 2011

Accadimenti

Shoah, muore Ida Marcheria
addio a un'altra testimone dell'orrore

Sopravvissuta a Birkenau, raccontava ai giovani: "Lì ho conosciuto il male più assoluto" . L'omaggio della Comunità romana. Domani alle 10 il feretro in piazza al Ghetto poi alle 11 la sepoltura al Verano. Alemanno: "Dedicato a lei il prossimo viaggio della memoria ad Auschwitz-Birkenau con le scolaresche in programma il prossimo 23 ottobre". Veltroni: "Mancherà a tutti noi"


Sopravvissuta al lager di Birkenau. E' morta Ida Marcheria a 82 anni, "una donna incredibile e coraggiosa, che è stata testimone e portavoce dell'orrore della Shoah". Ebrea di famiglia originaria dell'isola di Corfù, era nata a Trieste il 13 agosto del 1929. Nel novembre del 1943 fu catturata dai tedeschi e deportata ad Auschwitz, da dove fu liberata dai sovietici nel 1945. Trasferitasi dopo la guerra a Roma, era diventata una testimone della Shoah e della terribile esperienza nel campo di sterminio. Più volte invitata a ricordare per il Giorno della Memoria, aveva a Roma una famosa cioccolateria in via Santa Maia Goretti, nel quartiere Africano.

"A Ida è stata rubata la vita, all'età di 14 anni è stata trasportata in vagoni bestiame verso Birkenau, dove con i suoi occhi ha visto il male assoluto", ricorda il sindaco di Roma, Gianni Almanno, che il prossimo 23 ottobre sarà ad Auschwitz-Birkenau con le scolaresche,"impegnati sul tema della memoria, affinché il ricordo di quei anni bui per l'intera umanità sia un patrimonio collettivo e condiviso, un esercizio spirituale ed educativo da trasmettere alle nuove generazioni. Questo viaggio Roma Capitale vuole dedicarlo a una grande donna, Ida Marcheria e a un grande uomo Romeo Salmoni'. Alla famiglia di Ida voglio inviare un caloroso e affettuoso abbraccio a nome di tutta l'amministrazione capitolina".